Colonie: inutile stop di Obama


Michele Giorgio, Il Manifesto


L’appuntamento è fissato ora a Washington, lunedì, dove andrà il ministro della difesa Barak. La Casa bianca è irritata. Ma questo non impedisce la vendita di una partita di super-caccia a Israele.


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Colonie: inutile stop di Obama

Gli insediamenti ebraici in Cisgiordania non verranno congelati. I timidi suggerimenti di Silvio Berlusconi a frenare la colonizzazione delle terre del futuro Stato di Palestina, non hanno fatto cambiare idea a Benjamin Netanyahu, ieri al suo secondo giorno di visita ufficiale in Italia e Francia. D’altronde il premier israeliano non si fa intimidire neppure dal potente alleato americano. Uno stretto collaboratore di Netanyahu, parlando ieri dall’Italia, ha spiegato che “le costruzioni negli insediamenti sono essenziali per far fronte alle necessità legate allo sviluppo naturale della loro popolazione”. Parole rivolte all’amministrazione Obama che continua ad insistere, almeno in apparenza, per lo stop totale delle costruzioni nelle colonie. La reazione di Washington non si è fatta attendere.
L’amministrazione Obama ha annullato l’incontro previsto per oggi a Parigi tra l’inviato speciale Usa per il Medio Oriente Gorge Mitchell e Netanyahu. Washington, riferiva ieri il sito Yediot Ahronot, ha comunicato ad Israele che l’incontro non si farà fino a quando lo Stato ebraico non avrà cambiato la sua posizione sugli insediamenti. “Ci hanno detto che fino a quando noi non avremo fatto il nostro dovere di fermare la colonizzazione, non servirà a nulla il colloquio di Mitchell con il primo ministro”, ha dichiarato un alto funzionario governativo Ynet.
Secondo un componente della delegazione al seguito di Netanyahu in Europa, l’incontro con Mitchell a Parigi è stato rimpiazzato da un vertice lunedì a Washington tra il ministro della difesa, il laburista Ehud Barak, e l’inviato speciale Usa. “Questo rinvio permetterà di studiare meglio le questioni in sospeso”, ha affermato. L’ufficio del primo ministro ha poi precisato che è stato Israele a chiedere il rinvio dell’incontro e non gli Stati Uniti. Ma le cose difficilmente sono andate come le raccontano gli assistenti di Netanyahu. In ogni caso è evidente che la questione è ora affidata alla mediazione di Barak che già all’inizio di giugno aveva avuto un lungo colloquio con Mitchell a New York ed ebbe poi modo di incontrare anche Obama, intervenuto a sorpresa durante il suo incontro con il segretario della difesa Robert Gates e il consigliere per la sicurezza nazionale Jim Jones. Barak lasciò gli Stati Uniti con l’impressione di aver convinto l’amministrazione Obama ad accettare, almeno in parte, il concetto della “crescita naturale delle colonie”.
Netanyahu da parte sua credeva di aver risolto il “problema” con gli Usa dichiarandosi pronto ad accettare la creazione di uno staterello palestinese senza sovranità. Due giorni fa la portavoce del dipartimento di stato ha ribadito che Washington si oppone a qualsiasi costruzione negli insediamenti colonici e che le due parti, palestinesi e israeliani, devono contribuir a creare le condizioni per portare avanti un processo di pace credibile. Nei giorni scorsi il ministro degli esteri israeliano (e leader dell’ultra-destra razzista) Avigdor Lieberman, in visita negli Usa, aveva proclamato l’intenzione del suo governo di proseguire nelle colonie, in linea con la “lettera di garanzie” consegnata dall’ex presidente Gorge Bush a Israele nel 2004. Il segretario di stato Hillary Clinton, che pure è molto vicina alle posizioni di Israele, rispose che non esiste alcuna intesa scritta e orale tra la passata amministrazione e lo Stato ebraico sul proseguimento della “crescita naturale delle colonie”. Da parte sua il nuovo ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Mitchell Oren, continua a gettare acqua sul fuoco e a negare l’esistenza di una crisi tra i due paesi. Su di un punto ha sicuramente ragione, le differenze sulla questione delle colone non minano l’alleanza strategica tra Washington e Tel Aviv in Medio Oriente. Israele e Stati Uniti, ad esempio, sono vicini a un accordo per l’acquisto di F-35, considerati i caccia più avanzati al mondo, da parte dello Stato ebraico dopo che il ministero della difesa israeliano e il Pentagono hanno raggiunto una serie di intese su  diverse richieste dell’aeronautica israeliana. Il quotidiano Jerusalem Post ha riferito ieri che Tel Aviv aveva chiesto agli Stati Uniti un’integrazione dei sistemi israeliani a quelli in dotazione sul velivolo e la possibilità di poter provvedere in modo autonomo  e in tempo reale alla manutenzione delle apparecchiature tecnologiche dei caccia. Alla fine la risposta è stata positiva anche se le richieste potrebbero consentire a Tel Aviv l’accesso a tecnologia statunitense top-secret. La prima fase dell’accordo prevede l’acquisto di 25 aerei e i primi velivoli saranno consegnati solo nel 2014. L’attacco aereo alle centrali iraniane che Israele non esclude e che i diversi analisti prevedono nel giro di un anno o due, potrebbe perciò essere compiuto da cacciabombardieri dell’ultima generazione.

Fonte: il Manifesto 

25 giugno 2009

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