Gaza, anniversario della marcia del ritorno
Michele Giorgio
In 40 mila hanno partecipato alle manifestazioni a ridosso delle linee con Israele. Oltre a quattro giovani morti, si contano più di 300 feriti. Sullo sfondo l’incertezza per l’esito delle trattative per una tregua a lungo termine tra Hamas e lo Stato ebraico.
Adham Amara, 17 anni, Tamer Abou al-Kheir, 17, Mohammed Saad, 21, Bilal Abogamous, 17. Sono i nomi e l’età dei quattro ragazzi palestinesi uccisi ieri dai colpi esplosi dai tiratori scelti israeliani durante le manifestazioni a ridosso delle linee tra Gaza e lo Stato ebraico nel primo anniversario della Grande marcia del ritorno.
Non pochi hanno tirato un sospiro di sollievo commentando a fine giornata il numero “basso” di morti e feriti. Ci si aspettava un massacro, delle stesse proporzioni di quello dello scorso maggio quando sotto il fuoco dei soldati dell’esercito israeliano, mentre a Gerusalemme Ivanka Trump e suo marito Jared Kushner celebravano il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv nella città santa, a Gaza furono uccisi in poche ore oltre sessanta palestinesi. Quel bagno di sangue non si è ripetuto ma ieri quattro giovani hanno perduto la vita e non sono solo dei numeri. E lo stesso vale per le decine di feriti da arma da fuoco, otto dei quali in condizioni critiche.
E non va letta solo come un numero anche la partecipazione di almeno 40mila palestinesi all’anniversario della marcia. Quelle decine di migliaia di persone che hanno raggiunto la fascia orientale di Gaza hanno mostrato una determinazione che è figlia della disperazione e del fatto che non hanno più nulla da perdere.
«Continueremo a protestare contro l’assedio israeliano ogni venerdì, come abbiamo fatto per un anno» ci diceva ieri Tamer, un cinquantenne che assieme ai figli ha raggiunto Al Malaka, a est di Gaza city, il più affollato dei cinque accampamenti allestiti per la Grande Marcia del Ritorno. «Non possiamo fermarci» ha aggiunto «non abbiamo ancora ottenuto nulla, accetteremo di farlo solo quando vedremo la fine dell’assedio e saremo liberi». Simili i commenti di altri partecipanti alle proteste, di ogni età, ai quali abbiamo rivolto le nostre domande. Dispiaciuto per la morte dei tre giovani e allo stesso tempo soddisfatto per come è andata ieri, si dice Salah Abdel Ati, teorico della lotta popolare contro l’occupazione e tra i promotori del “Comitato contro l’assedio”, che riunisce forze politiche e associazioni civili di Gaza, che all’inizio del 2018 concepì e diede vita alla Marcia. «Ogni settimana siamo costretti a contare nuove vittime ma dobbiamo andare avanti» sottolineava, tracciando su nostra richiesta il bilancio di un anno di proteste. «La strada è lunga» ha detto «i nostri obiettivi non sono ancora a portata di mano eppure non perdiamo la fiducia e la convinzione di poter liberare Gaza dall’assedio. Il rammarico più forte è che la comunità internazionale non è intervenuta come ci aspettavamo a sostegno della causa della gente di Gaza che ha diritto alla libertà e a una vita dignitosa».
Abdel Ati è certo che la Grande Marcia del Ritorno andrà avanti. E altrettanto affermano i capi di Hamas, Ismail Haniyeh e Yahya Sinwar, e uno dei leader del Jihad Khaled al Batch. Tutti è tre ieri erano presenti tra la folla a poche centinaia di metri dalle linee israeliane. Haniyeh afferma che le proteste non cesseranno anche con un esito positivo della mediazione condotta dall’Egitto per arrivare alla tregua tra Israele e i palestinesi a Gaza. Potrebbero però proseguire in forma sostanzialmente simbolica se, come prevedono i punti del possibile accordo di tregua a lungo termine, Hamas accoglierà di mettere fine o di contenere l’“attrito” lungo le barriere di confine, oltre a garantire che non saranno più lanciati razzi verso il territorio israeliano.
Ed è chiaro che ad avere l’ultima parola sul futuro della Grande Marcia del Ritorno sarà la leadership del movimento islamico malgrado a Gaza ribadiscano che Hamas non ha nelle sue mani il volante delle proteste.
I comandi militari israeliani ieri non hanno tardato ad attribuire proprio all’opera di contenimento dei manifestanti svolta da Hamas la mancata conclusione delle proteste in un bagno di sangue. Una valutazione aderente alla realtà. La presenza ieri di agenti in borghese della polizia e dei servizi di sicurezza tra i manifestanti è stata massiccia. Il movimento islamico quindi ha segnalato la sua affidabilità e capacità di controllo della situazione a Gaza al “nemico israeliano”. Il suo capo Ismail Haniyeh lo ha ribadito durante le conversazioni telefoniche avute con il ministro degli esteri del Qatar, Mohammed bin Abdel Rahman al Thani, e il vice direttore dell’intelligence egiziana, Amro Hanafi.
Non è detto che riesca a convincere Netanyahu ad approvare la tregua. Il premier israeliano ieri ha recitato di nuovo il ruolo di Mr. Sicurezza e ha fatto i complimenti alle forze armate per come hanno “gestito” la situazione a ridosso di Gaza. Le aspettative di Hamas – e soprattutto quella della popolazione palestinese – all’ultimo potrebbero andare deluse. Il premier israeliano non rinuncerà alla linea intransigente a pochi giorni dal voto per il rinnovo della Knesset mentre dalla stessa maggioranza di governo riceve critiche per come sta affrontando la questione Gaza.
Michele Giorgio
Il Manifesto
31 marzo 2019