Betlemme. Una città soffocata
La redazione
Rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie (OCHA) nei Territori Palestinesi Occupati.
Una città soffocata
Questo rapporto sul governatorato di Betlemme documenta in che modo il nucleo del centro urbano di Betlemme sia sempre più ridotto e soffocato dalle infrastrutture israeliane: il Muro, gli insediamenti e gli outposts. Nella parte orientale del governatorato le restrizioni amministrative (Area C, zone militari chiuse e riserve naturalistiche) limitano ulteriormente le possibilità di espansione urbana, di accedere alle zone di pascolo e di fatto impediscono una autonoma attività di pianificazione urbana e di sviluppo da parte del Governatorato. Se la costruzione del Muro continuerà come previsto nella parte occidentale del Governatorato, la barriera separerà l’hinterland rurale dai centri abitati, riducendo l’accesso degli abitanti alla terra e alle risorse idriche. Altri 21.000 residenti palestinesi soffriranno di ulteriori restrizioni nell’accesso ai mercati, servizi socio-sanitari e istituti scolastici superiori nella zona urbana di Betlemme.
per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie (OCHA)
nei Territori Palestinesi Occupati
Cronologia
1947: Il Piano di Partizione dell’ONU prevede che Gerusalemme e Betlemme non appartengano né allo Stato ebraico né a quello arabo, ma costituiscano un corpus separatum sotto amministrazione fiduciaria internazionale.
1948: Le comunità di Betlemme perdono territori in seguito alla Prima Guerra Arabo-Israeliana: tre campi profughi vengono allestiti per i profughi palestinesi a Betlemme.
1967: Guerra di giugno: Israele occupa la Cisgiordania. Parte del territorio di Betlemme viene annesso a Gerusalemme ed incluso all’interno del confine municipale da parte di Israele. Inizia la costruzione degli insediamenti.
1993: Viene imposta su tutta la Cisgiordania una chiusura generale. Per entrare a Gerusalemme e in Israele, sono necessari permessi speciali per i Palestinesi che detengono Carte d’Identità della Cisgiordania, compresi i residenti di Betlemme.
1995: La Città di Betlemme viene trasferita all’amministrazione dell’Autorità Palestinese, tranne la zona della Tomba di Rachele. Dei 658 km2 del Governatorato di Betlemme, solo il 13% ricade sotto controllo palestinese: in Area A (7,5%, 49,1 km2) e in Area B (5,5%, 36,4 km2). Circa il 66% (434,2 km2) viene classificato come Area C, dove Israele mantiene il controllo totale sulla sicurezza e la giurisdizione su pianificazione e costruzione. Altri 127,7 km2 (il 19,4 %) vengono designati aree di riserva naturalistica: in teoria assegnati all’Autorità Palestinese nel 1988, ma affettivamente sotto il controllo delle autorità israeliane.
2000: Betlemme 2000: grande programma di investimenti per preparare la città al nuovo millennio. Papa Giovanni Paolo II si reca nella città a marzo. Inizia la seconda Intifada in settembre. Negli anni seguenti, l’economia di Betlemme subisce le consequenze del conflitto e del regime di chiusure e blocchi imposto da Israele (posti di blocco, cumuli di terra, ecc.).
2002: Operazione Scudo Difensivo dell’Esercito Israeliano (IDF). La città di Betlemme viene nuovamente occupata e posta sotto coprifuoco per un totale di 156 giorni.
2002: La costruzione del Muro inizia nella parte settentrionale del Governatorato.
2004: Il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia afferma che la costruzione del Muro in Cisgiordania e a Gerusalemme Est è in violazione del diritto internazionale. Il Muro penetrerà per circa 10 km all’interno del Governatorato di Betlemme, isolando circa 74 km2 di territorio e risorse idriche. Oggi, nel Governatorato di Betlemme, ci sono 19 insediamenti e 16 outposts.
nel governatorato di Betlemme
Per questo rapporto abbiamo suddiviso il governatorato di Betlemme in tre zone: centrale-urbana, occidentale e orientale.
Zona occidentale
La fertile zona occidentale è il tradizionale granaio di Betlemme. Nei decenni recenti, la costruzione e l’espansione degli insediamenti ha fortemente ridotto lo spazio agricolo a disposizione dei contadini di Betlemme. Il piano di costruzione del Muro minaccia di separare queste terre agricole dal centro urbano più a est.
