Dopo 60 anni lo specchio rinvia immagini deformate
Piero Piraccini
"Alcune fotografie apparse questi giorni, più di ogni parola, riescono a descrivere la nostra (povera) Italia".
2 di giugno, festa della Repubblica, la festa regalataci da chi scelse di stare da una parte: quella antifascista, e perciò non si risparmiò in nulla. Quasi inutile ricordarlo proprio in questi giorni, quando il sindaco di Roma, fiutati i tempi, propone di intitolare una strada a Giorgio Almirante che non esitò a firmare manifesti a difesa della “razza” e a minacciare la fucilazione alla schiena per chi (era il tempo della Repubblica Sociale, quella dei ragazzi di Salò) non si fosse presentato alle armi. Forse inutile, perché le foto ritraggono il Presidente Napolitano che passa in rassegna le forze armate (ma che c’entrano col 2 giugno? Non c’è già, per loro, la festa del 4 novembre?) ed ha al suo fianco le tre maggiori figure istituzionali nelle persone del Presidente del Consiglio (Berlusconi), del Senato (Schifani) e della Camera (Fini) che poco o nulla hanno da spartire con l’antifascismo, molto invece col suo contrario. E sì, che la nostra Costituzione scritta 60 anni fa, proprio sull’antifascismo si basa, lì ha le sue radici, su quei valori fonda la propria storia. Nulla, allora, c’entra anche l’altra fotografia, quella che ritrae la famiglia di Giorgio Bezzecchi, vicepresidente dell’Opera Nomadi che da anni lavora per la promozione sociale, politica e culturale dei rom, che è stato insignito della medaglia d’oro al valor civico, che ha avuto un padre deportato in un campo di concentramento, che ha avuto un nonno bruciato in un forno crematorio a Birkenau. Non c’entra questa fotografia che ritrae lui e l’intera sua famiglia schedati, come disposto dal prefetto di Milano, così come tutti i rom residenti in quel territorio, non per avere commesso reati ma solo su base etnica. Non c’entrano queste foto che ritraggono un’Italia inaudita, insperata da molti e disperata per altri.
Altre foto di questi giorni ritraggono indifferentemente i volti della carestia ed i rappresentanti dei grandi della terra che, riuniti a Roma al vertice della FAO (l’agenzia delle Nazioni Unite che s’interessa d'alimentazione mondiale), difendono le proprie ragioni, accennano ai cereali prodotti non per il cibo ma per i carburanti, alle sovvenzioni statali a favore delle agricolture protette che mettono fuori mercato le agricolture dei paesi in via di sviluppo, ma non concludono nulla, sicché chi ha fame continuerà ad avere fame e chi spreca continuerà a farlo. Tanto chi decide non sono coloro che hanno fame, ma coloro che sprecano. E sì che pochi anni prima, i grandi dell’Occidente avevano deciso di sradicare entro il 2000 la povertà stanziando ogni anno il 7 per mille del loro PIL. Poi avevano rinviato l’obiettivo a data da destinarsi, limitandolo al dimezzamento della povertà estrema (1 dollaro il giorno per vivere!) entro il 2015. Ma Berlusconi, l’ospitante, ha solennemente affermato che è ora di passare dalle parole ai fatti. Ha detto proprio così, lui che nella sua precedente esperienza di governo non ha stanziato un euro per la promessa riduzione del debito dei paesi poveri, per il promesso 7 per mille, per il promesso aiuto contro l’aids.
E tutti a tacere perché il bon ton, di questi tempi, è un gran bel vedere. Perché l’opposizione si crogiola della propria ombra.
Alcune sere fa, a Cesena, Renato Sesana (sacerdote comboniano che ha assunto il nome Kizito, a ricordo di un martire africano) ed il suo collaboratore Michel Ochieng (Africa peace Point) hanno raccontato ad una folla di persone accorse ad ascoltarli cosa è l’Africa nel mondo e per il mondo, cosa si nasconde dietro alle guerre cosiddette tribali, cosa sono gli aiuti allo sviluppo (spesso aiuti per chi li fa non per chi li riceve), cosa significa l’educazione scolastica e la formazione al lavoro per i ragazzi di strada, quali potenzialità può avere la democrazia in un continente libero di scegliere le priorità su cui investire, che risultati può conseguire il denaro gestito col microcredito nei confronti di chi intende avviare un’attività d’impresa, cosa sono le risorse africane per il mondo non africano che ha bisogno di quelle risorse. Cose banali se misurate col criterio della ragione, cose rivoluzionarie se rapportate a quanto siamo abituati a vedere. Cose da ascoltare obbligatoriamente e da meditare se si vuole dare un senso allo straniamento che sempre più avvolge questo nostro paese. Dove tutto ormai sembra sopito, dove quello che dovrebbe essere sentito come eccezionalità (cos’altro è l’incendio di un campo nomadi o la schedature su base etnica o un’imbarcazione rovesciata col suo carico umano?) è vissuto quale normalità, e rassicurante perlopiù.
E intanto, chi per storia e cultura politica più di altri ha cari questi temi, si compiace di perseverare nelle proprie divisioni identitarie, nel ricercare quel luogo minuscolo che lo fa diverso dall’altro finendo per confondere l’identità finalmente ritrovata con l’invisibilità sociale. Disperante.
Sosteneva il filosofo tedesco Ernst Bloch che ai piedi del faro c’è il buio. Si, ma dov’è il faro?
di Piero Piraccini