Abbiamo esportato inflazione e rancore, più che democrazia!


il Manifesto


Investito in sviluppo un 20° di quanto speso per guerreggiare. E solo un decimo di quel 20° è finito in progetti agricoli, per un popolo a cui non restava altro che coltivare oppio. A chi presentare il conto della disfatta? I paesi Nato potrebbero almeno accollarsi, in proporzione al Pil, l’impegno di dare ospitare le migliaia di profughi in fuga


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
24lettere1-nato-afghanistan-ap-1

Riavvolgiamo il filo della matassa dall’inizio. Andammo in Afghanistan nel 2001 per aiutare gli Usa, in base all’art. 5 del Patto Atlantico, ad inseguire a caldo i mandanti degli attacchi dell’11 settembre. In diritto internazionale si chiama hot pursuit e l’inseguimento è legittimo finché è “caldo”, non se dura vent’anni.

Venuti meno gli obblighi difensivi si doveva tornare a casa. Invece no. Si decise di “adottare” quel Paese lanciando un’ambiziosa operazione di nation building. Per farlo si ricorse alla Nato (North Atlantic Treaty Org.), istituita nel 1949 in funzione anti-Urss. Che c’entrava con l’Afghanistan, distante 5000 km dall’Atlantico?

Parte della verità è che, scomparsa l’Urss, la Nato non sapeva come riciclarsi e volentieri accettò il nuovo ruolo affidatogli da Washington: esportare la democrazia. Un compito non proprio adatto per un organismo militare. Se è vero che la funzione crea l’organo, qui è stato l’organo a creare la funzione, nella peggior logica delle burocrazie. Risultato? In Afghanistan il divario tra spese militari e civili è stato di 20 a 1.

I governi donatori hanno investito per lo sviluppo del Paese un ventesimo di quanto speso per guerreggiare (e di quel ventesimo un buon terzo è tornato indietro per acquisti all’estero, stipendi ai cooperanti e commissioni varie). Infine, solo un decimo di quel ventesimo è stato investito in progetti agricoli, in un Paese popolato in maggioranza da contadini a cui non restava altro che coltivare oppio.

Esportare la democrazia? Finora si era esportata soprattutto inflazione. L’afflusso di cooperanti, consulenti, militari e uomini d’affari – tutti remunerati tra 10 e 50 volte più del salario medio di un afgano – alimentava un’inflazione devastante per i salari dei poveracci. Non si era mai visto tanto denaro nelle città, e solo nelle città. La corruzione era inevitabile, il rancore della massa di esclusi pure.

Organizzare libere elezioni? Il modello occidentale si è frantumato all’impatto con le tradizioni locali. Famose le elezioni presidenziali del 2009 che riportarono Karzai alla vittoria. In provincia di Kandahar, governata da un fratello di Karzai, i capi-clan del distretto di Shorbak avevano deciso di votare per il suo avversario; arrivò la polizia, sigillò tutti i seggi, impossibile votare, e a Kabul pervennero 23.900 schede riempite col nome di Karzai. La Commissione istituita dall’Onu registrò circa 3000 brogli con “prove chiare e convincenti di frode elettorale”.

L’obiettivo dichiarato della strategia Nato era quello di svuotare il bacino di consenso degli insorti a suon di denaro e di operazioni militari, in modo da indurli ad arruolarsi nelle forze governative. E’ successo proprio il contrario tra lo stupore generale. Eppure, si doveva sapere che già da anni i talebani avevano installato “governi ombra” in ognuna delle 34 province del Paese. Così si spiega anche la rapidità del cambio di governo: è bastato un solo giorno, senza sangue, neppure fossimo a Westminster nell’alternanza fra Labour e Tories…

Da tempo i veri esperti, naturalmente inascoltati, ammonivano che l’occupazione straniera era il problema, non la soluzione.

Tra questi l’ex-ambasciatore russo a Kabul, Zamir Kabulov, che già dieci anni fa ammoniva: «Non c’è errore commesso dall’occupazione sovietica che non venga ripetuto ora… I militari della Nato si sono alienati le simpatie della popolazione, con cui comunicano dalle canne dei mitra protetti dalle corazze degli Humvee. La Nato sta vincendo le battaglie ma perdendo la guerra». Gli esperti come lui vedevano la Nato impelagarsi in un’avventura destinata a finire dentro le sabbie mobili: dove più ti agiti più affondi.

A chi presentare ora il conto economico della disfatta? Impossibile riuscirci.

Ma i membri della Nato potrebbero almeno accollarsi, in proporzione al rispettivo Pil, l’impegno doveroso di dare ospitalità alle migliaia di profughi in fuga dall’Afghanistan verso occidente.

Senza dimenticare che il primo Paese confinante a ovest dell’Afghanistan è l’Iran, già costretto ad ospitare alcuni milioni di profughi, soprattutto sciiti. E se Biden avesse a cuore la stabilità della regione, dovrebbe alleviare il disastro umanitario in corso revocando subito le vergognose sanzioni volute da Trump contro il popolo iraniano.

Giuseppe Cassini
Il Manifesto
23 agosto 2021

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+