Gli Invisibili del Tg: perché saremo alla manifestazione
Alessandra Mancuso e Claudio Pistola
Può esserci "velo politico" alle notizie? Come si sta comportando il servizio pubblico? Il rischio è che adesso questa tv taroccata ci sembri normale. Il 19 settembre a Piazza del Popolo a Roma per chiedere un’informazione libera.
Un detenuto che si lascia morire di fame. 50 giorni senza acqua né cibo. In un carcere italiano. Come entra questa notizia, questo frammento di racconto del paese, nel racconto che una sera ci offre un tg? Non entra, forse. In compenso sentiamo parlare tanti ministri. Ogni sera. Di tutto e di più. L’agenda del tg spesso ormai la fanno loro. Le notizie, quelle che troviamo il giorno dopo su tutti i quotidiani nazionali, spesso si perdono nel colabrodo.
Episodi di omofobia, delitti e inchieste di mafia, episodi di razzismo…
Gli operai della Innse, devono fare un gesto più che estremo per imporsi allo schermo e all’attenzione di chi attorno a un tavolo decide la scaletta di un’edizione del tg. Dopo mesi di lotta, ignorata da quel Tg. E se loro ci sono riusciti, penseranno altri nelle stesse difficoltà…
Né vediamo i precari della scuola che protestano quasi ogni giorno ovunque in Italia. Sappiamo cosa la Gelmini intende fare. Ma non sentiamo le loro voci, cosa ne pensano i precari di quelle proposte. O Bonanni, Epifani…
Per non parlare dei tanti, sempre maggiori, luoghi di crisi, disoccupazione, protesta, lotta per difendere il posto di lavoro, il proprio futuro. Anche di incidenti sul lavoro non si parla quasi più nei Tg.
Gli immigrati, poi, sono ridotti solo a numeri. E come minimo ci deve essere una strage per parlarne, ormai. Neanche sul gergo si è d’accordo: li si sente chiamare “clandestini” – come fossero criminali – nonostante l’Unione Europea ci inviti a usare un più adeguato: “irregolari”.
Dare la “voce”, mostrare, è uno strumento di potere e può essere usato per affermare un dominio. E un tg tanto è più ricco di voci tanto più è rispettoso della complessità della società di cui è al servizio. Ridurre le voci , ridurre la visibilità dei soggetti sociali significa mettersi al servizio solo di alcuni, di una parte, di qualcuno. Non si è più servizio pubblico. Prevale una concezione proprietaria del tg.
Privare chi guarda il tg di notizie su quanto accade nel paese, nel territorio, darle in modo tronco o oscuro, equivale a impoverire i cittadini. Preclude la possibilità di far crescere la società civile. L’informazione è il lievito della democrazia. E si crede davvero poco alla libertà se si ha paura che la gente sia veramente informata e possa formarsi autonomamente un giudizio sui fatti e sulle cose. Le notizie, lo diciamo ormai fino alla nausea, non sono né di destra né di sinistra. Ometterle o manipolarle evidenzia solo la volontà di manipolare l’opinione pubblica.
Scegliere cosa entra nella scaletta di un tg, cosa resta fuori, cosa viene ignorato, chi ha tempo di parola e chi no, chi non ha il tempo della replica, è un potere enorme che non può essere sottratto a qualsiasi meccanismo di controllo democratico. Non se si tratta del servizio pubblico. Senza intaccare l’autonomia editoriale di chicchessia. Non è questione di “linea editoriale” se non si accettano, nella sostanza, le regole del pluralismo.
Invale da tempo nelle redazioni di alcuni tg l’idea che, ottenuto il voto di fiducia, un direttore possa fare quello che voglia, agevolato in questo dall’essersi purtroppo affievolito nel tempo l’esercizio della dialettica nelle redazioni.
Ci chiediamo se un sindacato dei giornalisti Rai possa relegare in soffitta concetti che un tempo erano l’ovvio nelle assemblee di redazione, come per esempio la distinzione tra “tg istituzionale” e “tg governativo”. Non abbiamo scordato lo scandalo che fecero le dichiarazioni di un direttore del Tg1 che indicò nella Dc il suo editore di riferimento. Quello che andava bene ieri, non va più bene oggi?
