Ecco a voi la guerra: la morte raccontata dai disegni dei bambini di Gaza


Onofrio Dispenza


Quello che emerge dalle decine di disegni che l’inviato del TG3 a Gaza, Claudio Rubino, ha raccolto nelle ore passate alla quarta D della scuola elementare dell’ONU di Jablia Camp.


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Ecco a voi la guerra: la morte raccontata dai disegni dei bambini di Gaza

In alto, a sinistra, un sole che piange lacrime di sangue. Sotto il sole giallo, bambini che sanguinano, bombe che piovono sulle case, carri armati che sfondano le porte e invadono gli interni affollati di uomini, donne e bambini. E'uno dei disegni, decine di disegni, che l'inviato del TG3 a Gaza, Claudio Rubino, ha raccolto nelle ore passate alla quarta D della scuola elementare dell'ONU di Jablia Camp. Viisita, nel primo giorno di quiete dopo giorni e giorni di una guerra pesante che ha fatto un numero assurdo di vittime civili, che ha strappato a questa martoriata striscia di terra centinaia di bambini. Una giornata che Claudio Rubino ha vissuto al fianco, e con, Marc Innaro, dopo una lunga attesa ai varchi invalicabili, per una guerra che non andava vista, non andava raccontata.

L'uno accanto all'altro, io e Claudio scorriamo questo album di fogli da disegno percorsi dai colori a cera dei bambini di Gaza. Il colore dominante è il rosso, il rosso del sangue che schizza dai piccoli corpi di chi cadeva al fianco dei compagnetti di scuola che riuscivano a scansare la morte.

Il sole che piange ritorna in tanti disegni, e ritorna l'occhio, l'occhio del Dio unico che dovrebbe unire e che dovrebbe intimorire chi arma figli contro figli.

Nei disegni, il cielo è sempre uguale, percorso dagli aerei che sganciano bombe, dagli elicotteri, bassi, che colpiscono indistintamente uomini, donne, bambini e animali. Giù, case sempre affollate, con le sagome piccole e grandi di chi le abitava. Accanto alle bombe tradizionali, che in perpendicolare sconvolgono il giorno, c'è il disegno dell'ombrello rovesciato del fosforo bianco. La testimonianza dei piccoli della quarta D di Jablia Camp arriva prima, ed è più pesante, delle risultanze delle inchieste che, forse, arriveranno quando il lutto sarà una vecchia cicatrice.

Fosforo bianco e tante sagome di bambini, sui lettini sgangherati di un ospedale affollato e troppo piccolo anche per contenere le urla di dolore. Un bambino è disegnato con una amputazione: il tratto del pastello a cera che ha disegnato i pantaloncini si ferma all'altezza del ginocchio. La piccola sagoma è nera, neri i pantaloni. A quel punto il pastello è rosso. Ancora il sangue a dominare tutto. Sangue accanto all'irrinunciabile albero verde e al fiore. Anche sotto le bombe, e con le ferite addosso, e mentre si racconta il lutto più insopportabile, sarebbe la fine di tutto se un bambino rinunciasse a pensare ad un mondo dove c'è ancora spazio per un albero o un fiore.

Accanto agli aerei, le bombe e gli Apache, i palestinesi in armi, quelli di Hamas che lanciano razzi su Israele. I bambini hanno visto anche questo e lo raccontano con i pastelli nero e verde.La guerra, paradossalmente, non ha colore.

Con Claudio Rubino, continuo a sfogliare, a vedere come non ho mai visto una guerra che adesso è cenere che cova, e che presto – se non ci saranno uomini di buona volontà nell'una e nell'altra parte – è destinata a riprendere vigore, a fare altri morti, a fermare per sempre altri bambini, a liberare altri banchi a scuola.

Sagome di moschee colpite, bandiere palestinesi che sventolano, colonne di carri armati che avanzano, ed ancora l'occhio di Dio che osserva tutto con scandalo.

Sfogliamo l'album dei bambini di Gaza quando, a un tratto, Claudio si ferma e mi ferma:"Questo, guarda questo", mi dice.

"Questo è un disegno corale, tracciato dalla manina di uno di loro, ma con tutti loro attorno. Racconta di una compagnetta che nel primo giorno di scuola, dopo i giorni della guerra, non è tornata, non tornerà mai più". Attorno alla sagoma la scena si ripete, ma il tratto che ricostruisce chi non c'è più ha un moto che si ficca al petto come un pugnale: il pennarello ha disegnato due treccine, le treccine della compagnetta che affidano a noi, come fose un santino, o una foto che non hanno".

I bambini di Gaza non lo sanno, non possono saperlo. Ma quel disegno è un atto d'accusa e una sentenza che ci hanno incaricato di recapitare al mondo e all'indifferenza e a ciascuno di noi che con presunzione pensiamo di poter essere gli unici a raccontare.

Fonte: Articolo21

29 gennaio 2009

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