Il conto della crisi
Tonio Dell'Olio - Mosaico dei giorni
Cosa c’è di etico nell’abbassare il rispetto dei diritti in nome della crisi? Se si tratta di diritti (e quindi intoccabili) le soluzioni vanno cercate altrove.
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Cosa c’è di peggio di questa guerra tra poveri scatenata con la delocalizzazione della produzione verso Paesi in cui la manodopera costa meno e nello steso tempo la forza dei sindacati è ridotta a zero e la parola sciopero non si può pronunciare? Abbiamo sempre pensato che si andavano a costruire auto, divani e scarpe nei Balcani o in Asia perché lì stipendi più bassi garantivano comunque dignità ai lavoratori. Ci rendiamo conto oggi che nemmeno le famiglie degli operai polacchi, serbi e tailandesi riescono ad arrivare alla fine del mese. Ma allora non stiamo esportando benessere ma disperazione! Ma soprattutto perché il prezzo della crisi devono pagarlo i lavoratori? Non sarebbe più giusto caricarlo sui portafogli dei proprietari degli yacht che affollano le banchine di Porto Cervo e di chi in una settimana guadagna quel che un operaio forse vede passare sul suo conto in un anno? Un problema di giustizia, una questione di diritti, o semplice buon senso.
Fonte: www.mosaicodipace.it
15 Ottobre 2010