Zona centrale-urbana
L’area centrale-urbana comprende Betlemme, Beit Sahur, Beit Jala, e i campi profughi, comuni e villaggi adiacenti, che formano un tessuto urbano continuo. Comprende anche i villaggi meridionali e Beit Fajar, separati gli uni dagli altri e dalla zona urbana a nord da grandi tratti di Area C amministrata da Israele.
Zona orientale
L’est del Governatorato comprende zone estese di deserto e semi-deserto, e la costa sul Mar Morto. Questa zona è effettivamente inaccessibile ai Palestinesi, poiché è costituita da territori di Area C amministrata da Israele, da zone militari e zone naturalistiche.
Questo rapporto fa parte della serie di documenti elaborati dall’OCHA al fine di esaminare l’impatto dei provvedimenti israeliani (quali il Muro, gli insediamenti e le restrizioni di movimento) sui Palestinesi di Cisgiordania. Esamina la situazione nel Governatorato di Betlemme e illustra sia la riduzione del territorio nel nucleo centrale urbano che la frammentazione delle zone orientali e occidentali.
Il Governatorato di Betlemme si estende su circa 660 km2. Dopo quattro decenni di occupazione israeliana solo il 13% del territorio rimane a disposizione dei Palestinesi, in gran parte in modo frammentato. Inoltre, le possibilità di accesso a Gerusalemme Est si sono fortemente ridotte. Sono i provvedimenti israeliani ad aver ridotto in modo così drastico lo spazio e l’accesso. Tali provvedimenti includono la continua espansione degli insediamenti e degli outposts, la costruzione del Muro e la classificazione della maggioranza dei territori del Governatorato di Betlemme come Area C, aree nelle quali Israele mantiene il controllo sulla sicurezza e la giurisdizione sulla pianificazione urbana e le costruzioni. Le restrizioni fisiche e amministrative fanno sì che la maggior parte del territorio di Betlemme sia requisito per uso militare israeliano e per l’uso dei coloni degli insediamenti, riducendo così lo spazio a disposizione degli abitanti palestinesi di Betlemme.
Le terre potenzialmente a disposizione di Betlemme per la sua espansione industriale e residenziale vengono così drasticamente ridotte, come pure il suo accesso alle risorse naturali. I pilastri tradizionali dell’economia del Governatorato di Betlemme (lavoro in Israele, turismo, agricoltura, allevamento bestiame da pascolo, e settore privato) sono in grave difficoltà. Se questi provvedimenti israeliani continueranno, lo sviluppo socio-economico del Governatorato ne sarà seriamente compromesso.
I principali fattori che hanno portato a questa situazione:
1. Circa 10 km2 di territorio sono stati annessi alla municipalità di Gerusalemme.
Nel 1967, il governo israeliano ha annesso circa 10 km2 di territorio del nord del governatorato di Betlemme a Israele, includendo queste zone nel nuovo confine comunale allargato di Gerusalemme. Questa annessione non è riconosciuta dalla Comunità internazionale.
2. Costruzione di insediamenti israeliani e relative infrastrutture.
Sono stati costruiti insediamenti israeliani nelle terre di Betlemme annesse a Gerusalemme (Har Homa, parti di Gilo) e altri insediamenti sono programmati. Ulteriori insediamenti sono stati costruiti in altre parti del Governatorato, compreso il blocco Gush Etzion a ovest, Teqoa, Noqedim, Ma’ale Amos a est, e Mizpe Shalem nella zona del Mar Morto. Oggi ci sono circa 86.000 israeliani che vivono nei 19 insediamenti nel Governatorato di Betlemme e nei 16 outposts. La popolazione palestinese è di circa 175.000 persone.
3. Restrizioni sugli ingressi a Gerusalemme Est.
A partire dagli anni ’90, Israele ha introdotto nuovi provvedimenti che aumentano la frammentazione del Governatorato di Betlemme e riducono ancora di più la libertà di movimento degli abitanti palestinesi. Dal 1993, quando fu imposta su tutta la Cisgiordania una generalizzata chiusura e blocco della circolazione, ai residenti di Betlemme è fatto obbligo di possedere permessi israeliani per entrare a Gerusalemme Est e in Israele. Questi permessi hanno validità limitata e non permettono il transito a veicoli. A partire dalla seconda Intifada nel 2000 la procedura di concessione di tali permessi è diventata ancora più restrittiva.
