Il calderone Medioriente
Ferdinando Pellegrini
C’è di che leggere tra le righe anche se non è molto difficile. Nessuno parla più del se, ma si discute, eventualmente, sul quando. Quando ci sarà il prossimo attacco, quando fucili, razzi e cannoni torneranno di nuovo ad essere protagonisti.

Di Medio Oriente ne parla il Papa, alcuni politici, molto meno la stampa, o comunque i mezzi di comunicazione, se non per ricordare il numero di morti in Iraq o in Palestina. Ma il problema non e’ solo Baghdad, la striscia di Gaza o la Cisgiordania.
Il vicepresidente americano Dick Cheney, qualche giorno fa ci ricordava che al vertice della piramide delle preoccupazioni americane e israeliane c’e’ sempre l’Iran, che Hamas ed Hezbollah sono sempre la spina nel fianco che Damasco e Teheran usano per far fallire colloqui di pace, senza dire però che da Hannapolis in poi, non un solo passo avanti e’ stato fatto per aiutare il presidente palestinese Abu Mazen a riconquistare quel prestigio necessario per tornare ad essere il presidente di tutti i palestinesi. Ed ora che Fatah e Hamas hanno deciso di tornare al confronto politico, subito Israele mette paletti dicendo che se si dovesse formare di nuovo un governo di unità nazionale ogni trattativa cesserebbe. E che dire poi di Siria e Libano. ‘Damasco non vuole trattare con Israele, e’ il motivo ricorrente, anche se il presidente Bashar Hassad ha detto varie volte di voler aprire un tavolo negoziale. E non per difendere un regime dispotico come quello siriano, ma almeno che si vadano a vedere le carte, se sono truccate o se invece il mazzo con cui si gioca e’ nuovo. E del Libano, che dal novembre scorso e’ senza presidente? Certo le preoccupazioni ci sono, i tentativi di mediazione anche, ma fino ad ora il governo eletto si regge sugli spilli della tensione internazionale ed e’ riuscito ad evitare un bagno di sangue interno che nessuno sembra volere ma che tutti in fondo accetterebbero se questo volesse dire togliere di mezzo una volta per tutte gli Hezbollah. Israele ci ha provato nel 2006, ma l’operazione e’ fallita nonostante l’appoggio avuto da Washington, e ora non resta che allargare le mosse del risiko e vedere come reagisce il “nemico” se si tenta di tagliare le gambe alle alleanze o se le minacce di un eventuale attacco (ogni opzione resta sul tavolo, sono parole pronunciate sia a Washington che a Tel Aviv ) renderanno più malleabili i governi canaglia. Il fatto e’ che nessuno ancora e’ riuscito a capire bene quali siano i fini ultimi di una politica estera americana che fino ad ora si e’ dimostrata più che fallimentare ed ha lasciato spazi enormi al fondamentalismo e al terrorismo. Teheran resta sullo sfondo buio di un futuro incerto senza per questo che il problema sia affrontato con chiarezza,ma sempre con mezzi termini: un inasprimento dell’embargo qua, una minaccia la, e teheran continua però per la sua strada con un governo sempre più dispotico e con elezioni sulla cui libertà ci sarebbe molto da discutere. Ora, malgrado le smentite, sembra proprio che la Siria abbia schierato truppe al confine, coadiuvata dai miliziani palestinesi di Jibrill, e che Hassan Nasrallah, che pur ha detto di voler punire gli assassini di Imad Mughnije, con mossa astuta ha fatto sapere che non sarà lui ad iniziare un confronto armato. Ma a largo delle coste tra Libano e Israele restano sempre le navi della sesta flotta, e in tutta l’area gli F16 tengono i motori caldi pronti ad alzarsi in volo e per diverse direzioni. Uno stillicidio di preparazioni, di mosse su una scacchiera spesso truccata, ma che per ora lascia intravedere solo la pistola fumante visto che la diplomazia annaspa e che le divisioni anche all’interno dello stesso mondo arabo sono profonde e legate, forse troppo, ad una visione strategica che, come dicevamo, non è né sarà chiara a breve scadenza.
Fonte: Articolo21
25/03/2008