Calais. Trattati come merce avariata


Nicola Tranfaglia


Quello che sta succedendo a Calais da alcune settimane a questa parte è la prova del venir meno di un’idea di solidarietà umana ed europea che viene a mancare dopo alcuni secoli.


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Quello che sta succedendo a Calais da alcune settimane a questa parte è la prova – dobbiamo riconoscerlo – del venir meno di un’idea di solidarietà umana ed europea che viene a mancare dopo alcuni secoli. Abbiamo notato le sue implicazioni negative con le assurde imposizioni economiche alla Grecia (ben differenti, almeno in parte, del “perdono” offerto alla Germania dopo la seconda guerra mondiale) e con quelle politiche di austerità e di prevalenza dello Stato più forte e ricco che contribuiscono a sfiduciare il rapporto tra cittadini e istituzioni nazionali ed europee e radicalizzare quello tra natives e stranieri.  Se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, Calais è un ‘ulteriore riprova di questa fine di  quell’idea che è stata alla base dei grandi movimenti di grandi movimenti di umana e sociale emancipazione che hanno attraversato il vecchio continente nei secoli diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo.   A Calais tra i seimila e gli ottomila esseri umani sono trattati come merce avariata, o peggio ancora radioattiva, da conservatori di destra e socialisti preoccupati per i progressi della destra e che, facendo così, danno risposte sbagliate a paure popolari poste comunque in maniera erronea.

La soluzione adottata è stata quindi di chiudere un campo problematico come quello francese e ricollocando altrove chi non è già scappato prima. Una settantina di minori saranno accolti in una cittadina di 5000 abitanti nella contea di Devon, ospiti di una comunità di struttura estiva nel mezzo di una  tranquilla zona rurale. Eppure anche lì, tra il nulla e nonostante tali ragazzi saranno affidati alle loro famiglie che già vivono in Gran Bretagna, il rispettabile rappresentante di un’associazione di volontariato può affermare di essere una persona “tollerante”, aggiungendo però che il governo May ha sbagliato a non consultare le realtà locali (al momento una municipalità su quattro) ha rifiutato ogni forma di accoglienza), che la rete di trasporto pubblico è frammentaria, che ci sono un numero limitato di medici e dentisti e che quindi quegli adolescenti sono troppi.  Lo stesso avviene in Italia, Francia, Germania e nell’Est Europa con le proteste contro i centri di accoglienza. Che fine ha fatto il concetto di umanità se non vogliamo nemmeno profughi-bambini che potrebbero finire nelle mani dei moderni mercanti di schiavi?

Lo sprezzante atteggiamento tedesco verso “chi non fa i compiti a casa”, la Brexit già avvenuta, il rafforzamento dei movimenti populisti e neofascisti, lo  spostamento a destra i Polonia e Ungheria (oltre che dell’Italia per chi tende a dimenticarlo!) e il rigetto degli immigrati mostrano come l’Europa dei sogni post-nazionali, quella che naviga senza una bussola efficiente nel mare agitato della globalizzazione, presti il fianco alla propaganda alla propaganda demagogica anti- Unione Europea e alla forza devastante e centrifuga dei nazionalismi. Tutto questo mina alcune delle fondamenta culturali del vecchio continente. E quell’Europa intrinsecamente e storicamente cosmopolita, quel sentirsi “cittadini del mondo”, che rischia di svanire e ci voltiamo dall’altra parte davanti alla “giungla” di Calais o quando ci tappiamo le orecchie dinanzi ai proclami dell’euroscettico di turno. E’ giunto il momento-vale la pena dirlo con chiarezza oggi- che le èlite continentali riaffermino quel cosmopolitismo che per alcuni è stato alla base del processo di integrazione europea. Nel secolo V finanche l’impero romano e la sua cultura “colta” riuscirono a resistere all’irrompere della incivile orda barbarica. Sarebbe il caso di recuperare quello spirito facendo prevalere  non paura e xenofobia ma razionalità e sentimenti di unione e fratellanza in un momento così decisivo per il prossimo avvenire.

Fonte: www.articolo21.org

6 novembre 2016

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