Giornata in ricordo di Falcone e degli altri disarmati, 17 anni dopo
Libera Informazione
Una giornata di mobilitazione civile “Nel nome di Falcone e Borsellino, per una società responsabile contro ogni complicità” in concomitanza dell’anniversario della strage di Capaci.
"Nel nome di Falcone e Borsellino, per una società responsabile contro ogni complicità” è questo il titolo della due giorni organizzata a Milano per ricordare il sacrificio di chi ha perso la vita contro la mafia, due giorni per dire ad alta voce che il mondo della scuola e dell’associazionismo milanese e lombardo non dimenticano la lezione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Si è aperta nella mattinata di venerdì 22 maggio, presso la Sala della Provincia di Milano, con una manifestazione promossa da Libera e dal Coordinamento delle Scuole per la legalità e la cittadinanza attiva di Milano e si prosegue oggi pomeriggio – sabato 23 maggio, nella concomitanza dell’anniversario della strage di Capaci – con il tradizionale appuntamento, sul filo del ricordo, davanti all’Albero Falcone e Borsellino di via Volta in pieno centro.
Come ogni anno, la scuola milanese dimostra di aver voglia di capire cosa successe in quegli anni nel nostro paese, di voler fare memoria per rilanciare un impegno non costruito sulla retorica del ricordo ma pregno di ansia di cambiamento. Il punto di partenza della riflessione – che vedrà partecipare circa seicento studenti delle scuole di Milano e provincia, mentre altre centinaia sono state costrette a rimanere nelle rispettive scuole per problemi di capienza – è la svolta epocale nella lotta alle mafie rappresentata dal maxiprocesso di Palermo.
Il maxiprocesso alle cosche fu istruito dal Pool antimafia, voluto da Rocco Chinnici all’interno dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo e poi guidato da Antonino Caponnetto, grazie all’impiego del nuovo articolo 416 bis del Codice Penale, costato tanta fatica e dolore, fatica e dolore che hanno avuto i volti dei tanti caduti eccellenti nella lotta a Cosa Nostra. Dopo quel maxiprocesso non sarà più possibile dire che la mafia non esiste, non sarà più possibile disquisire su mentalità e cultura mafiosa, senza parlare di organizzazione criminale. Il valore della ricostruzione processuale operata da Falcone, Borsellino e gli altri magistrati consiste proprio nella perdita di ogni alibi di natura sociale e culturale per la mafia che, per la prima volta, finisce alla sbarra, rivelando il suo vero volto: accumulazione del capitale ed esercizio della violenza al servizio del potere nelle sue diverse forme. Per la prima volta si ricostruiscono gli intrecci con l’economia, la finanza e la politica, fin dentro le istituzioni e inoltre anche la dimensione internazionale che, grazie al traffico degli stupefacenti, l’organizzazione nata in Sicilia stava assumendo a livello mondiale.
Le sorti del maxiprocesso segneranno inevitabilmente il percorso umano e professionale di un manipolo di magistrati, nel corso degli anni Ottanta, per culminare tragicamente nelle stragi del 1992: prima Giovanni Falcone e sua moglie, Francesca Morvillo e poi Paolo Borsellino saranno spazzati via dalla furia omicida di Cosa Nostra, insieme ad otto uomini della loro scorta. I loro nomi non sempre vengono ricordati ma crediamo debbano avere altrettanto spazio: Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro, uccisi il 23 maggio a Capaci e poi Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, saltati per aria il 19 luglio in via D’Amelio a Palermo. Il ricordo di quella tragedia è un ricordo ancora vivo nella società italiana e la doppia manifestazione di Milano è un segno tangibile di questa ferita nella coscienza collettiva.