4. La costruzione della Strada Bypass di Betlemme.
Negli anni ’90 il governo israeliano ha modificato l’asse viario esistente (la Strada 60 Gerusalemme-Betlemme-Hebron) per facilitare gli spostamenti dei coloni israeliani. La nuova costruzione comprende una grande strada Bypass, due tunnel e un ponte. Parte del Muro già costruito costeggia la Strada 60. Il checkpoint dei tunnel, costruito successivamente lungo questa strada, controlla l’accesso a Gerusalemme dalla parte nord-occidentale della Cisgiordania.
5. Designazione del 66% del territorio del Governatorato di Betlemme come Area C.
In base agli accordi di Oslo la Cisgiordania è stata classificata in tre zone amministrative: A, B e C. Circa il 66% del Governatorato di Betlemme fu designato Area C, in cui Israele mantiene il controllo sulla sicurezza e la giurisdizione sulla pianificazione urbana e le costruzioni. Ancora oggi, solo raramente vengono concessi ai Palestinesi permessi per costruire. L’Area C comprende anche vaste zone designate aree militari/di fuoco e riserve naturalistiche dove l’accesso e l’utilizzo da parte dei Palestinesi sono proibiti o soggetti a limitazioni. Queste restrizioni amministrative effettivamente limitano l’espansione residenziale e industriale a est e a sud-est. Inoltre, la maggior parte degli ostacoli alla circolazione (posti di blocco, cumuli di terra, ecc.), installati dall’IDF a partire da settembre 2000, si trovano in Area C.
6. Costruzione del Muro nel 2002.
Nell’estate 2002, dopo una campagna di attentati suicidi da parte di militanti palestinesi in Israele, il Governo israeliano approvò la costruzione di un Muro il cui obiettivo dichiarato era proprio di prevenire attentati del genere. Il Muro ha aggravato le limitazioni all’uso del territorio e le restrizioni al movimento nelle parti settentrionali e occidentali di Betlemme. Il tratto già completato del Muro a nord non solo separa Betlemme da Gerusalemme, ma impedisce lo sviluppo urbano verso nord di Betlemme. Il tratto occidentale del Muro, se sarà completato, sarà ancor più devastante per il Governatorato. Circa 64 km2 di terreno (tra le zone più fertili) e nove comunità palestinesi con circa 21.000 residenti resteranno totalmente isolati e tagliati fuori dal resto del territorio: le persone avranno difficoltà ad accedere anche alla città di Betlemme, il principale centro dove i cittadini si rivolgono per servizi sanitari e scolastici, per accedere ai mercati e al commercio.
Il futuro
Mentre Israele ha il dovere di garantire la sicurezza dei propri cittadini da attacchi palestinesi, i provvedimenti che introduce devono sempre essere in conformità con il diritto internazionale e non possono causare danni prolungati alla locale popolazione palestinese. In pratica, però, i provvedimenti israeliani hanno radicalmente ridotto lo spazio a disposizione degli abitanti di Betlemme, compromettendo in tal modo lo sviluppo socio-economico futuro del Governatorato.
Si possono adottare dei provvedimenti per impedire un ulteriore deterioramento delle condizioni per gli abitanti. Molti dei provvedimenti amministrativi israeliani sono reversibili e il Muro non è ancora stato completato. Interrompere la costruzione del Muro in Cisgiordania; riaprire le zone militari chiuse e le riserve naturalistiche all’usufrutto dei Palestinesi per uno sviluppo sostenibile; rispondere positivamente alla richiesta internazionale, congelando ogni nuova costruzione negli insediamenti o ogni dichiarazione di nuove “terre di Stato”. Tutte queste azioni potrebbero restituire parte del territorio perduto agli abitanti del Governatorato e migliorare le condizioni umanitarie ed economiche di Betlemme. A lungo termine, questi atti immediati contribuirebbero a garantire il rispetto del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’ONU e porrebbero le basi per una soluzione politica duratura nel territorio palestinese occupato.
