Centrafrica: In fuga dall’inferno dei giochi di potere


Rita Plantera


Migliaia di musulmani hanno già lasciato il Paese per le terribili violenze subite dalle milizie anti-balaka. Dietro, non un conflitto religioso, ma interessi economici e politici.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
gazzera

Fuggono in convogli di massa dalle città nord-occidentali di Bouali, Boyali, Bossembele, Bossemptele, Baoro e dal quartiere PK 5 nel centro della capitale, Bangui, verso il Chad e il Camerun o da qualche parte nelle boscaglie nei dintorni per sfuggire alla furia omicida delle milizie anti-balaka (anti-machete nella lingua locale Sango).

Decine di migliaia di musulmani – che in totale costituiscono il 15% di una popolazione di 4,6 milioni di abitanti – hanno già lasciato la Repubblica Centrafricana o trovato rifugio in chiese e mosche ancora non date alle fiamme. Il numero delle vittime, destinato ad aumentare, è solo indicativo vista la difficoltà per peacekeeper e operatori umanitari di addentrarsi in molte aree e raccogliere i cadaveri di cui sono costellate le strade.

Secondo quanto riportato da Joanne Mariner di Amnesty International, ben 100mila musulmani sono fuggiti verso nord. “Se i leader anti-balaka stanno perseguendo una deliberata politica di pulizia etnica o di punizione collettiva contro la popolazione musulmana, il risultato finale è chiaro: la scomparsa delle comunità musulmane di lunga data”, ha dichiarato Peter Bouckaert, coordinatore emergenze di Human Rights Watch (HRW). Aggiungendo come nella sola città occidentale di Yaloke sono rimasti meno di 500 musulmani e una sola moschea rispetto a una precedente popolazione di 30.000 musulmani e di otto moschee.

Una fuga in massa della minoranza musulmana – costituta in maggioranza da commercianti, bottegai e pastori – che sta oltretutto pregiudicando gravemente l’economia locale aumentando i timori di una grave crisi alimentare.

Secondo quanto riportato da Oxfam e Action Contre La Faim dei 40 grossisti, da cui dipende la maggior parte del commercio alimentare di Bangui, che importano cibo dai Paesi vicini e lo rivendono ai piccoli commercianti del posto, ne rimangono meno di dieci. Il prezzo degli alimenti di base come manioca e arachidi è aumentato a partire da novembre dello scorso anno e le vendite dei grossisti sono crollate dell’85-95%negli ultimi due mesi. Da quando gli allevatori di bestiame sono fuggiti nelle boscaglie la carne ha cominciato a scarseggiare in gran parte della capitale e quando si trova è due volte più costosa di prima. Camion carichi di derrate sono fermi al confine con il Cameroon nel terrore, una volta entrati, di restare vittime della barbarie che sta facendo terra bruciata in tutta la Repubblica Centrafricana.

In totale, sono circa 838.000 gli sfollati – un quarto della popolazione a maggioranza cristiana della ex colonia francese – e circa 2,000 i morti da quando i ribelli Seleka hanno marciato su Bangui a marzo 2013. Da allora un giro di vite a sfondo settario sta sventrando lo Stato africano per tradizione più dimenticato nei briefing internazionali dei politici in doppiopetto.

I 1,600 soldati dell’Operazione Sangaris e i 5,500 dell’Unione Africana non riescono a far fronte a milizie rurali a maggioranza cristiana e animista formatesi come gruppi di autodifesa locale contro banditi e ladri di bestiame e diventate, con i Seleka al potere, forze militari di attacco contro i ribelli di estrazione musulmana. Ieri François Hollande ha dato il via libera all’invio di ulteriori 400 soldati esortando al contempo gli altri Paesi a dimostrare “una maggiore solidarietà” e invitando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad approvare la creazione di una forza di pace sotto l’egida appunto dell’Onu nella ex colonia francese.

A regnare nella Repubblica Centrafricana è ora la logica della legge del taglione per cui alla violenza perpetrata per mesi dai ribelli musulmani contro le comunità cristiane – tra stupri, torture ed esecuzioni di massa (giorni fa la Croce Rossa locale ha confermato il ritrovamento di una fossa comune nel quartiere 200 Villas di Bangui per mesi campo militare delle milizie Seleka) – risponde ora altra violenza, linciaggi, gole tagliate, massacri, saccheggi e distruzioni casa per casa, da parte dei ribelli cristiani contro quelle musulmane. Una barbarie sfacciata che ha tutti i caratteri di quella che Amnesty International e personale delle Nazioni Unite hanno definito “pulizia etnica”. Intere città e quartieri musulmani rasi al suolo e un’intera comunità sotto il tiro funesto di bande armate al soldo di ex militari fedeli a Bozizé che all’ombra di una similguerra religiosa sono vittime esse stesse di un piano più grande per il controllo delle risorse e del territorio.

L’ala minoritaria degli anti-balaka infatti – i Combattants pour la libération du peuple centrafricain – sarebbe legata al Front pour le retour à l’ordre constitutionnel en Centrafrique (FROCA), il movimento creato in Francia dall’ex Presidente della Repubblica Centrafricana François Bozizé, il quale, benché neghi ogni sostegno agli anti-balaka, mira con ogni probabilità a un ritorno a Palazzo.

La situazione politica e umanitaria nella Repubblica Centrafricana è ormai fuori controllo, non rispondendo né alle sempre fragili istituzioni locali né alle forze governative regionali e occidentali ma solo a una sorta di spirale ipnotica della violenza dell’uno contro l’altro che non risparmia nessuno. In un conflitto, che non ha però né caratteri né finalità religiose essendo invece pilotato da lontano in nome di ben chiari interessi politici ed economici. Nena News

Fonte: http://nena-news.it
15 febbraio 2014

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento