Elezioni in Sudan: Informazioni e considerazioni in attesa dei risultati finali
Campagna Italiana per il Sudan
I risultati definitivi sono previsti per oggi 20 aprile, ma indiscrezioni e proiezioni hanno cominciato a circolare appena le urne sono state ufficialmente chiuse…
In questo momento si stanno scrutinando le schede delle prime elezioni multipartitiche svoltesi in Sudan negli ultimi 24 anni. Lo scrutinio, come le operazioni di voto, si presentano particolarmente complesse in quanto si è votato contemporaneamente per tutti i livelli di rappresentanza: la presidenza e il parlamento nazionale; la presidenza e il parlamento dello stato semiautonomo del Sud, i governatori e i parlamenti degli stati federali, le località e le contee…In tutto, ai cittadini del Sud Sudan sono state consegnate 12 schede mentre a quelli del Nord Sudan 8; questo in un paese con tassi di alfabetizzazione tra la popolazione adulta altissimi, soprattutto al Sud, e che votava per la prima volta in un quarto di secolo. Testimonianze dicono che, per votare, ci sono voluti fino a 20 minuti a persona. Lo stesso Presidente del Sud, Salva Kiir, avrebbe sbagliato a scegliere l’urna giusta per una delle sue schede.
I risultati definitivi sono previsti per il prossimo martedì, 20 aprile, ma indiscrezioni e proiezioni hanno cominciato a circolare appena le urne sono state ufficialmente chiuse, alle 18 di giovedì 15 aprile. Questi primi dati danno un’affluenza alle urne diversificata nelle varie zone del Paese, ma che si aggira tra il 54% e il 67% degli aventi diritto, cioè di coloro che si erano iscritti alle liste elettorali nello scorso dicembre. Le prime proiezioni vedono il Presidente uscente, Omar El Bashir, e il partito di governo, l’NCP, avviati ad una vittoria tanto schiacciante quanto annunciata.
Le operazioni di voto, cominciate domenica 11 aprile, si sono prolungate fino a giovedì 15, cinque giorni invece dei tre inizialmente programmati. L’estensione si era resa necessaria a causa di innumerevoli problemi logistici e organizzativi verificatesi ai seggi elettorali, per altro ampiamente previsti dai partiti di opposizione e dagli osservatori internazionali del Centro Carter, gli unici che hanno monitorato tutto il processo elettorale fin dalle fasi iniziali, che avevano chiesto uno slittamento delle elezioni stesse. Ad urne chiuse, la commissione elettorale nazionale – NEC – ha annunciato che le elezioni saranno ripetute in alcune decine di collegi, a causa di irregolarità tali da renderle invalide.
Alcuni network della società civile sudanese impegnati nel monitoraggio delle operazioni di voto hanno raccolto informazioni in alcune zone del paese e diffuso rapporti che hanno dato un quadro della situazione, parziale ma significativo.
La Sudanese Platform for Election, una rete di 36 associazioni, centri universitari e di ricerca attivi nell’educazione civica e nella formazione dei cittadini, hanno dispiegato 500 osservatori negli stati di Khartoum, Kassala, Gedaref e Geriza, nel Nord Sudan, e diffuso accurati rapporti quotidiani. Dal quello sul primo giorno risulta, tra l’altro, che:
– il 25% delle sezioni elettorali non erano segnalate e il resto spesso non era segnalato dalla bandiera della commissione elettorale nazionale, ma da altre;
– nel 15% delle sezioni mancava l’inchiostro per macchiare il dito di chi aveva già votato, cosa poco rilevante, comunque, dal momento che l’inchiostro usato spariva entro poche ore, permettendo, in teoria, alla stessa persona di votare numerose volte;
– il 48% delle sezioni sono state aperte in ritardo e molte non hanno rispettato l’orario di apertura previsto;
– la ritardata apertura è stata causata in molti casi dall’aver ricevuto materiale elettorale di altri collegi;
– nel 41% delle sezioni la segretezza del voto non è stata garantita, a causa della mancanza di spazio o della collocazione delle cabine;
– nel 26% dei casi si è svolta propaganda elettorale nelle vicinanze, e perfino all’interno, delle sezioni elettorali, in contravvenzione alla legge elettorale del 2008;
– nel 5% dei casi gli osservatori nazionali, nel 4% i rappresentanti di lista, nel 6% i giornalisti sono stati fatti uscire dalle sezioni con diverse motivazioni
– in parecchi casi ai rappresentanti di lista non è stato permesso di presidiare le urne durante la notte.
