I diritti e le barbarie
Stefano Rodotà
La cultura del rispetto è scomparsa da tempo dal nostro dibattito politico, ma non era mai accaduto che la violenza della dignità costituisse il segno d’una posizione politica ufficiale.
Sacrificate ovunque in nome della sicurezza, le libertà civili hanno ricevuto un inatteso aiuto pochi giorni fa dalla Corte Costituzionale tedesca, che ha ritenuto illegittima una norma antiterrorismo fortemente restrittiva dei diritti. Questa decisione è importante per due motivi. Perché offre indicazioni nuove e significative per cogliere in concreto il modo in cui si stanno modificando i rapporti tra i cittadini e lo stato, per individuare i rischi a cui è sposta la stessa democrazia e, soprattutto, per mettere a fuoco le trasformazioni che sta conoscendo la nostra personalità. E perché consente di misurare l’adeguatezza dei programmi elettorali in circolazione rispetto alla questioni ogni giorno proposte dall’innovazione scientifica e tecnologica. E al di là di questo, perché ci impone riflessioni su come la dignità delle persone sia oggi considerata nel nostro paese.
I giudici costituzionali tedeschi si sono trovati a di fronte a questo problema: fino a che punto si può frugare nei personal computer delle persone a loro insaputa, indagando su ogni loro attività e comunicazione, magari predisponendo i computer proprio per renderne possibile il controllo in qualsiasi momento? Una questione, come ben si vede, che riguarda tutti e che rivela prospettive inquietanti. Tecnologie della libertà – che ci hanno appunto liberato dai vincoli del tempo e dello spazio, che hanno avviato un nuovo modo di costruire le relazioni, personali, sociali, politiche – possono essere integralmente rovesciate in tecnologie del controllo. Consapevole di tutto questo la Corte non si è limitata ad affermare che l’illegittimità di quella norma, contenuta in una legge del land nord Reno-Westfalia, imponendo restrizioni rigorosissime a questa nuova forma di perquisizione. Ha creato un nuovo diritto della persona: “il diritto fondamentale alla garanzia della confidenzialità e dell’integrità del proprio sistema tecnico informativo”, come espressione del diritto della personalità. La novità è grande. Il corpo di ciascuno di noi si estende fino a comprendere gli strumenti tecnologici di cui ci serviamo nella vita quotidiana. La Corte Costituzionale tedesca non rafforza solo la garanzia giuridica. Crea una nuova antropologia. Su questo nuovo corpo fisico e tecnologico “non si possono mettere le mani”. Viene così rinnovata l’antica promessa della Magna Charta e nasce un nuovo habeas corpus.
Questa decisione non arriva a caso. Alle sue spalle vi è una lunga riflessione cominciata nel 1983 con una sentenza sempre della Corte Costituzionale tedesca che, riconoscendo il diritto all’autodeterminazione informativa, ha notevolmente influenzato l’intera riflessione su privacy e libertà. E’, dunque, il risultato di una cultura sedimentata che, proprio per questo, fornisce anticorpi adeguati, che consentono di affrontare i problemi senza abbandonarsi alle derive tecnologiche, senza diventare ostaggi della regressione civile che fa diventare la sicurezza un imperativo totalizzante, in nome del quale diritti e libertà possono essere tranquillamente accantonati. Se proviamo a cercare tracce di una simile cultura nei nostri programmi elettorali, si è a dir poco delusi. Con tanto parlare di modernità e di futuro, è sostanzialmente scomparsa proprio l’intera questione del significato e degli effetti delle innovazioni scientifiche e tecnologiche, dunque il tema capitale del nostro tempo. I problemi legati alla biologia ed alla genetica, quelli cosiddetti “eticamente sensibili” non devono entrare nella campagna elettorale perché “divisivi”, perché possono turbare qualche finto idillio tra schieramenti e dividere i partiti al loro interno. Ai problemi tecnologici si dedica qualche scappellata, simile all’indimenticata ”un computer per ogni studente”. Oggi ad esempio, si promette “banda larga per tutti”. Ma, se pure questo programma venisse