#Ho partecipato alla rivoluzione di gennaio
NEAR EAST NEWS AGENCY
L’hashtag che spaventa Al-Sisi. A cinque anni dalla ‘giornata della collera’, migliaia di egiziani ricordano la partecipazione alle proteste del 2011.
È condividendo un semplice slogan su Twitter e Facebook che sempre più egiziani ricordano in questi giorni la propria partecipazione alle proteste del 2011. Intanto, da settimane, le formazioni liberali e di sinistra assieme ad alcuni gruppi prossimi alla Fratellanza Musulmana chiamano alla mobilitazione generale per il prossimo 25 gennaio, quinto anniversario della ‘giornata della collera’. “Insegnate ai vostri figli che la rivoluzione di gennaio è stata la più nobile e responsabile della nostra storia – si legge in un tweet – e dovreste essere orgogliosi di essere stati tra coloro che hanno preso parte al sogno egiziano. #Ho_partecipato_alla_rivoluzione_di_gennaio”.
In un discorso tenuto il 23 dicembre scorso – giorno in cui cadevano i festeggiamenti per la nascita del profeta Maometto – il presidente Abdel Fattah Al-Sisi aveva condannato l’invito a protestare in occasione dell’anniversario; dichiarando che l’Egitto non potrebbe reggere la terza rivoluzione in cinque anni e portando come esempio i vicini stati arabi oggi divorati da sanguinosi conflitti civili. Ma secondo molti analisti e media locali, dietro alla giustificata apprensione per la precaria stabilità del paese e la minaccia del terrorismo di matrice islamista, le autorità temono soprattutto l’eventualità di un’ampia sollevazione popolare.
A partire dal gennaio 2011, sia il regime di Hosni Mubarak, sia il governo democraticamente eletto di Mohammed Morsi non avevano infatti saputo attutire l’urto della piazza. Nel primo caso, il presidente Mubarak era stato costretto a rinunciare ai propri poteri dopo diciotto giorni di manifestazioni, nel secondo era bastato un fine settimana di proteste al Cairo affinché Mohammed Morsi fosse deposto. Al golpe militare erano quindi seguiti alcuni giorni di violenti scontri, culminati con il massacro del 7 luglio in piazza Rabaa El-Adawiya, dove persero la vita oltre 800 sostenitori della Fratellanza Musulmana. In entrambi i frangenti, un ruolo cruciale era stato ricoperto dall’esercito, che riuscì a presentarsi come attore neutrale e garante di stabilità nel paese.
Da quel momento a oggi, la storia della rivoluzione egiziana sembra aver percorso a ritroso le proprie tappe cruciali. Hosni Mubarak, condannato all’ergastolo nel giugno 2012, è stato prosciolto da ogni accusa nel novembre del 2014. Le libertà di stampa e di opinione, che avevano goduto di maggior respiro a seguito dal febbraio del 2011, sono nuovamente soffocate dalle autorità; come provano i numerosi arresti di intellettuali, giornalisti e attivisti verificatisi nell’ultimo anno. Infine, la Fratellanza Musulmana – i cui membri erano costretti a presentarsi alle elezioni come candidati indipendenti sotto Mubarak – è stata nuovamente relegata all’illegalità nell’estate 2013, dopo una breve parentesi al governo a seguito delle prime elezioni libere del paese.
In questo quadro, considerato il pugno di ferro adottato da Al-Sisi nei confronti dei Fratelli Musulmani, è proprio dalle fila dell’organizzazione islamista che le autorità temono possano sorgere maggiori disordini. In un articolo comparso il 14 gennaio su ikhwanweb.com, portale ufficiale della Fratellanza, si legge infatti che alcuni gruppi giovanili vicini al movimento starebbero organizzando proteste non violente per l’anniversario della rivoluzione; invitando gli egiziani a scendere in piazza contro un élite che ne ha indebolito i ranghi. In risposta, i servizi di sicurezza hanno arrestato ieri 47 amministratori di pagine Facebook legate all’organizzazione; mentre il ministro degli Affari Religiosi avrebbe dato disposizione al clero di dichiarare contraria ai princìpi della Sharia la partecipazione alle proteste in occasione dell’anniversario.
Il 25 gennaio 2011, sull’onda di quanto accaduto in Tunisia, milioni di egiziani scendevano in piazza per la ‘giornata della collera’. A cinque anni da quei momenti, l’involuzione dei diritti acquisiti dai manifestanti sembra ormai tristemente completata. Come osservato anche da Naguib Sawiris – magnate delle telecomunicazioni e fondatore del Partito dei Liberi Egiziani – in un’intervista rilasciata all’emittente ONTV, “l’interferenza da parte del governo nei media e l’arresto di numerosi attivisti e intellettuali, ricorda sempre più l’Egitto di Mubarak”.
Fonte: http://nena-news.it
24 gennaio 2016