Situazione analoga viene descritta dal Sudan Domestic Election Monitoring and Observation Programme per quanto riguarda il Sud Sudan, l’unica parte del paese in cui si sarebbero avuti anche episodi di violenza, denunciati sia dal partito del presidente, l’NCP, sia da candidati indipendenti e di partiti di minoranza del Sud. Tali episodi sono categoricamente, e negati dal partito di governo del Sud, l’SPLM.
Il rapporto dell’African Centre for Justice and Peace Studies, afferma che anche nel terzo giorno di elezioni sono continuati gli stessi problemi logistici, violazioni della legge elettorale e manipolazioni della volontà dei votanti già segnalati nei giorni precedenti.
Nel lungo e circostanziato elenco hanno una particolare rilevanza gli episodi riportati per il Darfur:
– un candidato in West Darfur si sarebbe ritirato dopo aver constato che un migliaio di non sudanesi erano nelle liste elettorali della sua circoscrizione
– numerosi problemi si sarebbero verificati con i simboli riportati sulle schede, tanto che perfino il candidato governatore del Sud Darfur per il partito del presidente, l’NCP, non avrebbe trovato il suo sulle schede di numerose sezioni
– l’accesso al voto sarebbe stato reso impossibile in numerose circostanze: i janjaweed avrebbero preso d’assalto una sezione in El Genina capoluogo del Darfur Occidentale; in alcune località le operazioni elettorali sarebbero cominciate solo il terzo giorno; in alcuni grossi campi per sfollati (Abu Shouk e Zam Zam) le elezioni sarebbero state boicottate.
In questo panorama molte sono le preoccupazioni espresse da eminenti personalità sudanesi e gli appelli alla comunità internazionale.
Il segretario generale del Consiglio delle chiese del Sudan, che raggruppa tutte le confessioni cristiane, il presbiteriano Ramadan Chal Liol in una dichiarazione rilasciata il 14 aprile, ad urne ancora aperte, dice chiaramente che “il punto di vista della Chiesa è che l’intero processo elettorale è tale da non poter essere descritto come libero e imparziale”, e aggiunge che il boicottaggio dei partiti che avrebbero potuto competere con il NCP ha molto diminuito l’interesse per le elezioni tra la gente, mentre monsignor Paolino Lukudu, arcivescovo di Juba, sottolinea il fatto che queste elezioni sono un buon esercizio in vista del referendum per l’autodeterminazione che si svolgerà il prossimo anno. Il vescovo ausiliare di Khartoum, monsignor Daniel Adwok, dal canto suo, in un’intervista ad una Ong cattolica, esprime la preoccupazione che, al momento della proclamazione dei risultati, possano nascere tensioni dovute agli interrogativi sullo svolgimento delle operazioni elettorali.
In effetti, due tra i maggiori partiti di opposizione che avevano deciso di competere, il Popular Congress Party di Hassan El Turabi, e il Democratic Unionist Party di Mohamed Osman Al Mirghani, hanno già annunciato che non accetteranno i risultati di queste elezioni che hanno definito, senza mezzi termini, fraudolente.
E la comunità internazionale? Il Centro Carter e la capo delegazione degli osservatori europei, Veronique de Keyser, hanno messo le mani avanti: certamente le elezioni sudanesi non hanno raggiunto gli standard internazionali previsti ma bisogna riconoscere che l’appuntamento elettorale è un passo importante per la realizzazione degli accordi di pace. Il che significa, probabilmente, che, se non si verificheranno altri problemi durante lo spoglio, verranno riconosciute come valide, in forza della necessità di portare a compimento quanto sottofirmato negli accordi di pace. Certo, dicono gli osservatori internazionali, qui si parla di forma, la forma sottoscritta negli accordi di pace.
Il vescovo Daniel Adwok, nell’intervista già citata, si chiede se un simile modo di condurre le elezioni non possa aver fatto perdere alla gente fiducia nel processo politico come modalità di risoluzione dei problemi del paese. E’ una preoccupazione grave, condivisa da molti esponenti della società civile e del mondo accademico sudanese, i quali si aspettavano dalla comunità internazionale un appoggio anche sulla sostanza, che è la messa in moto del processo di democratizzazione del paese, anche questo sottoscritto negli accordi di pace del 2005, di cui queste elezioni avrebbero dovuto essere un caposaldo.
Fonte: Campagna Italiana per il Sudan
17 aprile 2010