Chiesa e “primavera araba”
MissiOnLine
Da Gerusalemme un’intervista al Patriarca latino Fouad Twal sulla “primavera araba”: quello che sta succedendo in Medio Oriente chiama ancora di più noi cristiani a essere cittadini del contesto in cui viviamo.
1. Quale è il suo parere riguardo la “primavera araba" ?
Da una parte, siamo molto contenti di questa presa di coscienza della gioventù che comincia a prendere nelle sue mani il proprio destino. È un movimento senza colore politico e senza particolari pregiudizi religiosi. Emana dalla consapevolezza della gioventù araba della propria forza e vitalità. Essa è riuscita a spezzare l'elemento della " paura": paura della polizia, paura dei servizi segreti, paura della prigione. Oggi, possiamo affermare che la paura ha cambiato schieramento. I governi temono questa massa di giovani, questa massa di opinione e di credenze che si stanno risvegliando. La chiesa ha sempre predicato più democrazia, più libertà e più dignità per il nostro popolo. Nel mio primo messaggio come patriarca, ho dichiarato che avrei fatto del mio meglio per evitare sia sul piano politico che religioso delle decisioni unilaterali.
D'altra parte, dobbiamo riconoscere che c'è sempre un'incognita riguardo questo genere di movimenti. Nessuno sa cosa accadrà in seguito. Speriamo che sia per il meglio e per il bene comune.
2. Qual è il ruolo dei cristiani orientali e di quelli della Terra Santa?
I Cristiani del Medio Oriente non dovrebbero restare ai margini di questi movimenti. Come abbiamo detto nel Sinodo, nell’ottobre scorso, i cristiani dovrebbero sentirsi al 100% cittadini come i loro compatrioti musulmani. Essi devono partecipare alla vita del loro paese se questi movimenti sono per il bene collettivo. Non mi piace vedere i cristiani al di fuori di questi movimenti. Perché questo è anche il loro paese. Essi non dovrebbero sentirsi in un ghetto a parte.
In quanto ai cristiani della Terra Santa, dobbiamo ricordare che qui la situazione politica è estremamente delicata e molto diversa da quella presente in altri paesi. Non esiste una ricetta miracolosa. La situazione di ogni paese è decisamente unica. La Chiesa di Gerusalemme ha una missione particolare e deve cooperare per una pace giusta e duratura attraverso i suoi interventi, le sue istituzioni e le sue scuole. Oggi è chiaro che Israele come i vicini paesi arabi devono capire il valore di queste proteste generalizzate. Se le proteste di massa dei giovani hanno sollevato questi movimenti all’interno del loro regime, tutti i paesi, compreso Israele, dovrebbero essere vigilanti. Noi stessi, la Chiesa cattolica e i leader religiosi siamo interpellati sul modo di guidarli corretamente.
3. Che cosa si aspetta dai cristiani dell’ Occidente?
Durante il Sinodo, abbiamo toccato da vicino la questione riconoscendo che la Chiesa occidentale non deve guardare la Chiesa d'Oriente solamente come la Chiesa d'Oriente. È la stessa Chiesa di fronte alle medesime sfide che vengono dai giovani, dalla famiglia, dalle vocazioni, …
I cristiani che provengono dall'Occidente non devono semplicemente aiutare la nostra Chiesa. Essi dovrebbero considerarsi parte interessata di questa Chiesa, che è la loro Madre Chiesa. Meglio, dovrebbero sentirsi responsabili del futuro dei cristiani che vivono in Terra Santa. Solo venendo a vivere qui, a Gerusalemme, essi potranno mettere delle “vitamine” nelle loro radici cristiane. Si tratta di un vantaggio reciproco sia in ambito locale che mondiale. Gerusalemme è la dimensione mondiale che sarà sufficiente per la Terra Santa.
Intervista di Christophe Lafontaine
Fonte: http://www.missionline.org
20 Aprile 2011