Dalla Balena bianca alle barricate «Io no global? Amo la democrazia»
la Repubblica
Il sindaco di Vicenza Achille Variati, pupillo di Rumor ai tempi della DC: "Non abbandono una città tradita, ci vogliono mettere il bavaglio".
VICENZA – Un pupillo di Mariano Rumor: «Mi ha insegnato il rispetto per le persone. Non ignorare, non strumentalizzare, vedere in ognuno un pezzo di Dio».
Cresciuto nel ventre profondo della Balena Bianca. Gruppi parrocchiali e di quartiere. Consigliere comunale dc nel 1980, quando già lavora in banca alla Cattolica del Veneto, dopo tre anni è segretario cittadino del partito. E nel ’90, con un numero di preferenze record, diventa a 37 anni sindaco di Vicenza. Achille Variati, classe 1953, cattolicissimo, moderato, celibe, alto e belloccio, adorato dalle suore che ad ogni consultazione lo votano in massa. Un politico vecchio stile, di quelli che girano il territorio palmo a palmo. Facciamo un salto di 18 anni, allo scorso primo ottobre, ed ecco Variati, di nuovo sindaco con tutt’altra maggioranza, che monta su un palco di fortuna in piazza dei Signori davanti a una platea di 10mila vicentini che urlano contro Berlusconi, il Consiglio di Stato che ha bocciato il loro referendum, i politici tutti, e arringa la folla dando il proprio appoggio a una «consultazione autogestita» in barba al diktat romano. Applausi scroscianti anche dai no global. Ma è lo stesso Variati? «Nessuna contraddizione. Come primo cittadino non abbandono una città tradita a cui vogliono mettere il bavaglio», dice, e mostra la spalletta con la doppia bandiera, a stelle e strisce e italiana, che porta da un mese al bavero della giacca. «Non sono antiamericano. E neppure antimilitarista. Neanche pacifista. Sono solo uno che crede nella democrazia». Dicono che la lotta contro la base Usa sarà la sua tomba politica. «Pazienza».
Ma torniamo al giovane sindaco democristiano dei primi anni Novanta. Gli riesce un colpo magistrale: la visita in città di papa Wojtyla. Mentre i palazzi della politica sono squassati dal ciclone Tangentopoli, Variati nel ’92 licenzia la sua giunta tra polemiche durissime e ne crea una nuova aprendo al Pds e chiamando al governo della città nomi nuovi. Miracolo: nessun inquisito. Quando scade il mandato, Variati passa alla Regione. Partito popolare, lista Cacciari, Ulivo, Margherita. Partito democratico, capogruppo. All’inizio di quest’anno deve decidere che fare «da grande». Puntare al Parlamento? No, torna alle origini: si ripresenta candidato sindaco a Vicenza, dove la destra domina da quando lui ha lasciato la poltrona. E ce la fa, spostando la causa degli oppositori al Dal Molin, quando ovunque, e soprattutto nel Veneto, Berlusconi e Lega fanno man bassa.
Il governo Prodi era stato netto: la base Usa s’ha da fare. Variati nel Pd è un eretico, uno «del nord». E infatti Veltroni impiega qualche giorno prima di alzare il telefono e congratularsi per la vittoria. Lui ricambia: «Il Pd si sta rinsecchendo. Non ha speranze se non rifonda la classe dirigente partendo dalle radici nel territorio». Tregua armata, forse addirittura il progetto di dire addio al partito. Quando il Consiglio di Stato boccia la consultazione popolare a Vicenza, nessuno del Pd nazionale spende una parola. Lui, che è a Roma, con gli altri sindaci veneti a trattare sul federalismo, tornando in treno a Vicenza si chiude in uno scompartimento a riflettere. Probabilmente anche a pregare. Poi, quando già l’Intercity è in vista di Firenze, chiama quelli dei comitati che stanno in corteo: «Arrivo». Sono passate le 10 e mezzo di notte, la piazza ribolle. Variati indossa la fascia tricolore di sindaco e va alla guerra.
Enrico Bonerandi
Fonte: la Repubblica
3 ottobre 2008