Costruire la pace un cantiere aperto


Rigobert Minani Bihuzo


E’ preciso dovere della Chiesa ricordare quanto detto nella Pacem in Terris. Ovvero che la pace tra le nazioni è fondata su "verità, giustizia, carità e libertà": principi fondamentali di cui tutti i popoli dovrebbero godere.


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Costruire la pace un cantiere aperto

La catastrofica situazione delle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo, una volta di più messe a ferro e fuoco a causa di interessi economici spesso esterni al Paese, mostra nella sua drammatica evidenza come la mancanza di pace si ripercuota innanzitutto sulla popolazione inerme, sui civili indifesi, su donne e bambini che subiscono le peggiori conseguenze di violenze inaudite. Quasi due milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case e cercano di sopravvivere in condizioni disumane. È di questa gravissima catastrofe umanitaria che si è fatto interprete anche Benedetto XVI, che l’ha evocata più volte durante l’Angelus.
Ma la crisi congolese ci induce a riflettere più in generale sulle cause che fanno sì che nel mondo, ancora oggi, nel XXI secolo, sia così difficile mantenere quel bene prezioso e inalienabile che è la pace. Alla luce dell’esperienza dell’Africa centrale, è evidente che molti conflitti sono spesso conseguenza dell’ingiustizia, della cattiva governance mondiale e locale, del controllo delle risorse… Le tensioni legate ai nazionalismi, identitarie o tribali, ne sono, spesso, effetti perversi.
Un esempio lampante è l’attuale crisi finanziaria mondiale. Ne soffrono i Paesi ricchi, ma essa ha – anche e soprattutto – conseguenze pesantissime su quelli poveri. L’ulteriore impoverimento di questi Paesi potrà facilmente favorire altri conflitti. Ma questo non è che il risultato di un approfondimento delle disuguaglianze tra i popoli, alimentato dalla corsa sfrenata all’accumulo di ricchezze, alla perdita di una bussola dell’economia mondiale e alla mancanza di istituzioni regolatrici credibili.
Vediamo ogni giorno che il mancato rispetto della legge e del diritto degenerano in terribili spirali di violenze, che annientano la dignità della persona. È dunque urgente che si costruiscano meccanismi razionali e coerenti di governance, capaci di far fronte alle molte forze di disordine e di conflitto presenti nel mondo.
Ogni volta che si celebra la Giornata mondiale della pace è preciso dovere della Chiesa ricordare quanto detto con molta chiarezza e forza nella Pacem in Terris. Ovvero che la pace tra le nazioni è fondata su «verità, giustizia, carità e libertà»: principi fondamentali di cui tutti i popoli dovrebbero godere. Quell’enciclica – che risale al 1963, ma che per molti versi potrebbe essere scritta oggi – deve ispirare la Chiesa nel chiedere che venga promossa la pace nel mondo in tutte le sue forme. Non solo come assenza di guerra, ma come possibilità per tutti di avere garantita una vita degna di essere vissuta. È questo l’appello che la Chiesa deve rivolgere innanzitutto alle persone e alle istituzioni che hanno la responsabilità di promuovere la pace.
La Chiesa deve, inoltre, ricordare che la pace è in pericolo anche ogni volta che un bambino muore di fame, che un popolo perde la speranza nel futuro, che l’economia mondiale favorisce l’ingiustizia… La pace sarà difficile da conquistare se il genere umano non si riallinea sui valori dell’amore e della solidarietà.
Per questo la Giornata internazionale della pace è anche un’occasione per ricordare a tutti noi che quello della pace è un cantiere appena aperto.

Rigobert Minani Bihuzo, Gesuita, Centro studi per l’azione sociale, Kinshasa (Congo)

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