Ricordare Falcone e gli altri vuol dire esprimere anche un sentimento di profonda gratitudine nei confronti di quanti si sono trovati a contrastare i sistemi criminali, facendo il proprio dovere, senza voltare la testa da un’altra parte o piegare la testa ai potenti di turno. Abbiamo chiesto a Giuseppe Teri, un tempo attivo all’interno del gruppo di Pippo Fava a Catania e oggi professore di storia e filosofia in un liceo milanese, nonché responsabile per la formazione di Libera Milano, quale significato abbia questo importante appuntamento, soprattutto per studenti che, in molti casi, non erano ancora nati al momento delle stragi del 1992: “Partecipare alla giornata del 22 maggio significa chiedersi cosa hanno fatto la classe dirigente del nostro paese e l’intera società italiana per radicare gli anticorpi necessari a combattere la connivenza e la corruzione che sono le condizioni in cui proliferano i fenomeni mafiosi e del malaffare. In questa prospettiva Libera e il “Coordinamento scuole per la legalità e alla cittadinanza attiva” hanno posto al centro del loro lavoro il tema dei valori, della partecipazione democratica e della denuncia della presenza costante dei poteri illegali nella storia italiana”.
Accanto a questi legittimi interrogativi, ampio spazio verrà dedicato alla ricostruzione del contesto in cui maturarono quelle stragi che costituirono, nei fatti e insieme alle vicende di Tangentopoli, il punto di non ritorno per la Prima Repubblica e il contemporaneo via libera alla cosiddetta Seconda Repubblica, senza un passaggio formale di consegne, ma con un ben più pesante azzeramento di una intera classe politica e di un sistema di collusioni e complicità collegate.
Il doppio appuntamento di Milano coincide con una delle pagine più drammatiche della nostra Repubblica, dove lo scontro tra politica e magistratura ha raggiunto punte di asprezza mai toccate prima per le polemiche legate al caso Mills – Berlusconi. È singolare che le accuse ad una magistratura, che viene presunta essere politicizzata, assumano gli stessi toni accesi, a volte le stesse espressioni offensive, utilizzate per criticare il lavoro di Falcone e Borsellino, quando allora erano in vita. Il ricordo di Falcone e Borsellino serve quindi a richiamare l’impegno di quanti quotidianamente si battono perché la legge sia davvero uguale per tutti, nel rispetto del principio sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione. Ricordare i magistrati uccisi nel 1992 consente di apprezzare il valore di una magistratura davvero indipendente.
Nel corso della mattinata in via Corridoni, prenderanno la parola magistrati, giornalisti, dirigenti d’impresa, testimoni privilegiati della battaglia per la legalità. Protagonisti saranno anche gli studenti milanesi chiamati a presentare i lavori preparati nel corso dell’anno ai loro coetanei provenienti da altri istituti. Sabato pomeriggio, invece, il ritrovo sarà davanti all’Albero Falcone e Borsellino di via Volta, un albero piantato tanti anni fa da alcuni studenti e professori – Teri era tra questi allora – per segnare la partecipazione di Milano alla tragedia che si era consumata a Palermo. Da allora, ogni anno ci si trova per ricordare con parole, musiche e silenzi le vittime della mafia. Ogni anno, alle 17.58, dalla vicina caserma dei vigili del fuoco, intitolata alle vittime di un’altra strage mafiosa, quella di via Palestro – consumata a Milano il 27 luglio 1993 – parte il suono della sirena antincendio a suggellare l’attimo del ricordo e della gratitudine.
Si accettano scommesse sulla qualità e la quantità della copertura mediatica del doppio evento: questi studenti, queste scuole milanesi non faranno notizia, perché non rientrano nei cliché con i quali si preferisce parlare di scuola oggi, si pensi alle vicende di bullismo o devianza o alle contestazioni ai progetti di riforma dei diversi ministri. Questi studenti chiedono di essere cittadini oggi, non domani, di impegnarsi oggi nello studio per essere più responsabili domani. Questa scuola non farà però notizia, perché poco rassicurante rispetto alle colpe e alle mancanze degli adulti. Ci piacerebbe essere smentiti, ma sappiamo anche che oggi è estremamente scomodo parlare di temi quali i principi che la nostra Carta Costituzionale prevede e la cui applicazione potrebbe essere il più serio antidoto al proliferare del cancro mafioso.
