Birmania, via la giunta dal seggio Onu


Emanuele Giordana - Lettera22


Lo chiedono i parlamentari birmani in esilio. E anche in Italia qualcosa si muove. Ora la parola passa alla commissione Onu che discute le credenziali, ossia l’attribuzione dei seggi a Palazzo di Vetro.


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Birmania, via la giunta dal seggio Onu

 

 

 

 

 

 

 

 

Una protesta spazzata sotto il tappeto. Una nazione stretta nella morsa di un regime liberticida. Una Costituzione fatta approvare con la forza che regala definitivamente il paese ai militari. Una mediazione internazionale che arranca. Una persecuzione degli oppositori costante e silenziosa. Troppo.
Troppo soprattutto per chi, da 18 anni, aspetta che il mondo gli riconosca il ruolo che le ultime elezioni democratiche del paese, nel 1990, gli attribuirono con voto popolare. Il paese è la Birmania. Chi aspetta, oltre ai suoi abitanti, sono i deputati di un parlamento che non ha mai funzionato. Che ora dicono basta.
Così l'unione dei parlamentari birmani in esilio ha chiesto a Ban Ki-moon che l'Onu ritiri le credenziali alla giunta birmana che, a loro dire, rappresenta illegittimamente a Palazzo di Vetro il popolo del paese che i generali hanno ribattezzato Myanmar. In una parola che l'Onu tolga il seggio ai militari e lo restituisca ai parlamentari eletti. La data scelta è simbolica: tra una settimana sarà un anno da che monaci e cittadini birmani impressero alle statiche vicende di quel lontano paese una svolta politica decisa. Che finì schiacciata in una dura repressione il cui bilancio – vittime, scomparsi, arrestati – non è mai stato reso noto. La giunta militare ebbe partita vinta e la mediazione dell'Onu, affidata al nigeriano Ibrahim Gambari, non riuscì a produrre nemmeno la liberazione di Aung San Suu Kyi, la Nobel da anni ai domiciliari. I deputati sperano che la comunità internazionale riemerga dal torpore e che la loro richiesta formale possa almeno provocare un forte scossa diplomatica per il semplice fatto che la sola discussione sulle credenziali, e dunque sulla legittimità di chi siede all'Onu, può rimettere in agenda, alla vigilia della 63° Sessione della Assemblea Generale, il dossier Birmania.
Ovviamente i firmatari della richiesta, e il governo birmano in esilio che l'appoggia, non si fanno illusioni. Ma la battaglia potrebbe diventare sicuramente un megafono e gli esiti sono tutt'altro che scontati. All'Onu la commissione attuale che discute le credenziali, ossia il diritto di questo o quel governo a rappresentare questo o quel paese (vecchio dilemma già visto per Cina o Cambogia) è composta da nove paesi: Stati Uniti, Cipro, Lussemburgo e Messico (a favore dell'appello); Botswana, Mozambico e Saint Kitts & Nevis (al momento per l'astensione); Cina e Russia (contrari). Ma in quella sede il diritto di veto non vale e dunque basterebbe “spostare” un astenuto sulle posizioni dei quattro per avere la maggioranza. Le decisioni della commissione non sono vincolanti ma vanno poi discusse all'Assemblea generale (anche in caso che la richiesta non passi) e dunque condivise da tutti gli stati membri…e pertanto da giornali, televisioni e radio di tutto il mondo.
Il pressing sotto traccia è già cominciato. All'Onu (dove si stanno muovendo Usa e Francia) e nei singoli paesi, Italia compresa. Per ora solo un pugno di parlamentari ha già firmato un appello che invita Roma ad appoggiare l'iniziativa mentre il segretario della Cisl Raffele Bonanni ha scritto a Frattini invitando l'Italia fare sua la richiesta dei birmani. Anche perché è l'italiano Piero Fassino, l'inviato speciale della Ue per la Birmania. Albertina Soliani, animatrice con Margherita Boinver del gruppo interparlamentare “Amici della Birmania” (150 deputati) e tra i firmatari dell'appello italiano – che però Boniver non ha ancora firmato – sottolinea il “valore simbolico di un gesto forte” che per ora ha però raccolto la solidarietà solo di pochi parlamentari, tra cui Giulietti, Malan, Vita, Pezzotta e Vernetti.
Una corsa contro il tempo: il 26 settembre ricorre il primo anniversario della rivoluzione pacifica che coinvolse monaci e cittadini in una protesta silenziosa ma ferma che fece tornare la Birmania sotto i riflettori della cronaca. E settimana prossima si deciderà il calendario della commissione credenziali. Ma non tutti sono d'accordo con l'iniziativa e c'è chi frena temendo che possa far saltare il tavolo tripartito (che ancora non funziona) cui punta la diplomazia internazionale: militari, opposizione e mediatori. In ballo poi ci sono anche le elezioni del 2010 in cui la giunta tenterà di farsi un parlamento su misura che, con la Costituzione su misura già approvata dal referendum, è destinato a blindare il paese una volta per sempre.


Fonte: Lettera22 e il riformista
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20 settembre 2008

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