Così parlò Nadine


Paola Caridi - invisiblearabs.com


Nadine Gordimer è stata a Gerusalemme, e ha consigliato agli israeliani di parlare con Hamas. Proprio nei giorni in cui gli egiziani tentano di mediare una tregua tra Israele e Hamas.


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Così parlò Nadine

“You cannot have talks without Hamas and Islamic Jihad, everyone has to be included if you’re going to get anywhere”. Parola di Nadine Gordimer, che negli scorsi due giorni ha partecipato al festival internazionale degli scrittori, organizzato a Gerusalemme ovest dal centro culturale israeliano Mishkenot Shananim. “The ‘other side’ is always the enemy, and you have to, I’m afraid, swallow that and talk. You cannot exclude Hamas, or Islamic Jihad, you have to all talk together”, ha detto la scrittrice sudafricano al quotidiano conservatore Jerusalem Post.

E dietro le quinte i contatti con Hamas ci sono, attraverso la triangolazione egiziana. Il potente capo dei servizi segreti egiziani, Omar Suleiman, è alla fine arrivato a Gerusalemme – dopo aver rinviato la sua visita almeno quattro volte negli ultimi mesi – per portare agli israeliani la proposta di tregua di Hamas, su cui l’Egitto è riuscito ad avere il benestare di tutte le altre fazioni (armate) palestinesi. Israele non ha detto sì, e ha condizionato un accordo all’inserimento del caso del caporale Gilad Shalit dentro il pacchetto. Un inserimento, quello dello scambio di prigionieri, che invece Hamas ha già dichiarato di non accettare. Bocce ferme, dunque, ma poi non tanto. Perché le indiscrezioni di oggi su Haaretz, che parlano di una riapertura del valico meridionale di Rafah anche senza l’accordo di Israele, significano che gli egiziani stanno perdendo la pazienza.

Rafah è stata riaperta per tre giorni, consentendo ai malati di uscire da Gaza e andarsi a curare in Egitto. Sono ritornati a casa anche coloro che erano rimasti bloccati da una parte o dall’altra del confine che separa Gaza dal Sinai. Ma la situazione, così, non può durare. Il rubinetto del gas viene aperto col contagocce dagli israeliani, e la centrale elettrica di Gaza opera a singhiozzo, con tutto quel che comporta non solo per gli ospedali della Striscia e per i malati attaccati alle macchine (dai dializzati in poi), ma anche per i palestinesi che malati non sono. Una situazione che va avanti nell’indifferenza della comunità internazionale e dell’opinione pubblica di tutto il mondo, e nella totale abnegazione, invece, delle organizzazioni umanitarie che tentano di tamponare quanto più possono.

Rafah riaprirà comunque, dicono le indiscrezioni. Ed è una ipotesi verosimile, per questioni umanitarie e anche per questioni politiche, visto che l’Egitto non può sostenere – dal punto di vista mediatico e politico – che a Gaza si continui a sopravvivere in queste condizioni. Suleiman sta spendendo parecchio del suo credito, tanto da aver convinto Hamas a proporre la tregua. E il credito di Omar Suleiman, forse l’uomo più potente d’Egitto dopo Hosni Mubarak, non può essere sacrificato sull’altare dei rinvii in corso con gli israeliani. Hamas ha già fatto capire che prima o poi uno dei confini deve essere riaperto, e il più stretto consigliere di Ismail Haniyeh, Ahmed Youssef, aveva già detto, a febbraio, che ci sarebbe stata una marcia per ricordare la nakba il 15 maggio, a Gaza. Il 15 maggio è domani, l’Air Force One di George W. Bush atterra questa mattina a Tel Aviv. Questa è una settimana importante, per il Medio Oriente.

Fonte: Blog di Paola Caridi e Lettera22

14 maggio 2008 

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