Georgia: l’Europa blocca gli Usa


Astrit Dakli


Nonostante i toni durissimi degli ultimi giorni, gli Stati Uniti non convincono gli europei a punire Mosca per l’umiliazione inflitta all’amico più devoto di Washington. Il summit della Nato di Bruxelles finisce nel nulla e il ritiro dell’esercito russo si prolunga sempre di più.


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Georgia: l’Europa blocca gli Usa

Nonostante tutto, alla fine gli americani neanche stavolta ce l’hanno fatta a stringere intorno a se gli alleati della Nato in chiave anti-russa. L’escalation verbale degli ultimi giorni, i toni ultimativi, la sicumera con cui Washington ha annunciato in anticipo quel che “l’Occidente” farà o non farà, gli appelli accordati dell’alleato bastonato (il presidente georgiano): tutto ciò è bastato a far correre a Bruxelles Franco Frattini con tutti i ministri degli esteri atlantici, ma non a convincere i governi a prendere misure di rappresaglia contro Mosca per la sua “aggressione” alla Georgia.
In effetti, dal summit straordinario non è uscita nessuna decisione. Giusto un nuovo invito al Cremlino perché si decida a ritirare le sue truppe dalla Georgia “propria” ( non da Sud-Ossezia e Abkhazia, quindi), “altrimenti non potremo continuare a far finta di niente” ( che è un modo per dire che chissà, forse si forse no, poi vedremo se e quando reagire). Operativamente, oltre a queste poche e poco significative parole (tanto più vuote e impotenti alla luce del fatto  che nel frattempo le forse russe continuano a controllare più o meno tutta le Georgia e non se ne andranno certo “stasera”, come ha chiesto un ministro Nato parlando alla stampa) l’Alleanza non ha messo sul tavolo  proprio niente. Neanche un blocco delle future manovre militari congiunte con la Russia (ma forse sarà Mosca a mandarle a monte), né una sospensione di lavori del Consiglio Nato – Russia; e non ne parliamo di misure più concrete, o del sospirato invito all’adesione della Georgia.
Condoleeza Rice, arrivata a Bruxelles con intenti bellicosi, ha dovuto piegarsi a dire che “gli Stati Uniti hanno ottenuto esattamente quello che volevano (non volevano niente, dunque), annunciando che “ora i toni cambieranno” con l’aria di chi annuncia un imminente bombardamento. Anche il segretario generale della Nato de Joop Schaeffer è apparso visibilmente contrariato, pur se era chiaro che sulla posizione americana, nel summit, c’erano solo i governi dell’ex est, e neanche tutti (Polonia, Cechia e Baltici). Persino i fedeli inglesi, che nei giorni scorsi con il ministro degli esteri David Miliband avevano ripetutamente tuonato contro Mosca, ieri hanno preferito restar coperti e si sono schierati per le “porte aperte al dialogo”, terminologia atlantica per intendere “non si fa nulla”. In definitiva, tutti i presenti hanno manifestato soddisfazione e apprezzamento  verso Mosca perché ha accettato il dispiegamento nell’area del conflitto di…venti  (20) osservatori dell’Osce, che “nei mesi prossimi” saliranno a cento (100). Quasi da ridere.
Meglio così che una dichiarazione di guerra, naturalmente, o di un congelamento diplomatico foriero di nuovi traumi: ma resta il fatto che l’immobilità scelta dall’Alleanza non è dovuta a un ragionamento su torti, ragioni e responsabilità del conflitto, né  a un’apertura verso l’idea di un nuovo concetto di sicurezza multilaterale in Europa. Dietro le non –decisioni di ieri c’è solo la difesa passiva degli interessi economici immediati dei paesi europei (energia, investimenti e commerci), che subirebbero un tracollo dalla rottura con la Russia. Formalmente, infatti, la Nato ha ribadito ieri il suo appoggio al governo di Tbilisi e alla versione dei fatti di Mikheil Saakashvili (un uomo ormai totalmente screditato in patria e all’estero): il che ha dato motivo al Cremlino per esprimere a sua volta un durissimo giudizio sulle scelte dell’Alleanza, “né sagge, né equilibrate” secondo il ministro degli esteri Sergei Lavrov. Mosca ha anche richiamato in patria “per consultazioni” il suo ambasciatore presso la Nato, Dmitrij Rogozin.                   Con la Nato che si auto-immobilizza, la Russia rimane per ora padrona del campo. Ieri c’è stato un primo “abbozzo” di ritiro, con una colonna corazzata che ha lasciato Gori verso nord dopo che un generale – davanti ai giornalisti chiamati apposta – aveva ordinato con voce stentorea: “In marcia verso Tskhinvali!”. Ma in effetti il tutto è apparso più una messa in scena ad uso dei media che un reale avvio del ritiro, che richiederà comunque parecchio tempo. Il presidente Dmitrij Medvedev, parlando al telefono con il collega francese Nicolas Sarkozy (autore con lui del “piano in 6 punti” per la cessazione delle ostilità), ha garantito che il ritiro delle forze entrate in Georgia avverrà “entro il 22 agosto”; un altro generale ha invece legato il ritiro stesso a un parallelo ritiro delle forze georgiane nelle proprie caserme. Nel frattempo resta molto seria la situazione dei profughi, sia quelli che hanno lasciato la Sud-Ossezia verso la Russia, sia quelli che invece sono fuggiti verso Tbilisi dalla stessa Ossezia e dalle altre zone dove sono entrate le truppe di Mosca. I primi stanno ricevendo ampia assistenza medico-umanitaria, ma avranno seri problemi a tornare alle proprie case (in gran parte rase al suolo); i secondi, al contrario, hanno difficoltà ora a ricevere aiuti perché strade e ferrovie attraverso la Georgia sono bloccate (e anche perché la “gara di solidarietà” occidentale verso la Georgia non si è finora mostrata gran che generosa), mentre non dovrebbero aver problemi a rientrare alle proprie case una volta partiti i russi.

Fonte: Il Manifesto

20/08/2008 

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