Golpe militare in Sudan. Spari sui manifestanti


Antonella Napoli


Arrestato il premier Hamdok. Almeno tre morti e 80 feriti tra i cittadini scesi in piazza
Il leader del colpo di Stato Al Burhan promette elezioni nel 2023. Gli Usa tagliano i finanziamenti


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Sudanese protesters march in 60th Street in the capital Khartoum, to denounce overnight detentions by the army of members of Sudan's government, on October 25, 2021. - Armed forces detained Sudan's Prime Minister over his refusal to support their "coup", the information ministry said, after weeks of tensions between military and civilian figures who shared power since the ouster of autocrat Omar al-Bashir. (Photo by AFP)

Un golpe annunciato, non può essere definito diversamente quello che si è consumato nella notte tra domenica e lunedì in Sudan, con l’arresto del primo ministro Abdalla Hamdok e di gran parte del suo gabinetto.

Nemmeno un mese prima era stato sventato un colpo di stato attribuito ad alcuni “lealisti” del deposto dittatore Omar Hassan al-Bashir, che volevano fermare il processo di democratizzazione in atto nel Paese dall’agosto del 2019.

A interrompere invece il percorso del governo di transizione, guidato dall’economista Hamdok, è stato colui che aveva giurato di voler difendere, «più di ogni altra cosa», la rivoluzione che aveva portato alla caduta di Bashir : il generale Abdel Fattah al Burhan, che nel pomeriggio di ieri in diretta televisiva ha ribadito il proprio attaccamento alla «transizione allo Stato civile» e promesso elezioni nel luglio 2023. Suo l’ordine di arrestare Hamdok e diversi ministri.

Non tutti i militari però hanno voluto partecipare all’azione golpista, «la maggioranza si è schierata con il popolo» fa sapere l’Associazione dei professionisti sudanesi, che rappresenta 17 tra i maggiori sindacati del Paese.

A fare irruzione nella sede della televisione e della radio di Stato e a reprimere le manifestazioni dei sostenitori di Hamdok, le Forze di Supporto Rapido (Rapid support forces, Rsf), del generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemetti. I dimostranti che hanno cercato di raggiungere il quartier generale della Difesa sono stati dispersi con gas lacrimogeni. Sono stati esplosi anche colpi ad altezza d’uomo: almeno tre i morti e ottanta feriti.

Nonostante i rischi per lo stato di emergenza, in migliaia hanno continuato a manifestare improvvisando barricate e urlando slogan contro i militari.

Il tutto mentre nella capitale sudanese era in visita l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, che ha definito «assolutamente inaccettabile» il colpo di mano dei militari. Washington ha sospeso un pacchetto di aiuti di 700 milioni di dollari. Preoccupazione e ferma condanna sono state espresse anche dall’Unione Africana, dall’Alto Rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell, e dai principali attori internazionali che guardavano con interesse al processo di democratizzazione in Sudan.

Si teme anche per l’incolumità degli occidentali a Khartum, tra cui il nostro connazionale Marco Zennaro, coinvolto in una disputa giudiziaria di natura commerciale che coinvolge uno zio di Hemetti. Il padre Cristiano chiede il rimpatrio immediato del figlio che rischia di rimanere bloccato nel Paese.

Il colpo di Stato di Burhan arriva dopo settimane di crescenti tensioni tra i leader civili e militari. Da un lato l’ala moderata che sostiene Hamdok, dall’altro gruppi di islamisti che erano scesi in piazza lo scorso 16 ottobre chiedendo di «cacciare il governo della fame». I generali hanno colto la palla al balzo e in vista dell’approssimarsi del cambio ai vertici del Consiglio sovrano il 17 novembre, l’organo politico che insieme all’esecutivo di unità nazionale guidava la transizione, hanno fatto saltare tutto. A suscitare il malcontento di una larga fascia di società civile, il protrarsi della crisi economica, con l’aumento del prezzo del pane che ha scatenato proteste nella capitale e in altre città del Paese. In un crescendo di tensioni si è arrivati a una spaccatura nella coalizione delle “Forze per la libertà e il cambiamento”, che riuniva i promotori delle proteste contro Bashir. Preludio al golpe che ha ucciso il processo democratico che quelle rivolte avevano favorito.

Antonella Napoli
La Repubblica
26 ottobre 2021

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