Più della metà dei cittadini del Mondo vive in luoghi estremamente pericolosi per la libertà di stampa, luoghi in cui lavorare come giornalista significa mettere a rischio la propria vita o la propria libertà, mentre meno dell’8% vive in Paesi in cui la situazione è classificata come “buona” o “soddisfacente”. A rilevarlo è il World Press Freedom Index 2024, classifica redatta ogni anno dalla ong Reporter Senza Frontiere, presentata il 3 maggio 2024, nella giornata internazionale dedicata alla libertà di stampa.
Nel 2024, anno elettorale senza precedenti, dal momento che si vota in 76 paesi con un totale di 4,1 miliardi di abitanti, più della metà della popolazione mondiale, secondo Rsf è alta “la probabilità che i governi tentino di manipolare notizie e informazioni”.
Politica e autorità contro i giornalisti
La libertà di stampa in tutto il Mondo è minacciata dalle stesse autorità politiche. Dei cinque indicatori utilizzati per stilare la classifica di Rsf è infatti quello politico ad aver subito il calo maggiore nel 2023-2024, registrando una diminuzione media globale di 7,6 punti. Rsf ha rilevato “un preoccupante calo del sostegno e del rispetto per l’autonomia dei media e un aumento della pressione da parte dello Stato o di altri attori politici”. “Gli Stati e le altre forze politiche – ha commentato Anne Bocandé, direttrice editoriale di Rsf – stanno svolgendo un ruolo sempre minore nella protezione della libertà di stampa. Questa perdita di potere a volte va di pari passo con azioni più ostili che minano il ruolo dei giornalisti o addirittura strumentalizzano i media attraverso campagne di molestie o disinformazione”.
Se sarà il 2024 un anno decisivo per le elezioni in buona parte del Mondo, anche il 2023 è stato rilevante. Ad esempio, uno dei primi atti dopo la vittoria vittoria di Javier Milei in Argentina (scesa dal 26 al 66° posto) è stato chiudere la più grande agenzia di stampa del Paese. Le elezioni, inoltre, sono spesso accompagnate da violenze contro i giornalisti, come in Nigeria (al 112° posto) e nella Repubblica Democratica del Congo (123°). Le giunte militari che hanno preso il potere con colpi di stato nel Sahel, in particolare Niger (sceso dal 19° all’80° posto), Burkina Faso (sceso dal 28° all’86° posto) e Mali, hanno strinto la presa sui media e hanno ostacolato il lavoro dei giornalisti. Per Rsf, anche la rielezione di Recep Tayyip Erdogan in Turchia è motivo di preoccupazione: ora il Paese si trova al 158° posto.
A preoccupare è poi l’uso dell’intelligenza artificiale per scopi politici. I deepfake infatti occupano una posizione di primo piano nell’influenzare il corso delle elezioni. Uno dei primi casi documentati di questo tipo di attacco a un giornalista con l’obiettivo di influenzare l’esito di un’elezione democratica è stato l’audio deepfake della giornalista Monika Todova durante le elezioni parlamentari in Slovacchia.
Molti governi hanno poi intensificato il controllo sui social media e su Internet, limitando l’accesso e bloccando gli account. In Vietnam, ad esempio, i giornalisti che dicono quello che pensano sui social media vengono arrestati quasi sistematicamente. In Cina (al 172° posto), oltre a detenere più giornalisti di qualsiasi altro Paese al mondo, il governo continua a esercitare uno stretto controllo sui canali di informazione, attuando politiche di censura e sorveglianza per regolamentare i contenuti online e limitare la diffusione di informazioni ritenute sensibili o contrario alla linea del partito.
Alcuni gruppi politici alimentano l’odio e la sfiducia nei confronti dei giornalisti insultandoli, screditandoli e minacciandoli. Rsf segnala il caso Italia (46esima) – dove un membro della coalizione parlamentare al potere sta cercando di acquisire Agi, la seconda più grande agenzia di stampa nazionale. In 138 paesi (più di tre quarti dei paesi valutati nell’Indice) la maggior parte degli intervistati ha riferito che gli attori politici erano spesso coinvolti in campagne di propaganda o disinformazione. Questo coinvolgimento è stato descritto come “sistematico” in 31 paesi.
Nell’Europa orientale e in Asia centrale, la censura dei media si è intensificata imitando i metodi repressivi russi, soprattutto in Bielorussia (dal 10° al 167° posto), Georgia (dal 103° posto), Kirghizistan (dal 120° posto) e Azerbaigian (dal 13° al 164° posto). L’influenza del Cremlino è arrivata fino alla Serbia (scesa dal 7° al 98° posto), dove i media filogovernativi portano avanti la propaganda russa e le autorità minacciano i giornalisti russi in esilio.
L’indice per Regioni
La regione del Maghreb e del Medio Oriente è quella con la situazione peggiore nell’indice mondiale sulla libertà di stampa. A seguire la regione Asia-Pacifico, dove “il giornalismo soffoca sotto il peso dei governi autoritari”. Meno del 10% del Continente africano si trova in una situazione “molto grave” e quasi la metà dei paesi si trova in una situazione “difficile”.
I paesi in cui la libertà di stampa è “buona” sono tutti in Europa, all’interno dell’Unione Europea, che ha adottato la sua prima legge sulla libertà dei media (Emfa). La libertà di stampa viene tuttavia messa alla prova in Ungheria, Malta e Grecia, i tre paesi Ue più bassi in classifica. Più a est dell’Europa, le condizioni per i giornalisti si stanno deteriorando. È il caso della Russia (162°), della Bielorussia (167°) e del Turkmenistan (175°), mentre in Georgia (dal 26° al 103° posto) il partito al potere sta coltivando un riavvicinamento con Mosca. Grazie al miglioramento del suo indicatore di sicurezza (meno giornalisti uccisi) e del suo indicatore politico, l’Ucraina (61°) è salita di 18 posizioni.
Nelle Americhe la percentuale di Paesi la cui situazione è classificata come “soddisfacente” (gialla) è drasticamente scesa dal 36% nel 2023 al 21% nel 2024. Gli Stati Uniti sono scesi di dieci posizioni e in quasi tutti i paesi del Sud America, la situazione della libertà di stampa è ora “problematica”. Il Messico continua ad essere lo Stati più pericoloso per i giornalisti, con 37 morti dal 2019.
L’Africa sub-sahariana è stata molto colpita dalla violenza politica durante le principali elezioni del 2023. Oltre l’8% dei paesi africani sono ora colorati in rosso nella classifica, il doppio rispetto al 2023. Nigeria, Togo e Madagascar sono stati colpiti da ondate di repressione dei giornalisti. La Regione è segnata dal declino della sicurezza in diversi paesi del Sahel: Niger, Burkina Faso e Mali .
Nella regione Asia-Pacifico (la seconda più difficile al mondo per il giornalismo) cinque paesi figurano tra i dieci più pericolosi al mondo per i media: Myanmar (171°), Cina (172°), Corea del Nord (177°), Vietnam (174° ) e Afghanistan (178°). Ma, a differenza dello scorso anno, nessuno dei paesi della Regione è tra i primi 15 dell’Indice.
In Medio Oriente e Nord Africa la situazione è “molto grave” in quasi la metà dei Paesi. Gli Emirati Arabi Uniti si aggiungono agli altri otto Paesi nella zona rossa sulla mappa: Yemen, Arabia Saudita, Iran, Palestina, Iraq, Bahrein, Siria ed Egitto. Il Qatar è ora l’unico Paese della Regione in cui la situazione non è classificata né come “difficile” né come “molto grave”.