Ddl intercettazioni, limiterà indagini contro mafiosi e corrotti
Norma Ferrara
In occasione della XV Assemblea nazionale di Libera a Savignano sul Panaro, Ingroia: “E’ un testo che rallenterà azione magistratura nel contrasto alle mafie”.
“O il provvedimento su Spatuzza è sbagliato o va rivista la legge sui collaboratori di giustizia”. Cosi Antonio Ingroia, procuratore aggiunto alla Dda di Palermo, ha commentato la decisione della Commissione del ministero dell’interno, di negare il programma di protezione speciale al pentito, che con le sue dichiarazioni, ha avuto un peso sulla riapertura delle inchieste delle stragi del ’92-‘93. Al seminario di formazione della XV assemblea nazionale di Libera in corso sino ad oggi a Savignano sul Panaro (Mo) il magistrato palermitano ha parlato dell’attuale legislazione in via d’approvazione in materia di intercettazioni. Un testo di legge fortemente voluto dalla maggioranza di Governo, relatore Roberto Centaro, che è ritornato alla Camera dopo l’approvazione al Senato. Molti i contributi quest’anno per la formazione 2010 della Rete di Libera, fra gli altri hanno partecipato, Roberto Morrione, presidente di Libera informazione, Francesco Forgione, ex presidente della Commissione antimafia, Giancarlo Caselli, procuratore capo di Torino, Mario Schermi, formatore del Ministero della Giustizia e il magistrato della Direzione nazionale antimafia, Vincenzo Macrì.
“Una grande campagna mediatica – ha dichiarato il procuratore aggiunto di Palermo nel suo intervento “Boss al telefono. Come intercettare le mafie” – ha preparato questo disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche, creando false paure e preoccupazioni per la privacy dei cittadini e preparando, a favore di questa legge, l’opinione pubblica”. In due ore di intervento, il magistrato, autore del libro “C’era una volta l’intercettazione” ha sciorinato, numeri, cifre e analisi sufficienti a dimostrare quanto dannoso e inutile sia questo provvedimento che mira a limitare drasticamente l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche a livello investigativo e la sua diffusione a mezzo stampa, anche per sintesi, sino alla conclusione delle indagini preliminari.
E’ un viaggio dietro il back – stage delle intercettazioni telefoniche quello che il magistrato palermitano consente di intraprendere durante il suo intervento sull’argomento che sta facendo discutere da due anni il Paese. Cadono, lentamente infatti, molte delle motivazioni che il Governo ha utilizzato in questi mesi per sostenere questo provvedimento legislativo restrittivo nei confronti dell’azione della magistratura e del diritto – dovere dei giornalisti di informare. Dai numeri delle utenze intercettate (di gran lunga inferiore rispetto quelli forniti dal Ministro Angelino Alfano e dal premier Silvio Berlusconi in questi mesi) sino ai costi d'utilizzo e mantenimento ai fini delle indagini in corso . “Se si volessero davvero incidere sui costi – osserva Ingroia – si taglierebbero le voci di spesa delle intercettazioni telefoniche e ambientali, ad esempio, una su tutte quella relativa all'affitto degli strumenti di intercettazione di cui le forze dell’ordine non sono dotate (e talvolta anche dei tecnici esterni, gli unici capaci di utilizzare attrezzature cosi sofisticate) e che costringe di volta in volta a rivolgersi, con costi rilevanti, a ditte esterne. Ma non solo. Per ogni utenza intercettata lo Stato paga alla compagnia telefonica le telefonate che sta intercettando, esattamente come l’utente, con il risultato che le aziende incassano due volte mentre lo Stato paga i costi di una telefonata che sta invece intercettando a fini investigativi, nell'interesse pubblico. “Se questo ddl dovesse diventare legge cosi com’è – dichiara Ingroia – ci troveremmo di fronte ad un rallentamento delle indagini che sino ad oggi stanno portando buoni frutti: dalla cattura dei latitanti, alle indagini livello economico – finanziario, dal racket e usura, sino alle indagini sui paradisi fiscali. Non è vero che questo provvedimento terrà fuori i reati di mafia, al contrario, verranno coinvolti e le indagini si faranno sempre più complesse. In particolare, avrà un forte impatto su alcuni tipi di reati collegati all’associazione mafiosa, quali i reati invisibili come i quelli finanziari e sulla corruzione. Reati che sempre più connotano l’azione delle mafie e il loro stretto ruolo con l’economia legale e il rapporto con segmenti di finanza e politica nel nostro Paese. "Questa legge si inserisce – continua Ingroia – nel solco di una legislazione antimafia che diventa forte con i deboli e debole con i potenti”.
