G20-Cop26, le promesse dei grandi
La Stampa
Inizia domani a Roma la “settimana del multilateralismo”. Prima il G20 romano, poi la carovana dei leader si trasferirà a Glasgow dove domenica aprirà la conferenza Onu sul clima (Cop26) che si chiuderà il 12 novembre.
Con la visita in Vaticano del presidente Biden e il suo successivo incontro con Mattarella e Draghi,
inizia la “settimana del multilateralismo”.
Prima il G20 romano, poi la carovana dei leader si trasferirà a Glasgow dove domenica aprirà la conferenza Onu sul clima (Cop26) che si chiuderà il 12 novembre.
Alcuni temi di Roma – vaccini, energia, economia, tassazione globale e clima – discussi dai leader dei venti Paesi più forti economicamente (rappresentano quasi l’80% del Pil totale) torneranno protagonisti in Scozia. Le sfide si intrecciano. Impossibile affrontarle a compartimenti stagni.
Così il G20 nella bozza del documento finale – lungo 11 pagine e anticipato dall’agenzia “Bloomberg” – definisce il clima «una sfida esistenziale». Il G20 si impegna a ridurre «in modo sostanziale le emissioni di metano». Si discuterà di migranti e si boccerà – sempre l’anticipazione della bozza – il protezionismo «per rafforzare gli scambi multilaterali». Mancheranno – in presenza – Xi e Putin; Biden arriva in Europa ammaccato dai negoziati con il Congresso. Von der Leyen chiede progetti concreti e non solo promesse. Il 12 novembre si capirà se la stagione del multilateralismo sarà ancora viva e vegeta.
Pechino snobba i consessi mondiali, avanti sul carbone per rilanciarsi
L’assenza dalla Cop26 rischia di pregiudicare la riuscita del vertice. Ieri la Cina ha giocato d’anticipo presentando all’Onu il suo piano aggiornato di riduzione delle emissioni. Confermato l’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2060, con la previsione di un abbassamento del consumo energetico del 13,5% entro il 2025. Ma nel breve e medio termine l’utilizzo dei combustibili fossili non diminuirà. Anzi, si prevede di raggiungere il picco dell’inquinamento da carbonio entro il 2030, giocando anche sullo status ufficiale di paese in via di sviluppo. Nelle ultime settimane, tra l’altro, le restrizioni già imposte sono state sospese a causa della crisi energetica, con l’ordine alle miniere di aumentare la produzione di carbone. Secondo gli esperti, miglioramenti minimi e non sufficienti per un paese responsabile di oltre un quarto dell’inquinamento da carbonio mondiale. I mancati viaggi di Xi sono ufficialmente motivati dalla sua decisione di non lasciare la Cina per tutto il 2021 a causa della pandemia, ma gli offrono la possibilità di non sedersi a tavoli a cui si sentirebbe accerchiato.
Lorenzo Lamperti
Il Cremlino punta ancora sul gas, ultima speranza di tornare a contare
Vladimir Putin parteciperà in remoto, una necessità mentre la valanga di contagi e morti di Covid sta sommergendo la Russia, ma anche una metafora del suo essere sempre più distanziato dai palcoscenici internazionali che un tempo calcava con successo. Troppe sanzioni, troppe ostilità, troppi imbarazzi, mentre i reporter annotano chi ha preferito evitare di farsi riprendere con il leader russo per non generare polemiche e chi invece si è intrattenuto volentieri con lui (memorabile il “batti il cinque” di tre anni fa a Buenos Aires con il principe saudita Mohammed bin Salman, un altro malvisto nei salotti buoni per l’omicidio del giornalista Khashoggi). I problemi internazionali del presidente russo sono noti, e lampeggiano come un’insegna al neon sopra ogni iniziativa del Cremlino: la Crimea annessa, la guerra nel Donbass, l’intervento in Siria, tutto quello che ha spinto la Russia nell’isolamento, che Putin punta a rompere, mostrandosi non solo “manostringibile”, ma necessario.
Le necessità sulle quali la Russia potrebbe rivelarsi insostituibile sono poche, una di meno con l’abbandono dell’Afghanistan, ma la crisi del gas sembra aver riportato Mosca ai bei tempi in cui Gazprom era il suo vero ministero degli Esteri. Putin non è riuscito a trattenersi di recente dal gongolare in pubblico per gli europei che «hanno scommesso troppo sul vento» e ora hanno bisogno di gas. E così, mentre mezza Europa dell’Est negozia con Mosca i prezzi sul metano, la Moldova passa al razionamento dopo non essere riuscita a contrattare, e a Chishinau non nascondono che Gazprom era pronta a uno sconto cospicuo in cambio di un allontanamento dall’orbita Ue. Al Cremlino non hanno mai creduto molto nella possibilità della transizione energetica, e non è solo una questione di ideologia: per il maggior produttore di idrocarburi mondiale scommettere sul green è un po’ come per un macello battersi per l’obbligo del vegetarianesimo. Con l’isolamento crescente dal resto del mondo, anche nel campo delle idee, l’orologio di Mosca segna un ritardo sempre più marcato, ma invece di dargli una carica il Cremlino tenta di mettere dei pesi sulle lancette degli altri, in nome del “conservatorismo moderato” teorizzato solo pochi giorni fa da Putin.