E ci chiediamo se i sindacati, i partiti, possano disinteressarsi dello slittamento che sta avvenendo da “televisione pubblica” a “televisione di Stato”.
Accettare nella sostanza le regole del pluralismo, per quanto riguarda il tg, significa che le notizie devono essere valutate e date tenendo conto dell’interesse generale prima di tutto, che vengono date nella loro completezza, che i principali soggetti interessati si possono esprimere, che le “polemiche” non possono solo essere “enunciate”, lanciate e poi non seguite nel loro sviluppo… e si potrebbe andare avanti. Se ascoltiamo sul tg – per fare un esempio – il nostro primo ministro attaccare la Commissione Europea (il diritto a comunicare dei Commissari e loro portavoce), perché due giorni dopo non sentiamo il presidente della Commissione che gli risponde? Si rende un buon servizio ai telespettatori?
Può esserci “velo politico” alle notizie? Il presidente della Rai Garimberti ritiene, giustamente, di no. E può essere quello della “convenienza politica” un nuovo criterio da insegnare agli studenti di giornalismo quando si spiega loro come si valuta la gerarchia delle notizie, quando si decide a quale notizia assegnare l’apertura di un tg? Se tutti i quotidiani, il giorno dopo, locali e nazionali, gli altri tg e i giornali radio convergono sulla notizia di apertura, quale criterio ignoto agli altri direttori, entra in campo per chi decide diversamente?
E’ accaduto piano piano, negli anni, quasi senza che ce ne accorgessimo. A dire il vero, nella disattenzione totale della politica, più interessata sempre alle nomine, ai soldatini da ascriversi nei posti giusti per poter fare cucù dallo schermo o usare i tg per propagandare le gesta del governo, occultandone, se possibile, le defaillances.
Destra, sinistra: il rapporto della politica con la Rai è sempre stato uguale. A cambiare è il grado di tolleranza degli spazi di autonomia e di rispetto del pluralismo che in questa stagione mostra il minimo storico. E questo ci preoccupa.
Il rischio è che adesso questa tv taroccata ci sembri normale. Immodificabile. C’è disincanto e sfiducia. La politica ha perso di credibilità. E’ imperdonabile non essere riusciti negli anni a fare una buona riforma televisiva nel segno della libertà, dell’autonomia e dell’autosufficienza del servizio pubblico. E non avere affrontato il nodo del conflitto di interessi, venefico per la Rai come dimostra la rescissione del contratto con Sky a tutto vantaggio di Mediaset.
Crediamo però che non si possa, come lavoratori Rai, restare inerti scongiurando un finale all’Alitalia. E ci piacerebbe difendere e conservare quel che resta del nostro orgoglio di lavorare per il servizio pubblico. Un’azienda che abbiamo costruito, anche nella sua credibilità. E crediamo che insieme a sindacati e associazioni sia necessaria una battaglia di democrazia per costruire una nuova stagione di prosperità, autonomia e ricchezza del servizio pubblico. Una nuova stagione del “rispetto” in cui le regole del pluralismo siano ossatura, in ogni stagione politica, del servizio pubblico.
I segnali di restringimento dell’autonomia nelle redazioni e nei palinsesti della tv pubblica sono evidenti. Per questo saremo alla manifestazione indetta dalla Federazione della stampa. Perché riteniamo che non si possa subire l’espropriazione, per quanto furba o subdola, di un servizio pubblico essenziale come l’informazione. La concezione proprietaria di un tg, quando si manifesta, va contrastata. Anche con campagne di massa se serve, riprendendo in quanto cittadini la voce per dire: “quel tg è anche mio, ci sono anche i miei di interessi che voglio vedere rappresentati”.
E la manifestazione del 19 è un primo momento per dirlo.
di Alessandra Mancuso e Claudio Pistola, Cdr Tg1
Fonte: Articolo21
14 settembre 2009