Il nucleo urbano centrale soffocato
Il Muro nella zona della Tomba di Rachele
Nella parte settentrionale del Governatorato di Betlemme il Muro completato penetra per due km dentro la città di Betlemme, girando attorno alla Tomba di Rachele, il luogo dove la tradizione ritiene sia sepolta la matriarca biblica. La Moschea di Bilal, che si trova nello stesso edificio della Tomba di Rachele, è così diventata inaccessibile ai fedeli musulmani. Il Muro, inoltre, taglia la strada per Gerusalemme: i pellegrini e altri visitatori che si recano a Betlemme sono ora obbligati ad entrare in città attraverso un checkpoint militare a guardia di un varco nel Muro. Nei pressi della Tomba di Rachele esisteva in passato una fiorente area commerciale: oggi 74 degli 80 negozi e altri esercizi del settore turistico hanno chiuso o si sono trasferiti altrove. I residenti di Betlemme risentono anche dell’impatto psicologico e sociale del Muro, in particolare su bambini e adolescenti.
Ridotto accesso alle terre: Beit Sahur e Beit Jala
Sebbene Beit Jala e Beit Sahur abbiano conservato ancora in parte le loro caratteristiche di villaggi rurali, il terreno agricolo a loro disposizione è diminuito, come pure il terreno per eventuali espansioni residenziale e commerciale.
Beit Jala ha perso più di 3.000 dunum di terra, sottratta per essere inclusa all’interno del confine comunale di Gerusalemme nel 1967. Quando il Muro sarà completato, saranno isolate dall’abitato di Beit Jala altri 3.200 dunum di terra. Questi ettari sottratti comprendono quasi 3.000 dunum di oliveti, frutteti e l’unico bosco della zona; il Monastero Cremisan con l’azienda vinicola; e le terre Al Makhrour che – con albicocchi, olivi, fichi e mandorli – rappresentano un’importante fonte di reddito per gli agricoltori di Beit Jala.
Se aggiungiamo alle terre già passate sotto il comune di Gerusalemme anche le terre che verranno espropriate dalla costruzione del Muro, i residenti di Beit Jala si vedranno impedire l’accesso a quasi il 50% della loro terra. Rimarranno liberamente accessibili solo 4.500 dunum di terreni. Oltre ad isolare le risorse agricole (già scarse), gli spazi verdi e aperti, questa sottrazione limiterà ancora più drasticamente l’espansione urbanistica futura di Beit Jala. La maggior parte dei terreni agibili per costruzioni residenziali sono di proprietà privata e della Chiesa, con solo 4 o 5 parcelle di spazio pubblico dove si possa costruire. Per necessità, quindi, oggi l’urbanistica residenziale prevede uno sviluppo in verticale (edifici a più piani), con caratteristiche architettoniche che mal si conformano alla tradizione artistica della città.
Nel caso di Beit Sahur, il Muro isola gli oliveti dall’abitato: per raggiungerli, gli agricoltori palestinesi devono attraversare uno dei due cancelli che vengono aperti per periodi brevi solo durante il tempo della raccolta delle olive. Il Muro aggrava inoltre l’isolamento della piccola comunità di Num’an, i cui abitanti, secondo Israele, risiedono illegalmente nel territorio di Gerusalemme (vedi box a pag. 8).
Restrizioni all’accesso ai terreni agricoli: Al Khader e Artas.
Al Khader e Artas posseggono ancora ampi terreni agricoli, come molti villaggi nella parte meridionale del Governatorato di Betlemme. In futuro, tuttavia, l’accesso e l’utilizzo delle risorse agricole da parte di questi villaggi sarà limitato dalla costruzione del Muro nella parte occidentale del Governatorato. In anni recenti l’agricoltura ha perso notevole importanza come fonte di reddito nel Governatorato. Nel 1998, la zona coltivata e servita solo da acqua piovana era di 46 km2, mentre quella irrigata era di 0,4 km2. Nel 2007, la zona capace di produrre senza irrigazione (cioè, a sola acqua piovana) era crollata a soli 4,3 km2; e anche quella irrigata era diminuita a 0,3 km2.
Nel caso di Al Khader (popolazione circa 10.000), la costruzione del Muro isolerà circa il 75% dei terreni agricoli: i campi rimarranno nella zona rinchiusa dal Muro, mentre l’abitato sarà dall’altra parte. Al Khader è nota per la varietà e la qualità della sua uva, e oltre 20.000 dunum della sua terra sono coltivati a vigneto. Negli anni precedenti l’Intifada la produzione veniva venduta anche in Israele e, in quantititivi minori, a Gerusalemme Est. L’imposizione di restrizioni israeliane a seguito della seconda Intifada riversò tutta la produzione sul mercato locale, portandolo a saturazione, con conseguente crollo del prezzo di vendita: da NIS 3,5 a NIS 1 al kg.