Anna Zafesova
Un piano verde da 555 miliardi, ma è il Congresso a decidere
Biden gioca il tutto per tutto, per avere il capitale economico e politico necessario a trasformare in un successo la missione al G20 e alla Cop26. Così però mette in gioco la presidenza, che in caso di sconfitta difficilmente potrebbe rialzarsi.
Il programma prevedeva che partisse per Roma alle otto di ieri mattina, ma invece ha ritardato di mezza giornata, per fare un blitz imprevisto al Congresso. Lo scopo era ottenere il passaggio del pacchetto per le “infrastrutture umane” da 1.850 miliardi di dollari, da aggiungere a quello per le infrastrutture fisiche da 1.200 miliardi. Con la crescita frenata al 2% dalla variante Delta e dal blocco della catena delle forniture, il presidente ha bisogno di questa iniezione di investimenti per riformare la società americana, rilanciare la sua popolarità scesa al 41%, e centrare gli obiettivi di G20 e Cop26, fra cui confermare la global minumum tax, frenare il Covid, rimettere in moto la supply chain, e ridurre le emissioni per contenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi. I soldi per raggiungere questi traguardi sono nei due pacchetti infrastrutture, perciò indispensabili a salvare la presidenza. Il problema è che finora i veti incrociati di moderati e progressisti democratici hanno impedito l’approvazione. Perciò ieri Biden ha tentato il tutto per tutto, presentando un piano da 1,85 trilioni, che contiene 555 miliardi per l’ambiente, 400 per gli asili gratuiti, 200 per i crediti fiscali alle famiglie. È circa metà di quanto aveva promesso, ma è stato costretto a tagliare perché il Senato è diviso a metà, 50 seggi per partito, e quindi non può permettersi di perdere i voti dei moderati Manchin e Sinema. Alla Camera però i democratici hanno una maggioranza di soli 8 voti, e non possono perderne più di 3, ma qui sono i progressisti ad avere il coltello dalla parte del manico. Biden li ha sfidati, presentando senza il loro via libera l’accordo con i moderati. La Speaker Pelosi ha esortato i colleghi non imbarazzare il capo della Casa Bianca, bocciando il pacchetto mentre è al G20 e alla Cop26. Se però 4 deputati progressisti gli volteranno le spalle, la sua presidenza rischierà la fine.
Paolo Mastrolilli
La leadership su vaccini e clima: “Emissioni zero entro il 2050”
Rivendicare il ruolo di “farmacia del mondo” nella lotta al Covid19 e di continente leader nella transizione ecologica «per dimostrare al mondo che si può ridurre la Co2 e crescere economicamente». L’Unione europea sa di poter dare un forte contributo al rilancio del multilateralismo e per questo spera di giocare un ruolo di primo piano al G20, ma soprattutto alla Cop26.
Ursula von der Leyen arriva a Roma per rivendicare il contributo offerto sul piano globale nella lotta alla pandemia, con l’obiettivo di contribuire al raggiungimento del target fissato dal G20: vaccinare il 70% della popolazione mondiale entro il 2022. «Quest’anno abbiamo distribuito 880 milioni di vaccini ai nostri cittadini e ne abbiamo esportati 1,2 miliardi», ha ricordato ieri rimarcando la scelta anti-protezionistica dell’Unione. Non solo: l’Europa si sta dando da fare per aiutare i Paesi più in difficoltà perché «nessuno è al sicuro fino a quando tutti non saranno al sicuro». Un’azione su due fronti. Il primo è quello della solidarietà: gli Stati Ue doneranno 500 milioni di dosi di vaccino ai Paesi poveri. Ma il secondo è persino più importante: «Siamo impegnati per incrementare la produzione di vaccini in Africa, che oggi è ferma all’1% del fabbisogno, con l’obiettivo di portarla al 60% nel 2024» ha spiegato von der Leyen, ricordando il miliardo di euro già investito.
E poi ci sono le sfide ambientali, con l’Europa che punta a essere il primo continente a raggiungere la neutralità climatica nel 2050. La strada per arrivarci – definita dal Green Deal – è ancora oggetto di diatribe interne, ma sulla scena globale l’Ue vuole indicare la direzione di marcia. «Il punto di partenza della Cop26 non è buono – ammette von der Leyen – perché non è questione di cosa faremo nei prossimi 30-40, ma nei prossimi dieci. Noi taglieremo del 55% le emissioni nocive già entro il 2030». Bruxelles spinge inoltre sull’impegno di Parigi relativo agli investimenti climatici nei Paesi meno sviluppati: l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari l’anno sarà raggiunto solo nel 2023, ma secondo von der Leyen va anticipato al 2022. L’Ue contribuisce con 25 miliardi e a Glasgow annuncerà ulteriori 4 miliardi dal bilancio comunitario entro il 2027.
Marco Bresolin
La Stampa
29 ottobre 2021