Dimenticare Lhasa. Quattro attivisti ricordano che…
Emanuele Giordana - Lettera22
Non è vero che la questione tibetana è archiviata. E’ che ne sappiamo poco (e Sarkozy non riceverà il Dalai Lama). Lhasa è blindata ma in Indiua la protesta corre e oggi a Delhi si manifesta. Intanto a Pechino quattro attivisti armati di striscioni…
Sono le cinque e mezzo del mattino a Pechino quando quattro attivisti filotibetani (due britannici e due americani) guadagnano la piazza antistante il nuovo stadio a nido tutto lustrini per l'apertura dei Giochi olimpici. Si arrampicano, in due, su un alto palo della luce e vi appendono due striscioni con scritto, sia in inglese sia in cinese, “One World One Dream / Free Tibet” e “Tibet Will Be Free”, il sogno della libertà dell'identità tibetana.
Protesta silenziosa e di breve durata. I quattro sapevano che sarebbero stati arrestati ma hanno voluto correre il rischio. In tutto dieci minuti. Mentre uno dei due aderenti al movimento Students for a Free Tibet, che si dichiara “Ian di Edinburgo”, parla al telefono con l'emittente Abc spiegando che gli attivisti sono entrati in Cina con visto turistico, arriva la polizia. Il fermo avviene senza incidenti e gli striscioni vengono rimossi. Poco dopo un portavoce del Comitato organizzatore spiega che la Cina ha le sue regole. Che in questi giorni seguono ovunque un diktat: “non politicizzare i Giochi”. Una speranza che si sta dimostrando vana.
Il clima a Pechino è quello di un coprifuoco che non si manifesta come tale ma che si dovrebbe nutrire per tutta la durata delle Olimpiadi di circa 100mila agenti anti terrorismo, mentre la polizia già occupa i punti strategici, gli angoli delle strade, i tetti degli edifici. E i passeggeri di metrò o i visitatori degli edifici “sensibili” vengono minuziosamente perquisiti. Incombe il Tibet ma, ancor di più, qualche possibile nuova sorpresa uigura dopo lo smacco di tre giorni fa quando due attentatori, stando alla versione ufficiale, hanno ucciso in un solo colpo 16 poliziotti e ne hanno mandati altrettanti all'ospedale di Kashgar, nello Xinjiang.
Intanto a Pechino è arrivata la torcia olimpica. La fiaccola, portata nel centro della capitale dal campione di basket Yao Ming, ha viaggiato per 140mila chilometri e attraversato il pianeta da quando, il 24 marzo scorso, partì da Olimpia, la città greca che è un po' la madre di tutte le Olimpiadi: come i lettori ricorderanno, fu una partenza “funestata” dalla prima evidente protesta mediatica dopo i fatti di Lhasa di qualche settimana prima. Alcuni attivisti di Reporter senza frontiere apparvero alle spalle degli organizzatori sventolando una bandiera con i cerchi olimpici sotto forma di manette, logo diventato l'emblema della politicizzazione dei Giochi. Ma in seguito, dopo la dura repressione dei moti tibetani e il pungo di ferro anche con i manifestanti in India, Nepal e nelle città europee, la vicenda tibetana si era un po' assopita. Anche i colloqui tra le autorità di Pechino e gli emissari del Dalai lama non hanno portato a molto. Il gesto degli attivisti di ieri mattina ha rilanciato la polemica.
In Asia in realtà la cosa è andata avanti nonostante le notizie dal continente sulle proteste filotibetane non siano più state ritenute degne dei riflettori della cronaca. In India soprattutto, dove per oggi la Tibetan Youth Congress ha organizzato una nuova manifestazione di protesta. Da Dharamsala fanno sapere che Lhasa sarebbe sotto una sorta di stato d'assedio con un massiccio controllo poliziesco e che anche in India le forze di sicurezza non scherzano. Fonti locali fanno sapere che il poeta e attivista tibetano Tenzin Tsundue è stato arrestato qualche giorno fa mentre cercava di raggiungere una settantina di tibetani diretti verso il confine sino-indiano. Decine di marciatori sarebbero stati arrestati e detenuti nelle località di Manali e Bhuntar. Tra di loro anche lama Shingza Rinpoche, originario dell'Amdo, e considerato uno dei principali maestri spirituali della diaspora. Tutti gli arrestati avrebbero iniziato uno sciopero della fame e della sete mentre a Delhi si sono aggravate le condizioni di salute dei sei militanti della Tibetan Youth Congress che sono in sciopero della fame dalla fine luglio. Ma sempre da Dharamsala il Dali Lama getta acqua sul fuoco: “Vorrei porgere i miei auguri alla Cina, agli organizzatori ed agli atleti. Rivolgo le mie preghiere per il successo dell'evento”. In partenza per Parigi però gli arriva una doccia fredda: il presidente francese Sarkozy non lo riceverà.
Fonte: Lettera22 e il riformista
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07 luglio 2008