Darfur, il TPI contro Beshir


Irene Panozzo, Lettera 22


È andata come ci si aspettava. Ieri mattina il procuratore capo del Tribunale penale internazionale (Tpi) dell’Aja, Luis Moreno Ocampo, si è presentato in aula per chiedere ai giudici per l’udienza preliminare di emettere un mandato di cattura internazionale per Omar Hassan al-Beshir, presidente della repubblica sudanese.


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Darfur, il TPI contro Beshir

È andata come ci si aspettava. Ieri mattina il procuratore capo del Tribunale penale internazionale (Tpi) dell’Aja, Luis Moreno Ocampo, si è presentato in aula per chiedere ai giudici per l’udienza preliminare di emettere un mandato di cattura internazionale per Omar Hassan al-Beshir, presidente della repubblica sudanese. Capi d’imputazione: genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nel conflitto che dal 2003 insanguina il Darfur, la regione occidentale del Sudan.
Una mossa anticipata nei giorni scorsi da diversi mezzi di informazione, a iniziare dal Washington Post che venerdì aveva dato per certa la notizia. La sua formalizzazione, ieri, è arrivata con le dure parole di Moreno Ocampo, che ha detto che “Beshir è il presidente, è il comandante in capo, ha usato l’intero apparato dello stato, ha usato l’esercito, ha arruolato i janjawid. Il suo controllo è assoluto”.
Immediate le reazioni. Innanzitutto da parte del diretto interessato, il governo del Sudan che Beshir presiede da quando, nel giugno 1989, è arrivato al potere con un colpo di stato militare. Il portavoce del ministero degli esteri sudanese, Ali al Sadig, ha detto che il Sudan “non riconosce nulla di ciò che proviene dal Tpi”, mentre il secondo vicepresidente della repubblica, Ali Osman Taha, anch’egli un possibile indagato della corte, ha definito “politiche” le accuse mosse a Beshir. Un’altra fonte del governo, rimasta anonima e citata dal sito d’informazione arabo “Elaph”, ha invece detto che le reazioni dell’esecutivo nei confronti della comunità internazionale “saranno durissime”. Molte misure, ha aggiunto la fonte, “sono già state decise nel consiglio dei ministri di ieri [domenica, ndr.] e prevedono lo stop al lavoro di tutte le organizzazioni internazionali in Darfur”.
Per sapere se effettivamente decisioni così drastiche saranno prese bisognerà forse aspettare qualche giorno. Intanto, però, il clima a Khartoum, soprattutto negli ambienti internazionali, è di nervosa attesa. La missione di peacekeeping congiunta Nazioni Unite-Unione Africana, che ha iniziato a operare in Darfur dal 1° gennaio scorso, ha già annunciato di aver deciso “la sospensione a tempo indeterminato” di tutte le sue attività nella regione e l’evacuazione del personale non essenziale. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha detto invece in un comunicato che “si aspetta che il governo del Sudan continuerà a cooperare completamente con le Nazioni Unite, tenendo fede ai suoi obblighi per garantire la sicurezza del personale Onu”.
Inviti a collaborare con il Tpi sono arrivati anche dalla Francia e dall’Unione Europea, mentre Washington ha annunciato di aver preso “misure appropriate” per garantire la sicurezza del suo personale diplomatico e non, nell’eventualità di una reazione violenta da parte del governo sudanese.
A preoccupare sono anche i possibili effetti negativi che l’azione giudiziaria potrebbe avere sugli stentati negoziati di pace per il Darfur. Tanto che la Ua ha chiesto al Tpi di sospendere il procedimento contro Beshir “fino a che non troveremo una soluzione ai problemi primari del Darfur e del Sud Sudan”.

Fonte: Lettera 22 e quotidiani locali del Gruppo L'Espresso

15 luglio 2008

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