Diceva Falcone: “La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”. Gli studenti e le associazioni di Milano ci dicono che il primo dovere, quello della memoria, può smuovere davvero le coscienze e cambiare anche il corso della battaglia contro le organizzazioni mafiose nel nostro Paese.
Milano, 21.05.2009 | di Lorenzo Frigerio
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Delitto Rostagno, 21 anni dopo i nomi di chi lo ha ucciso
Nel 17esimo anniversario della strage di Capaci, da Trapani la verità sull'omicidio del giornalista Mauro Rostagno
Era in mezzo ai lupi dice il capo della Mobile Giuseppe Linares ed i lupi lo hanno sbranato. A fare la parte dei lupi i mafiosi, ad essere ucciso da loro il sociologo e giornalista Mauro Rostagno. Il territorio quelloo di Trapani. A 21 anni dal delitto che risale al 26 settembre del 1988 del sociologo e giornalista che si occupava di lotta alla droga e raccontava ai cittadini dagli schermi di una tv locale, Rtc, le malefatte di politici e criminali di ogni genere, la procura antimafia di Palermo ha chiesto e ottenuto dal gip Maria Pino l'emissione di due ordini di cattura per il delitto Rostagno. Destinatari sono il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga e il valdericino Vito Mazzara. Il primo mandante l'altro esecutore dell'omicidio. I sicari erano tre, due restano ignoti, c'è solo il verbale di un pentito che ne fa i nomi, insufficiente però potere procedere anche contro di loro. Virga e Mazzara sono già in carcere, a scontare condanne definitive all'ergastolo per associazione mafiosa e omicidi.
Ci sono una serie di coincidenze che oggi si rincorrono, ci sono dei fili che tornano ad unirsi. Intanto è il 23 maggio, 17 anni dopo la strage di Capaci e l’uccisione del giudice Giovanni Falcone. Rostagno torna oggi ad incontrarlo, ci piace immaginare che questo possa accadere là adesso dove loro si trovano, come fece un giorno andando ad incontrarlo alla procura di Palermo. Pare voleva parlargli di alcune strane cose che aveva scoperto, traffici di armi, gladio. C’è poi quella sorta di pacificazione tra gli organi dello Stato e chi nella metà degli anni ’60 quello Stato combatteva. Lotta Continua era il movimento dove Rostagno aveva scelto di stare con altri, in quegli anni l’omicidio del commissario Luigi Calabresi a Milano fu una conseguenza di quella tensione, così come la vicenda, successiva della morte dell’anarchico Pinelli. Come al Quirinale l’incontro tra le vedove di questi due uomini ha rappresentato la volontà di ristabilire una serie di verità, il lavoro condotto dalla Polizia e dagli specialisti del laboratorio della Scientifica di Palermo, eredi del commissario Calabresi, rivolto a far luce sul delitto Rostagno, riannoda le fila, tra la Polizia e quel Rostagno di Lotta Continua. Dicevamo il Quirinale: un anno e mezzo addietro cittadini, non solo di Trapani, 10 mila in tutto, firmarono una petizione che inviarono al Capo dello Stato, preoccupati che le indagini non andavano avanti per scoprire i chi e i perché dell’omicidio Rostagno. Oggi a Trapani arriva il presidente Napolitano, la coincidenza incredibile del deposito proprio ieri, 22 maggio, dell’ordinanza da parte del gip Maria Pino, ha fatto si che il Capo dello Stato, rappresentasse supremo della magistratura, venisse qui come a consegnare la risposta dello Stato a chi ha chiesto giustizia.
L’artefice di questo è un sovrintendente di Polizia, un brigadiere, esperto mastino contro la criminalità organizzata, trovatosi a fare la scorta al dott. Giuseppe Linares, uno degli uomini più esposti nella lotta alla mafia in provincia di Trapani. Fu durante una discussione tra i due, una delle tante, tra un percorso e l’altro fatto insieme, che nacque l’intuizione di andare a controllare se nel fascicolo di indagine vi fosse la perizia balistica, ripetuta dopo la creazione della banca dati e l’impiego da parte del gabinetto di polizia scientifica di nuove sofisticate attrezzature. In effetti la perizia ultima era quella all’epoca del delitto. La più felice delle intuizioni.
