Il presidente Bashir: “Ora collaboriamo”
Claudio Monici
La data ufficiale per la divisione in due del Sudan è prevista per il 9 luglio prossimo. Nonostante le parole rassicuranti di Bashir, c’è tanta preoccupazione per consolidare una pace che ancora è considerata fragile, in una realtà dove armi e carri armati non mancano.
Il presidente Omar Hassan el-Bashir ha detto sì alla nascita del 54esimo Stato dell’Africa. Accetta la separazione del sud animista e cristiano, dal nord arabo e musulmano. Concede non solo il suo benestare, almeno così sembra, senza colpo ferire, all’indipendenza del sud Sudan, ma anche l’aiuto che si dovesse rendere necessario. Il presidente del Sudan offre il suo assenso rivolgendosi alle telecamere della televisione di Khartum, mentre indirizza il suo discorso alle donne e agli studenti riuniti al quartier generale del Partito nazionale del congresso. Vuole essere il primo a congratularsi per l’indipendenza del Sudan meridionale e rendersi disponibile per qualsiasi tipo di sostegno e aiuto.
È «rivolgendosi al mondo», a commento del risultato pressoché di unanimità del referendum popolare sulla separazione del Paese in due Stati, un esito che ha sfiorato il cento per cento dei consensi, che Bashir accoglie la secessione dei sudisti e promette la sua collaborazione: «Oggi abbiamo ricevuto i risultati e li abbiamo accettati – annuncia il presidente Bashir – , sono i benvenuti poiché esprimono la volontà del popolo del sud».
«Il risultato del referendum è ben noto. Il sud del Sudan ha scelto la secessione – ha aggiunto Bashir –. Ma noi siamo impegnati a mantenere i collegamenti tra nord e sud, a mantenere le buone relazioni basate sulla collaborazione».
Schiacciante il risultato del voto popolare, atto finale dell’accordo di pace del 2005 tra Nord e Sud, che ha messo fine a più mezzo secolo di guerra civile che ha causato almeno due milioni di vittime. Dalle urne, aperte a cavallo tra il 9 e il 15 gennaio scorsi, è uscito un esito compatto che ha raggiunto il 98,83 per cento del consenso sull’indipendenza. È «un momento storico», ha commentato l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton. «Auspichiamo che i dirigenti sudisti e nordisti continuino a lavorare insieme in vista di un’applicazione completa» dell’accordo di pace del 2005, ha detto da parte sua il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton.
La data ufficiale per la divisione in due del Sudan è prevista per il 9 luglio prossimo, ma c’è ancora molta strada da fare e, nonostante le parole rassicuranti di Bashir, tanta preoccupazione per consolidare una pace che ancora è considerata fragile, in una realtà dove solo qualche giorno fa ci sono state decine di morti in nuovi scontri tra gruppi armati e fazioni, in una realtà dove armi e carri armati non mancano.
Il discorso del presidente Bashir è stato accolto positivamente, e con una stretta di mano, dal suo ex nemico ora presidente provvisorio del Sudan meridionale, Salva Kiir: «Nord e Sud ora devono pensare a costruire rapporti forti».
Ma se la scelta della secessione è stata facile come inserire una scheda in un’urna elettorale, molto rimane da fare, in una nazione dove conflitti aperti non mancano, come nel Darfur. Prima della proclamazione del nuovo Stato del 9 luglio, tra pochi mesi, bisognerà trovare l’accordo sulla linea di frontiera, sulla divisione delle risorse e della ricchezza petrolifera, sullo status di una regione contestata come l’Abyei, dove si trova una vasta area petrolifera. Il Sudan diviso, comunque, resta una realtà costretto, dalle circostanze geografiche ambientali, alla reciproca dipendenza tra nord e sud: l’80 per cento dei pozzi e delle risorse naturali si trovano nel sud, mentre oleodotti, raffinerie e strade di collegamento restano nel nord. Per un vero futuro di pace, ci sono ancora troppi nodi da sciogliere.
Fonte: www.avvenire.it
8 febbraio 2011