Bufera tra Londra e Israele sui crimini di "Piombo Fuso"
Francesca Marretta
Il (simbolico) mandato d’arresto di un giudice britannico per l’ex ministra istraeliana Tzipi Livni innesca la crisi democratica.
La capitale britannica è un posto poco sicuro per chi ha fatto parte di governi coinvolti in avventure militari coinvolte nell’eccidio di civili. Il 16 ottobre 1998 era toccato ad Augusto Pinochet. Si trovava in una clinica di Londra per un’operazione di ernia, quando fu raggiunto da un ordine di cattura spiccato dalla Spagna che ne chiedeva l’estradizione per i crimini di genocidio e tortura dei “desaparecidos” durante gli anni in cui guidava la giunta militare. All’epoca la scappatoia dei motivi umanitari, data la salute cagionevole dovuta all’età avanzata, salvò il Generale, che in Gran Bretagna, nonostante il recente insediamento all’epoca del primo governo Blair, godeva di alleanze di ferro, prima fra tutte quella con la Thatcher. Londra aveva pur sempre vinto la guerra nelle Falkland anche grazie alle imprese dell’aviazione che faceva rifornimento di carburante in Cile. Ma prima del secondo intervento della Camera dei Lords che salvava Pinochet e le pressioni dal Vaticano in favore del Generale cileno, il governo laburista ne aveva concesso l’estradizione.
Nei giorni scorsi è scoppiata una bufera diplomatica tra Israele e Gran Bretagna per un mandato di arresto emesso e poi ritirato dalla Westminster Magistrate Court, nei confronti dell’ex ministro e attuale leader dell’opposizione centrista israeliana, Tzipi Livni. L’ex ministro degli Esteri israeliano è stata una delle menti dell’operazione militare israeliana Piombo Fuso, che ha causato la morte di 1400 palestinesi, in maggioranza civili, come confermato nel rapporto Goldstone, inchiesta redatta per conto delle Nazioni Unite che parla di crimini di guerra e contro l’umanità commessi da Israele. Lo stesso rapporto cita anche analoghi crimini compiuti da Hamas per il lancio dei razzi contro la popolazione civile israeliana, ma evidenzia la sproporzione di vittime. Livni avrebbe dovuto essere nei giorni scorsi a Londra per partecipare a una conferenza. Un impegno cancellato in extremis, che la diretta interessata ha smentito fosse in relazione con avvisaglie sul mandato di cattura.
Secondo rivelazioni pubblicate dal Guardian, il provvedimento contro Livni, partito in base a una denuncia per crimini di guerra presentata da un gruppo di cittadini britannici di origine palestinese, è decaduto solo nel momento in cui è apparso chiaro che la leader di Kadima non avrebbe messo piede sul suolo britannico. Dopo le infuriate reazioni del governo Netanyahu sulla vicenda, il ministro degli esteri britannico Miliband è intervenuto per offrire rassicurazioni sull’amicizia tra Gran Bretagna e Israele, parlando di “patnership strategica” tra i due paesi. Per placare le ire di Israele, che in risposta all’ordine di arresto per Livni, oltre ad annunciare la solita sospensione delle visite a Londra fino all’ottenimento di garanzie, ha minacciato di bocciare ogni velleità britannica per ruoli di mediazione nel conflitto in Medio Oriente, Miliband si è impegnato a valutare il modo per cambiare le norme di procedura penale in Gran Bretagna, in modo da evitare in futuro situazioni del genere. Secondo quanto ha scritto ieri la stampa britannica, Miliband si sarebbe cosparso il capo di cenere nel corso di una serie di conversazioni telefoniche con il ministro degli Esteri israeliano Lieberman e la stessa Livni, scusandosi per “l’affronto” della magistratura a un “governo amico”. Così, da ieri, i toni da parte israeliana si sono abbassati.
L’affondo di Israele per ottenere garanzie è stato reso necessario dal fatto che il caso di Livni non è isolato. A settembre, quando Ehud Barak era a Londra per la Conferenza annuale del Labour, due studi di avvocati londinesi che rappresentavano 16 cittadini palestinesi, si erano rivolti alla stessa Westminster Magistrates Court per chiedere l’arresto immediato del ministro della Difesa israeliano di Barak per “i crimini commessi contro la popolazione palestinese” durante l’operazione Piombo Fuso, ai sensi del Criminal Justice Act del 1988. In quanto ministro, Barak godeva e gode di immunità diplomatica. Gli avvocati che a settembre si erano rivolti alla Corte avevano però invocato il precedente valido del mandato d’arresto internazionale per Omar al-Bashir da parte della Corte Penale Internazionale (Cpi).
Nel caso di Barak, a settembre il governo britannico raccomandò al tribunale di trattare il caso come un precedente del 2004, quando fu accusato l’allora ministro della Difesa israeliano Mofaz a cui fu garantita l’immunità, fino ad allora data solo a ministri degli Esteri e primi ministri. Ma come ha scritto ieri su The Independent Sir Geoffry Bindman, direttore del British Institute of Human Rights “chi viene in Gran Bretagna risponde alle sue leggi”. Sottolineando che i crimini di guerra e contro l’umanità hanno giurisdizione transnazionale, Sir Bindman ha ricordato che dalla seconda guerra mondiale in poi sono stati stabiliti meccanismi per evitare scappatoie per chi si macchia di tale tipo di crimini, come la Convenzione di Ginevra, di cui il Regno Unito è firmatario.
E se è spesso prevalsa la prassi di far valere le tradizionali immunità diplomatiche per capi di Stato e ministri, la visita di Livni a Londra non aveva alcuna valenza diplomatica. In base a questo stesso principio, anche Tony Blair farebbe bene a guardarsi le spalle mentre gira in Medio Oriente come “inviato di pace”.
Fonte: Liberazione
17 dicembre 2009