Il perdono di Giuseppe


Flavio Lotti


Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace, da Gerusalemme racconta la testimonianza di Giuseppe che dichiara: "Chi ha il potere dovrebbe implementare i diritti e la legalità. Ma chi è disposto a farlo oggi?"


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Il perdono di Giuseppe

E’ un giorno come tutti gli altri a Betlemme. Giuseppe decide di portare la famiglia al mercato. E’ una bella giornata. Christine e Sophie sono felici: finalmente potranno comprare il vestito per la festa della scuola. Le due sorelle, 12 e 15 anni, non si lasciano mai. Anche la mamma è contenta di uscire di casa. Non le capita spesso. La famiglia di Giuseppe abita nella periferia di Betlemme e la strada per arrivare al mercato è troppo lunga. Si va tutti in macchina. Per fortuna non c’è molto traffico e in un batter d’occhio sono già in centro. All’improvviso centinaia di proiettili investono la macchina. Alcuni uomini, sbucati da non si sa dove, sparano, sparano ancora e poi continuano a sparare contro l’auto oramai paralizzata nel mezzo della strada. Urla, grida, sangue, terrore, angoscia… Giuseppe è accasciato sul volante. Ha cinque pallottole nello stomaco. Sophie grida dal dolore. Il suo ginocchio è a brandelli. La sua gamba è piena di sangue. Christine tace, con il capo chino all’indietro. Una pallottola le ha perforato la testa. La madre è illesa.
Era il 25 marzo 2003. Sono passati cinque anni ma il ricordo di quel giorno è ancora vivo nelle parole di Giuseppe. Lui si è miracolosamente salvato. Christine no.
“E’ il numero 404 della lista dei bambini uccisi dagli israeliani negli ultimi anni. Non so a che numero siamo arrivati oggi. Ci hanno chiesto scusa. E’ stato un errore, un incidente.”
La loro macchina era simile a quella di tre ragazzi ricercati da un’unità speciale dell’esercito israeliano infiltrata a Betlemme. Per la cronaca, i tre ragazzi saranno ammazzati più tardi dalla stessa unità speciale.
“Ci hanno chiesto scusa. Ma non ci sono abbastanza scuse per colmare il vuoto che ci ha lasciato Christine. Cinque anni e il nostro dolore continua. Continuiamo a soffrire, come continua a soffrire Sophie che ha quasi perso la gamba e la libertà di muoversi. La gente soffre e continua a soffrire”- continua Giuseppe – “ma il mondo se ne frega: i media internazionali non raccontano queste storie. Nessuno racconta di noi, in quali condizioni viviamo. Stiamo vivendo nel terzo millennio o nel medioevo? Dove sono i diritti umani?”.
Un mese dopo l’aggressione Giuseppe viene raggiunto in ospedale da un gruppo di israeliani e palestinesi che lo invitano a far parte della loro associazione: il “Circolo dei Familiari”. Anche loro hanno perso un figlio, una figlia, la madre o il padre in questa assurda guerra e hanno deciso di dire basta alla violenza e alla vendetta.
“Ho accettato subito, insieme a mia moglie” mi dice Giuseppe “perchè questa storia non può continuare per sempre“. E poi aggiunge: “Io ho il potere di perdonare, ma non tutti ce l’hanno. I palestinesi non sono terroristi ma cosa ci possiamo aspettare? La gente è frustrata, insicura, privata di ogni speranza. La disoccupazione e la disperazione portano solo al fanatismo. Invece di costruire il muro dovrebbero costruire ponti di comprensione…
“Lavoro con i Parent’s Circle, ci sentiamo al telefono, ci scriviamo e-mail…ci vediamo raramente perchè loro non possono venire a Betlemme e io non posso entrare in Israele. E’ necessario un permesso dell’esercito israeliano…qualche volta te lo danno solo per poche ore … noi continuiamo a chiedere pace … ma chi ci ascolta? Chi se ne frega di noi?”
Giuseppe è direttore di una scuola di Betlemme: “Cerchiamo di educare alla pace… ma pace in questa terra è una parola vuota”.
Nel 2005 Giuseppe è stato eletto vicesindaco di Betlemme: “Non abbiamo neppure i soldi per pagare regolarmente gli stipendi dei nostri dipendenti. Come vedo il futuro? Se continua così non può che peggiorare. Chi ha il potere dovrebbe implementare i diritti e la legalità. Ma chi è disposto a farlo oggi?”.

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