Oltre il ddl intercettazione, contro il quale scenderanno in piazza a Roma il primo luglio, cittadini, giornalisti, l’analisi del magistrato, incalzata anche dalle domande della platea del popolo di Libera, si è poi spostata verso la stretta attualità, sino alle indagini sulle stragi di Capaci e via d’Amelio, riaperte quest’estate anche grazie alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza che ha raccontato dopo 18 anni un’altra verità sul fallito attentato all’Addaura al magistrato Giovanni Falcone, su Capaci e sulle autobombe di via d’Amelio e del ’93 nel resto del Paese. "Le inchieste in corso sulle stragi – commenta Ingroia – stanno riscrivendo un pezzo di storia del Paese. Accade a Caltanissetta, dove c’è la delicata inchiesta su via d’Amelio, ma anche a Palermo e Firenze. Non riconoscere il programma di protezione speciale per un pentito come Gaspare Spatuzza, capo mandamento di Brancaccio, testimone e protagonista della stagione delle stragi, è un forte elemento di debolezza e disincentiva la collaborazione. “Di fronte a questi fatti, dunque, chiosa Ingroia, quel che credo è che o il provvedimento è sbagliato o va rivista la legge sui collaboratori di giustizia”. Mentre in un’aula bunker di Palermo un pool di giudici sta scrivendo la sentenza di secondo grado che dovrà decidere se, per la legge, il senatore Marcello dell’Utri è o no colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa ( accusa confermata in primo grado e per la quale sono stati chiesti 9 anni di reclusione) a Savignano sul Panaro si ragiona di fatti, di persone, di dati reali dai quali partire per un reale contrasto culturale, giudiziario e sociale alla criminalità organizzata nel Paese.
DALLA CHIESA, SEGNALI DI "ROTTURA" PER RI – COSTRUIRE
Aspettando la sentenza, si continua a parlare di rapporti fra politica, giustizia e informazione nel Paese. Lo si è fatto nella serata di ieri in particolare, grazie agli interventi, fra gli altri, del presidente di Libera informazione, Roberto Morrione, che moderando il dibattito “Se l’illegalità diventa normalità” sottolineando il ruolo centrale che l’informazione gioca in questa battaglia contro le mafie e la corruzione, ha ricordato come il nostro sia, secondo la classifica stilata ogni anno da Freedom House, un paese “solo” parzialmente libero (da condizionamenti sulla stampa) e come a questa maglia nera fra i paesi “avanzati” sia anche abbinata la bassa posizione in cui Transparency International posiziona l’Italia in materia di legalità e trasparenza, ovvero la cartina di tornasole del nostro grado interno di corruzione.
Cifre e analisi che segnalano un’anomalia, anzi più d’una. Molte vengono sottolineate negli interventi dei due magistrati presenti al dibattito, Antonio Ingroia e Vincenzo Macrì: dalle infiltrazioni delle mafie nell’economia del Paese e del centro nord, dove si stanno radicando da anni nel silenzio generale, passando per le convergenze di interessi fra pezzi dell’economia e della politica e le mafie (come sottolineato con forza anche dall’intervento di Francesco Forgione) sino ai segnali positivi e di reazione che da alcuni decenni caratterizzano la lotta antimafie nel Paese (Addiopizzo, le scelte di Confindustria, le cooperative di Libera Terra nate sui beni confiscati, vengono in particolare citate nell’intervento di Ingroia).
E infine, per il popolo di Libera, un nuovo monito arriva proprio dal presidente onorario, Nando Dalla Chiesa, che in questi anni non ha mai fatto mancare le sue riflessioni propositive e fresche a questa assemblea nazionale e di formazione a Savignano. “C’è bisogno di gesti di rottura – dichiara Dalla Chiesa – nell’intervento conclusivo che chiude il dibattito al Nuvolari; sono sempre altri a mettere in campo provocazioni culturali, che spostano l’asse di lavoro, che offuscano la visione dei problemi reali e infine non consentono altro che di agire “di rimessa”. Posto che – continua Dalla Chiesa – siano tutte valide queste azioni di rimessa dobbiamo avere la capacità di proporre noi i temi del dibattito pubblico, non possiamo continuare a lasciare che siano gli altri ad imporcele. Per far questo servono segnali di “rottura”.
Rompere per costruire. Ri – costruire un’etica pubblica, una maggiore coesione fra opinione pubblica e politica, fra il mondo dell' informazione e della cultura e il Paese. Fra legalità e diritti, per tutti. Da Savignano sul Panaro anche quest’anno nuovi fermenti di riflessione e azione politica per ripartire sui territori “con quel morso del più” che fa la differenza, come sottolinea sovente Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che chiuderà stamani i lavori della tre giorni emiliana al Teatro della Venere a Savignano sul Panaro.
Fonte: liberainformazione.org
27 giugno 2010