«E la risposta è stata positiva. Hamas ha accettato», assicurava ieri S.K. un giornalista con buone fonti nel gruppo dirigente di Hamas che ci ha chiesto di rimanere anonimo. «Non sono mancate forti resistenze all’intesa – ha aggiunto – soprattutto del braccio armato e l’intervento di Saleh Aruri è stato decisivo per convincere i comandanti di Ezzedin al Qassam. D’altronde la direzione politica non aveva scelta. La situazione economica ed umanitaria a Gaza è insostenibile e la popolazione vuole gli aiuti umanitari e non un altro attacco israeliano». Le altre fazioni palestinesi, ha aggiunto, «seguiranno Hamas, come è sempre avvenuto in passato. Si aspetta ora la risposta di Israele».
Risposta che potrebbe arrivare già stasera (ieri) al termine della riunione del governo israeliano o nei prossimi due-tre giorni. E che l’appuntamento sia di grande importanza lo testimonia la decisione del primo ministro Netanyahu di rinviare la sua visita ufficiale in Colombia. E ci sono voci di una partenza segreta per Doha di inviati israeliani. Il Qatar da anni è il principale sponsor finanziario di Hamas ma dietro le quinte ha rapporti con Tel Aviv. «A questo punto dipende solo da Netanyahu e i suoi ministri perché tutti gli altri sono d’accordo: Egitto, Onu e Hamas. Israele non deve insistere con la restituzione dei due militari morti e dei due prigionieri altrimenti salta tutto», ci spiegava S.K. riferendosi ai corpi di due soldati caduti nel 2014 a Gaza e a due cittadini israeliani (un ebreo etiope e un beduino) nelle manio di Hamas.
A Gaza ne sono tutti consapevoli. Sul tavolo c’è un accordo di tregua largamente favorevole Israele poiché che non è destinato a mutare la “status”di Gaza quale “prigione a cielo aperto” per oltre due milioni di palestinesi. Il blocco israeliano, terrestre e navale, si allenterà ma non sarà revocato. Secondo quanto si è saputo l’accordo prevede un cessate il fuoco in più fasi – la prima è la fine delle manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno lungo le linee tra Gaza e Israele e del lancio di palloni incendiari – che, se tutto andrà bene, porterà a una tregua di 5-10 anni. Israele da parte sua riaprirà il valico di Kerem Shalom (Karem Abu Salem) e altrettanto farà l’Egitto con il transito di confine di Rafah, tra Gaza e il Sinai.
Saranno inviati aiuti umanitari e costruite infrastrutture essenziali a Gaza sulla base di progetti gestiti dall’Onu. A disposizione dei palestinesi saranno messi nel Sinai egiziano un aeroporto e un porto marittimo. È evidente che le chiavi di Gaza sono e resteranno saldamente nelle mani di Israele e anche dell’Egitto. «Dopo anni di assedio gli israeliani ci hanno preso per fame. Hamas in questi anni ci promesso vittorie militari e libertà. Ma avremo solo un po’ di pane e qualche ora di elettricità in più. E non possiamo rifiutarli», commentava ieri con amarezza Yasser T., un insegnante.
L’accordo prevede anche la riconciliazione tra Hamas e Fatah, il partito del presidente dell’Anp Abu Mazen. Il movimento islamico dovrebbe cedere defintivamente il controllo di Gaza, che mantiene dal 2007, al governo dell’Anp. Le due parti organizzeranno elezioni entro sei mesi. Lo scetticismo tra i palestinesi è forte.
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6 Agosto 2018