Ad Artas (popolazione 3.700), circa 500 dunum di terreni del villaggio rimarranno isolati, dalla parte occidentale del Muro. Nel febbraio 2009 le autorità israeliane hanno annunciato che circa 1.700 dunum vicino ad Artas, a est del percorso previsto del Muro, erano state designate “terre di Stato”, poiché la causa di otto proprietari terrieri palestinesi che ne rivendicavano la proprietà era stata persa anche in appello. Questi terreni si trovano all’interno del confine municipale dell’insediamento di Efrat e sono stati assegnati alla sua futura espansione: Efrat occuperà così la sua ottava collina, Givat Eitam, con la costruzione di altre 2.500 unità abitative. Il fatto che i terreni si trovino dal lato palestinese del percorso previsto del Muro solleva un’ulteriore preoccupazione: è ipotizzabile che il percorso venga ulteriormente rivisto per includere una maggiore penetrazione nel territorio di Betlemme, per includere il nuovo allargamento dell’insediamento. In ogni caso, un cuneo di Area C sotto totale controllo israeliano, che si estende a est da questa zona in direzione degli insediamenti di Teqoa e Noqedim, costituisce un ostacolo de facto all’espansione urbana di Betlemme verso sud.
Area C: La separazione dei villaggi meridonionali e Beit Fajjar
L’Area C separa il nucleo urbano centrale da alcuni piccoli villaggi a sud. Questa zona è collinare e ospita le aziende che producono le pietre da costruzione, le principali fornitrici di materiale edile della Cisgiordania. Quasi il 50% dei terreni di questi villaggi si trovano a ovest del precorso previsto del Muro, che impedirà inoltre ogni accesso alla strada 60, la principale arteria per il trasporto verso Hebron. Più a sud, separati da altri terreni designati Area C, si trova l’importante centro di produzione lapidica di Beit Fajjar (vedi box qui sotto).
La zona industriale di Betlemme
A causa delle restrizioni e dei vincoli descritti fin qui, l’unico spazio rimanente per l’espansione residenziale e industriale di Betlemme si trova a sud. Circa 530 dunum sono stati assegnati alla creazione di una nuova zona per industrie leggere a Khallet al Bad, di cui 220 dunum sono Waqf (patrimonio islamico) e 310 di proprietà privata. La municipalità avrebbe preferito ubicare la zona industriale a Khallet al Louza, in Area C, ma la richiesta in tal senso è stata rifiutata dalle autorità israeliane.
Questo progetto è una joint venture ta il comune di Betlemme e il Governo francese: il 40% andrà a imprese del settore privato palestinese; un altro 40% a imprese private francesi; mentre a imprese pubbliche palestinesi e francesi andranno rispettivamente il 10%. Sono inoltre previsti un’area espositiva, un centro di formazione e un centro di progettazione per produzione e imballaggio. Le norme ambientali saranno rigide e il Governo francese intercederà presso le autorità israeliane affinché facilitino la circolazione delle merci, istituendo speciali marchi da affiggere sui camion che godranno di accesso prioritario dai checkpoint.
La zona industriale conterrà anche un impianto sportivo del Governatorato su 20 dunum di terreno del Waqf. I macelli pubblici di Betlemme, che oggi si trovano in una zona densamente popolata, verranno anch’essi trasferiti nella nuova zona industriale.
Il checkpoint di Gilo
Il checkpoint di Gilo è il principale punto di accesso per i Palestinesi che vogliono entrare a Gerusalemme Est e in Israele da sud. E’ uno dei 4 checkpoint da cui possono passare i Palestinesi della Cisgiordania con permessi rilasciati dalle autorità israeliane per entrare a Gerusalemme a piedi: i Palestinesi con carta d’identità della Cisgiordania non possono attraversare con un veicolo, nemmeno con una bicicletta. I Palestinesi della Cisgiordania entrano a Gerusalemme Est per lavorare, per accedere ai servizi sanitari o alla scuole, per visitare parenti o per motivi di culto, ma in tutti questi casi hanno comunque bisogno di un lasciapassare.
