Eritrei: le famiglie dei morti in mare scrivono una lettera al Consiglio d’Europa


Redattore Sociale


Chiedono al commissario Hammarberg di aprire un’inchiesta sulla strage dei 73 eritrei deceduti dopo tre settimane alla deriva nel Canale di Sicilia ad agosto. E accusano Italia e Malta di omissione di soccorso.


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Eritrei: le famiglie dei morti in mare scrivono una lettera al Consiglio d’Europa

ROMA – “Perché non furono salvati e chi è responsabile per la loro morte?”. I familiari e gli amici dei 73 eritrei morti nell’agosto 2009 al largo di Lampedusa, dopo oltre 20 giorni alla deriva senza ricevere soccorso, scrivono al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg. Accusano Italia, Malta, Frontex e diverse navi civili di aver negato il soccorso ai propri cari, e chiedono che venga aperta un’inchiesta sul caso. In una lettera inviata per conoscenza anche all’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, all’Organizzazione internazionale per le migrazioni e ai Ministeri dell’Interno maltese e italiano, i familiari delle vittime ricostruiscono i fatti alla luce degli elementi raccolti. I familiari delle vittime – che vivono in Africa, Australia, Europa, Canada e Stati Uniti – hanno infatti potuto parlare sia con i cinque superstiti in Sicilia, sia con gli eritrei della diaspora in Libia e a Malta. Secondo la loro ricostruzione dei fatti, il gommone partì dalla Libia la notte del 28 luglio 2009, con a bordo 82 richiedenti asilo africani, tra cui 26 donne, due delle quali incinte. La maggior parte dei passeggeri erano eritrei, ma a bordo si trovavano anche alcuni nigeriani e etiopi. Il giorno dopo, rimasero senza carburante, e iniziarono a vagare alla deriva nel Canale di Sicilia.

Le famiglie erano al corrente della loro partenza, e in Germania, la sorella di uno dei passeggeri, allertò subito alcune Ong tedesche per avere notizie. La prima e-mail risale al 31 luglio 2009. Due settimane dopo, il 14 agosto 2009, una di quelle Ong, il Consiglio dei rifugiati (Flüchtlingsrat) di Colonia, in Germania, contattò per e-mail il ministro della Giustizia e degli Affari Interni di Malta, l’onorevole Carmelo Mifsud Bonnici, spiegando la situazione dell’imbarcazione di cui si erano perse le tracce. Tuttavia nessuno prese l’allarme sul serio. Né le autorità né le navi civili di transito in quel tratto di mare. Ad agosto i pescherecci di Mazara del Vallo erano in porto per il fermo biologico, ma molte navi erano in zona. Secondo i racconti dei superstiti raccolti dai familiari, diverse navi li incrociarono senza prestare loro aiuto. Tre rifugiati, nel disperato tentativo di chiedere aiuto si buttarono in mare e provarono a raggiungere a nuoto una di quelle navi per chiedere aiuto. Ma la nave si allontanò e i tre scomparirono tra le onde. Un altro rifugiato invece – sostengono i superstiti – raggiunse a nuoto una nave e riuscì a arrampicarsi per allertare l’equipaggio, ma poi venne ributtato in mare senza pietà. Fu così che dopo 23 giorni alla deriva, morirono uno dopo l’altro 77 degli 82 passeggeri.

La mattina del 20 agosto la Guardia di Finanza soccorse finalmente i cinque superstiti al largo di Lampedusa. Fu in quell’occasione che si scoprì che Malta aveva intercettato il gommone due giorni prima, limitandosi a fornire carburante, viveri e giubbetti di salvataggio per continuare la traversata verso Lampedusa. Non solo, nei giorni precedenti le autorità maltesi avevano avvistato sette cadaveri in alto mare, che appartenevano probabilmente al gruppo dei migranti alla deriva. Ma allora – si chiedono i familiari – “perché la barca degli immigrati rimase alla deriva per più di 20 giorni nelle acque europee senza essere intercettata e soccorsa?”. E continuano: “in un periodo in cui gli Stati sono in stato di massima allerta per il timore di attacchi terroristici e dei pirati in mare, è molto verosimile che la barca sia stata monitorata dai sistemi radar e dai satelliti”. Per questo i familiari dei dispersi chiedono di avere accesso ai dati di sorveglianza delle autorità militari.

Fonte: Redattore Sociale

4 dicembre 2009

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