"Governo amico, che peccato". Il rimpianto delle associazioni


Stefano Milani


Dall’Arci alla Tavola della pace, la delusione per la crisi. "Se Prodi cade, meglio un governo tecnico delle elezioni".


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"Governo amico, che peccato". Il rimpianto delle associazioni

Rimpianto. C'è n'è tanto, fin troppo, all'interno del mondo associazionistico e pacifista italiano nel vedere un governo ormai agli sgoccioli e nel quale avevano puntato molto. Non tutti, per carità, ma è indubbio che in molti hanno creduto in questo esecutivo e con esso anche collaborato. Anche se non sono mancate le frizioni, da quella dei finanziamenti alla lotta all'Aids alla missione militare in Afghanistan. Ma dopo anni di berlusconismo imperante l'aria nuova del cambiamento sembrava lì a portata di mano. Il programma dell'Unione faceva ben sperare. Almeno sulla carta. Si parlava di pacifismo, di diritti civili, di politiche sociali e d'immigrazione. Certo, ammettono, non è stato tutto rose e fiori. Rimangono ancora tante le promesse non mantenute da Prodi e il suo governo, ma la «strada intrapresa era quella giusta».
Lo sa bene Sergio Marelli, presidente dell'Associazione delle Ong italiane, che da anni aspettava la riforma sulla cooperazione internazionale. E proprio adesso che l'iter parlamentare era in dirittura d'arrivo, la crisi di governo rischia seriamente di bloccare tutto. «E' un peccato – dice – perché rispetto al passato questo governo aveva portato un cambiamento, una marcia diversa rispetto al passato. Da tempo non eravamo considerati dal palazzo come in questi due anni di centrosinistra. Sono decisamente buoni i risultati ottenuti in questa legislatura a livello internazionale. Penso al Medioriente, alla moratoria contro la pena di morte, alla riabilitazione del nostro paese agli occhi del mondo dopo gli anni bui del governo di centrodestra». Molte luci, ma anche qualche ombra. Su tutte quella «della mancata promessa, che è nero su bianco nel programma elettorale, sui fondi destinati alla cooperazione: chi li ha mai visti?».
In forte disagio è anche Paolo Beni, presidente dell'Arci, difficile commentare quello che sta accadendo in queste ore in parlamento. «Quello a cui stiamo assistendo – dice – è sì la fine di un governo, ma soprattutto la fine della credibilità morale di un'intera classe politica». Nessuna giustificazione dunque per chi «agli interessi del paese preferisce gli interessi personali e di partito». Ma la cosa che proprio non va giù al numero uno dell'Arci è constatare il perché questo esecutivo cade. «Non su questioni di merito, sulle grandi questioni sociali o economiche, ma unicamente per effetto di interessi personali». Un boomerang pericolosissimo per chi osserva dall'esterno: «Il messaggio che arriva alla gente è di un paese allo sfascio». E adesso, cosa fare? «Andare subito alle elezioni con questa legge elettorale sarebbe dannosissimo, meglio allora un governo istituzionale, di transizione, che traghetti il paese fuori da questo pantano. Ci sono troppe questioni aperte che meritano di essere portate a conclusione. La forza riformatrice, seppur moderata in alcuni suoi aspetti, di questo governo non va fermata».
A crederci ancora è il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero. Non foss'altro perché sarebbe «irresponsabile una crisi di governo al buio con un contesto nazionale e soprattutto internazionale come quello che stiamo vivendo», che suggerirebbe piuttosto «di lavorare per il bene di tutti, ad un profilo di stabilità politica e istituzionale». Ma soprattutto, aggiunge, «non si può interrompere la legislatura senza essere riusciti a darsi quelle regole nuove e condivise alle quali pure si stava lavorando e di cui il sistema Italia ha straordinariamente bisogno». Dunque andare a votare con l'attuale legge elettorale sarebbe «immorale e oltraggioso» nei confronti dei cittadini italiani «che hanno raccolto le firme per cambiarla con un referendum abrogativo». Sarebbe «inaccettabile» essere costretti «per la seconda volta a "non scegliere" i propri candidati e a vedere il Paese di nuovo condannato alla instabilità, per colpa di regole pensate – con esplicita ammissione – per impedire agli avversari di governare».
Anche per Flavio Lotti, della Tavola della pace (che è riuscito a portare mezza maggioranza alla marcia Perugia-Assisi), la responsabile di questa crisi ha un nome ben preciso: la legge elettorale. «L'ho sempre pensato, perciò mi auguro che se dobbiamo andare a nuove elezioni prima si metta mano ad una nuova legge altrimenti tra qualche anno saremo punto e a capo». E così è già tempo di bilanci, e non sono tutti positivi. «Certo rispetto al governo Berlusconi si sono fatti passi avanti, ma francamente da chi si reputa di sinistra ci si aspettava molto di più». Dito puntato sulle politiche per la pace. «Il governo di centrosinistra è stato un po' troppo timido verso il mondo pacifista. Le domande della società civile e del popolo della pace non hanno ricevuto in questi anni risposte credibili. Continua ad esserci un muro invalicabile tra la politica e la società civile».

Fonte: Il Manifesto

24 gennaio 2008

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