Ai lavoratori possono essere rilasciati permessi validi per sei mesi: nel 2008 sono stati rilasciati circa 5.300 permessi ai Palestinesi del Governatorato di Betlemme per lavorare in Israele o negli insediamenti. Il regolamento prevede che i permessi possano essere negati per motivi di sicurezza, età, stato civile: di conseguenza, un’ampia percentuale di Palestinesi in età lavorativa non ottengono mai un permesso, in particolare i più giovani. La norma per cui debba essere il datore di lavoro a presentare domanda ufficiale per ottenere il permesso esclude molti palestinesi di Betlemme che non hanno alcun contatto con datori di lavoro israeliani.
Nonostante l’esistenza di diverse strutture sanitarie a Betlemme, alcune forme specializzate di assistenza medica si trovano solo a Gerusalemme, come la cardiochirurgia e la neurochirurgia, ma anche le strutture oncologiche, le cliniche oculistiche, ecc. I pazienti possono richiedere un permesso se in possesso di un appuntamento in una struttura specializzata: a volte questi permessi sono validi esclusivamente per la giornata della visita o dell’intervento.
Il checkpoint di Gilo viene spesso chiuso, come pure gli altri varchi, per motivi di sicurezza o per onorare festività religiose ebraiche. Nel 2008 i checkpoint sono rimasti chiusi per 61 giorni. Poiché in Cisgiordania continuano ad aumentare la povertà e la disoccupazione, ogni mattina circa 600 Palestinesi della Cisgiordania fanno la coda davanti al checkpoint di Gilo già prima dell’apertura ufficiale alle ore 5. Alcuni arrivano già alle 2 di notte per essere sicuri di attraversare il checkpoint e non far tardi al lavoro.
Per attraversare il checkpoint, alla persona viene prima di tutto controllato il documento che attesta il permesso; poi passa per il metal detector e si sottopone a controllo tramite scanner della carta d’identità e delle impronte digitali. Uno studio dell’UNRWA effettuato in gennaio-febbraio 2009 ha rivelato che il tempo medio per attraversare il checkpoint era di 70 minuti, con un minimo di 22 ed un massimo di 189. Spesso il varco apre in ritardo, causando un aumento di stress. Una volta attraversati tutti i controlli, i lavoratori devono normalmente attendere un mezzo di trasporto pubblico oppure che il datore di lavoro israeliano li venga a prendere.
Le donne e gli anziani tendono ad evitare di usare il checkpoint di Gilo la mattina presto, per il gran numero di persone che affollano il varco. Nel febbraio 2009 le autorità israeliane hanno aperto un corridoio speciale per le donne, i bambini, gli anziani e coloro che soffrono di patologie mediche, ma questo percorso prioritario li agevola solo per il primo dei tre controlli.
Nu’man: Vivere nel limbo
Nu’man (popolazione 173) è una comunità di Betlemme che è stata assorbita unilateralmente all’interno del confine municipale di Gerusalemme nel 1967 da parte della autorità israeliane. Ma gli abitanti furono registrati come abitanti della Cisgiordania e sono state loro rilasciate carte d’identità della Cisgiordania.
Nel 1992 il comune di Gerusalemme ha comunicato ai residenti che tutti coloro che vivevano all’interno del confine municipale di Gerusalemme con una carta d’identità della Cisgiordania erano in violazione della legge. Nel 1993 e nel 2007 i residenti si appellarono alla Corte Suprema israeliana per far riconoscere al villaggio l’appartenenza alla Cisgiordania; in alternativa, chiedevano che ai residenti venissero rilasciate carte d’identità di Gerusalemme e che Nu’man fosse inclusa nei piani urbanistici e di erogazione dei servizi municipali di Gerusalemme. Completata la costruzione del Muro, il villaggio oggi si trova circondato su tre lati. E’ stato creato un checkpoint militare all’ingresso del villaggio nel 2006: qui vengono registrati i nomi dei residenti. Al checkpoint, riferiscono i residenti, si subiscono regolarmente umiliazioni e ritardi. La comunità non ha negozi, scuole, moschea, né strutture sanitarie. Il trasporto pubblico non esiste più e la maggior parte degli erogatori di servizi non riesce ad attraversare il checkpoint, oppure hanno rinunciato a provarvi a causa delle vessazioni subite e dei ritardi.
Sebbene ufficialmente ubicata all’interno del comune di Gerusalemme, ai residenti di Nu’man vengono negati dal comune i servizi essenziali, con la motivazione che i residenti sarebbero abusivi, residenti in violazione delle leggi. Tutta questa serie di restrizioni ha progressivamente isolato il villaggio dalle comunità vicine e impedisce una normale vita familiare. Le giovani coppie non possono costruirsi una casa nella comunità perché è impossibile ottenere una concessione edilizia.