Indagando tra alcuni dei delitti commessi dopo l’omicidio Rostagno, come l'omicidio dell'agente di custodia Giuseppe Montalto, altri commessi durante la faida di Partanna, Valle del Belice, e l'eliminazione di delinquenti locali ammazzati per sgarri piccoli e grandi, la squadra mobile di Trapani e la polizia scientifica di Palermo hanno individuato una serie di coincidenze. Le modalità di esecuzione intanto. Poi le armi. A sparare sempre in tre persone, l’uso di una Fiat Uno per agire, la vettura usata puntualmente ritrovata bruciata. I poliziotti non hanno trovato il fucile o le armi usate per uccidere, ma i proiettili si. I bossoli avevano le stesse caratteristiche, dalle striature lasciate durante l'esplosione e il sovraccaricamento. Unamafia troppo seriale che è stata così incastrata. Una firma che ha ricondotto a Vito Mazzara già riconosciuto killer della mafia trapanese, un ex campione di tiro a volo esperto di armi. Condannato per i delitti risultati in tutto sovrapponibili a quello di Mauro Rostagno. Poi nelle indagini le dichiarazioni dei pentiti, Milazzo, Patti, Sinacori, Brusca, Siino. Finalmente pieni di riscontri.
Gli investigatori della Mobile hanno ricostruito il periodo storico del delitto. Il 1988 era l'anno in cui la mafia a Trapani stava vivendo una forte escalation, da potenza militare si trasformava in impero imprenditoriale. Nasceva il tavolino degli appalti dove sedevano mafiosi, politici e imprenditori, si formava quel sistema di complicità e connessioni ancora oggi attivo, sono cambiati alcuni protagonisti, ma la regia è quella di sempre dei Messina Denaro. Matteo, il super latitante ne è oggi il capo, erede di Francesco, il campiere del Belice che diede a Vincenzo Virga l’ordine di fare ammazzare Mauro Rostagno, come racconta il pentito di Mazara Vincenzo Sinacori. Le parole ogni giorno pronunziate da Rostagno da quella tv era una sfida che Cosa Nostra non voleva più tollerare. Rostagno aveva toccato il boss dei boss trapanesi, il mazarese Mariano Agate, lo irrideva e ne indicava il malaffare che questi si lasciava dietro, e Lipari un giorno gli mandò un segnale preciso dalla gabbia del Tribunale dove si trovava per il processo sulla uccisione del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari: quel giorno c’era l’operatore di Rtc con la telecamera in aula, Agate gli fece segno e gli disse di dire a quello là con la barba, vestito di bianco, di non dire ancora minchiate.
Gli scenari di allora, oggi sono quelli sotto processo con tutti i loro protagonisti, per alcuni di loro ci sono condanne definitive, per altri i dibattimenti sono in corso. Imputati mafiosi come Mariano Agate boss indiscusso di Mazara o anche politici, contro di tutti questi Rostagno dalla tv si scagliava, e quella stampa libera a Cosa Nostra e non solo a Cosa Nostra dava fastidio. e per questo la mafia liberò i lupi per quel pasto infame. Gli altri possibili scenari, come la scoperta di un traffico di armi nel trapanese da parte di Rostagno, che avrebbe ripreso con una tele camerina l’arrivo di un aereo sulla pista di quell’aeroporto ufficialmente chiuso di Kinisia, alle porte di Trapani, non emergono nell'ordinanza, ma non sono esclusi da chi ancora oggi indaga. Non si esclude che il delitto voluto da Cosa Nostra non fosse stato desiderato anche da soggetti esterni a Cosa Nostra.
Le indagini sul delitto Rostagno non sono finite. Come hanno chiesto che sia quelle 10 mila persone che hanno inviato una petizione al presidente Napolitano circa un anno e mezzo addietro, perchè l'omicidio non restasse dimenticato. Non era così e così non è stato.
Trapani, 23.05.2009 | di Rino Giacalone
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