realizzato e reso più agevole e generalizzato l’accesso al sistema di comunicazione elettronica, quali sarebbero i suoi effetti? Senza affrontare la questione della garanzia dei diritti si creerebbe una situazione nella quale i cittadini vedrebbero si allargata la possibilità del loro agire tecnologico, ma al tempo stesso si trasformerebbero in ostaggi di una tecnologia che permette di scrutare nel profondo la loro vita. Per salvarsi dovrebbero rinunciare alla tecnologia loro elargita. La contraddizione è evidente, ma è facilmente spiegabile tenendo l’enfasi ossessiva sulla sicurezza, la palese la palese rinuncia a subordinare le logiche di polizia al rispetto dei vecchi e nuovi diritti fondamentali delle persone. La salvezza arriverà da lontano, dalla lungimiranza di giudici come quelli tedeschi? “Dalla barbarie ci salverà l’Europa” era il titolo di un bell’articolo di Antonio Cassese che richiamava l’attenzione su due sentenze della corte europea dei diritti dell’uomo che ribadivano con forza come le esigenze della lotta al terrorismo “non possono portare ad una compressione dei nostri diritti umani, né di quelli dei presunti terroristi”. La sentenza della Corte Costituzionale tedesca è una sfida a un’altra Europa, quella dei ministri degli Interni e dei commissari europei che vogliono realizzare proprio le forme di controllo capillare ritenute incompatibili con la libertà della persona. E rende così manifesto il conflitto tra una politica sempre meno attenta ai diritti e una giustizia , costituzionale ma non solo, che incarna in modo sempre più netto il soggetto istituzionale al quale è affidato il compito di garantire, insieme ai diritti, gli equilibri democratici. Basti ricordare, ad esempio, l’intervento della Corte Suprema degli Stati Uniti sulla vicenda Guantanamo o le sentenze della Corte Costituzionale italiana su alcune delle cosiddette “leggi vergogna”del quinquennio berlusconiano.
Grande è la responsabilità dei giudici costituzionali e della cultura giuridico-politica nel garantire il pieno rispetto e lo sviluppo delle libertà e dei diritti fondamentali. Né occhi chiusi, né sguardo rivolto all’indietro. Bisogna reinterpretare le norme costituzionali esistenti, non solo creare diritti nuovi. Ad esempio:che cosa diventa la libertà di circolazione in città sempre più videosorvegliate? Si può continuare a parlare di libertà e sicurezza delle comunicazioni quando i dati riguardanti il traffico telefonico sono conservati per otto anni? Se non si risponde in modo adeguato a queste domande si rischia di lasciare senza garanzie costituzionali proprio le situazioni più fortemente modificate dalle tecnologie.
Bisogna opporsi ad ogni forma di “degradazione dell’individuo” dando la più ampia portata a questa efficace espressione dei nostri giudici costituzionali. Di nuovo i giudici. Ad essi, e solo ad essi, si deve l’agghiacciante catalogo delle violenze nella caserma di Bolzaneto a Genova. Una sequenza di orrori che, senza esagerazioni, richiama quelli della prigione di Abu Ghraib, di fronte alle quali le altre istituzioni erano rimaste sostanzialmente silenziose e ai quali una parte consistente del mondo politico aveva offerto una vergognosa copertura (sarebbe il caso di ripubblicare, senza commenti, le dichiarazioni di questi anni). La dignità umana, cardine della nostra costituzione e proclamata “inviolabile” in apertura della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non aveva mai conosciuto in Italia una così profonda mortificazione.
“Pietà l’è morta”? Viene voglia di rispondere di sì quando , ad esempio, si torna alla violenza esercitata su una donna che, a Napoli, aveva legittimamente interrotto la sua gravidanza. Violenza che non è tanto quella dell’interrogatorio poliziesco, ma di chi ha ripetutamente e pubblicamente accusato quella donna di aver ucciso un “bambino malato”. La cultura del rispetto è scomparsa da tempo dal nostro dibattito politico, ma non era mai accaduto che la violenza della dignità costituisse il segno d’una posizione politica ufficiale.
Fonte: Repubblica
22 marzo 2008