Calabria, ucciso giovane migrante


la Repubblica


Assieme a due compagni, feriti, stava cercando vecchie lamiere in una fabbrica abbandonata. Uno dei due sopravvissuti: “Un uomo è sceso da una macchina e ci ha sparato contro quattro volte”. Gli inquirenti al momento non credono al movente dettato dalla xenofobia


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Lo ha puntato come il bersaglio di un tiro a segno e ha fatto fuoco. È morto così Sacko Soumayla, ventinovenne maliano, ucciso ieri notte nel vibonese da un colpo di fucile che qualcuno ha sparato da lunga distanza. Insieme ad altri due uomini, Madiheri Drame, 30 anni, e Madoufoune Fofana, 27 anni, la vittima era entrata all’ex Fornace, una fabbrica abbandonata nella zona di San Calogero, alla ricerca di vecchie lamiere e altro materiale utile per costruire un riparo di fortuna, quando qualcuno ha iniziato a sparare. Gli inquirenti non credono a un movente dettato dalla xenofobia. Chi ha sparato lo avrebbe fatto forse per vendetta, per quelle lamiere rimosse.

“Stavamo raccogliendo delle lamiere quando si è fermata una Fiat Panda bianca vecchio modello ed è sceso un uomo con un fucile che ci ha sparato contro quattro volte“, ha raccontato Madiheri Drame. Il primo proiettile ha colpito Soumayla alla testa, facendolo crollare. Ma il misterioso cecchino non si è fermato. Ha solo cambiato bersaglio. Un proiettile ha centrato alla gamba Madiheri Drame, mentre il più giovane dei tre, Madoufoune Fofana, 27 anni, è riuscito a trovare riparo. Altri colpi di fucile si sono persi nella notte, poi l’uomo –  di carnagione chiara, hanno detto i sopravvissuti – si è dileguato. E l’unico dei tre ragazzi rimasto illeso ha potuto dare l’allarme. Soccorso dai carabinieri, Soumayla è stato trasferito al reparto di neurochirurgia dell’ospedale di Reggio Calabria, ma l’immediato intervento chirurgico non è riuscito a salvarlo.
“La vittima era un attivista sindacale dell’Usb, un ragazzo da sempre in prima fila nelle lotte sindacali per difendere i diritti dei braccianti agricoli sfruttati nella Piana di Gioia Tauro e costretti a vivere in condizioni fatiscenti nella tendopoli di San Ferdinando”, racconta Peppe Marra, rappresentante del sindacato Usb. “Chi ha sparato ha preso la mira per quattro volte da una distanza di 150 metri”.

Tutti regolarmente residenti in Italia, i tre uomini vivevano nella vicina tendopoli di San Ferdinando, il ghetto di baracche e tende di fortuna che solo qualche mese fa è stato parzialmente distrutto dall’incendio in cui ha perso la vita Becky Moses. Secondo i piani della prefettura, avrebbe dovuto essere sgomberato e distrutto, i braccianti trasferiti in un nuovo accampamento poco distante. Una “soluzione temporanea” – si era detto l’estate scorsa –  in attesa di dare il via a progetti di accoglienza diffusa. Ma la nuova struttura è risultata troppo piccola per accogliere tutti i braccianti che lavorano nelle piantagioni e negli agrumeti della Piana di Gioia Tauro e i programmi di alloggio alternativi non sono mai partiti. Così, sulle ceneri della vecchia tendopoli sono nate nuove baracche, dove i più trovano riparo.

Nata dopo la rivolta del 7 gennaio 2010, quando i migranti erano scesi in piazza per protestare contro il ferimento di uno di loro, un “fratello” a cui qualcuno per gioco aveva distrutto un braccio sparandogli, con un fucile ad aria compressa, la tendopoli negli anni è stata più volte abbattuta e ricostruita come “soluzione temporanea”. Ma a otto anni dalla rivolta, le tende sono ancora in piedi. È lì che questa mattina sindacati, associazioni e comitati che da tempo si occupano dei braccianti si stanno dando appuntamento per tastare il polso della situazione. C’è rabbia e disperazione per l’ennesimo lutto che colpisce il campo.

In prefettura c’è grande preoccupazione. Nella notte è stata convocata una riunione d’urgenza del coordinamento delle forze di polizia per programmare un’ulteriore intensificazione dei controlli nell’area. Nel frattempo, le indagini, affidate ai carabinieri di Vibo Valentia, proseguono. Si cerca un uomo di carnagione chiara che, secondo quanto emerso dai rilievi eseguiti in nottata, si sarebbe appostato in un casolare a circa 150 metri dall’ex fornace per poi allontanarsi in auto. Gli investigatori stanno setacciando i filmati delle telecamere di videosorveglianza, ma l’identificazione del cecchino potrebbe non essere semplice. E nel frattempo, al campo, la rabbia continua a montare.

La Repubblica

3 giugno 2018

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