In anni recenti alcuni terreni del villaggio sono stati confiscati per costruirvi una Base della Polizia di Frontiera, il terminal Mazmoriyya, e parte della strada bypass per i coloni che collega Har Homa con gli insediamenti di Teqoa e Noqedim nella parte meridionale del Governatorato. Il piano urbanistico del 2000 del comune di Gerusalemme prevede l’espansione dell’insediamento di Har Homa (Har Homa D) su una parte dei terreni di Nu’man.
Restrizioni nell’accesso ai luoghi di culto di Gerusalemme
Poiché dal 1993 ai Palestinesi della Cisgiordania è proibito l’ingresso a Gerusalemme se privi di permessi rilasciati dalle autorità israeliane, l’accesso ai luoghi di culto musulmani e cristiani è limitato durante tutto l’anno. Dalla seconda Intifada le autorità israeliane hanno anche imposto dei limiti di età per chi intende pregare nella Moschea di Al Aqsa a Gerusalemme nei venerdì durante il Ramadan. Nel 2008 solo uomini con età superiore a 50 anni e donne con più di 45 anni potevano entrare a Gerusalemme senza avere un permesso rilasciato dalle autorità israeliane. Ai Palestinesi che non rientravano nella categoria veniva negato il permesso.
Anche la popolazione cristiana palestinese, molti dei quali risiedono nella zona urbana di Betlemme, è obbligata a presentare un permesso speciale per recarsi a Gerusalemme in occasione delle festività religiose più importanti. Secondo l’Ufficio di Collegamento del Coordinamento israeliano per il Governatorato di Betlemme, nel 2008 furono rilasciati 39.220 permessi, un calo del 30% rispetto ai 54.866 del 2007. I cristiani hanno bisogno di avere un permesso diverso per ogni festività, poiché i permessi sono a scadenza.
Inoltre, il Muro impedisce ora la partecipazione a diverse feste religiose tradizionali, come la festa di Mar Elias in agosto che prevedeva la visita di musulmani e cristiani insieme al monastero di Mar Elias, 4 km a nord della città, per poi mangiare insieme all’aperto, nell’oliveto. Sempre ad agosto, i cristiani di Betlemme si recavano in processione alla Chiesa dell’Assunta di Getsemani a Gerusalemme, per la festa della Madonna. Dall’inizio della seconda Intifada, la situazione politica ed economica è deteriorata a tal punto che molti cristiani stanno emigrando da Betlemme, alterando in questo modo la composizione e la diversità etnica della città.
Beit Fajjar
Beit Fajjar (popolazione circa 1.800) si trova nella parte meridionale del Governatorato di Betlemme. La comunità (come le comunità vicine) dipende in grande misura dalle 72 aziende lapidee che attualmente sorgono sul territorio. Prima dell’inizio della seconda Intifada ne esistevano oltre 150: oggi solo 12 delle aziende operano a tempo pieno, mentre le rimanenti 60 lavorano solo su commissione. Ad alcune sono state sequestrate le attrezzature tecniche o sono stati detenuti i lavoratori in base alle restrizioni legate all’Area C. L’episodio più recente è avvenuto nell’ottobre 2008 quando l’IDF confiscò le macchine di taglio della pietra e le ruspe della cava, sostenendo che la cava si trovava in Area C.
Oltre il 70% del prodotto finale viene esportato in Israele, ma diventa sempre più difficile e costoso trasportare le pietre a destinazione. Solo 47 camion al giorno possono passare per il checkpoint dei tunnel. Inoltre, i camion di Beit Fajjar, insieme agli altri 800 camion al giorno che usano il Terminal di Tarqumiya, vanno incontro a grossi problemi perché gli orari di apertura sono brevi e le operazioni di carico e scarico obbligatorie richiedono tempi lunghi.
I proprietari delle imprese temono che, qualora il Muro dovesse essere completato secondo i piani attuali, l’economia locale crollerà. La sostituzione dell’attuale varco principale sulla Strada 60, vicino a Gush Etzion, con la strada alternativa che passa per Wadi Sa’ir che è inadatta al traffico commerciale raddoppierà i tempi di percorrenza e farà aumentare i costi di trasporto e manutenzione.
La zona occidentale: l’hinterland di Betlemme si riduce sempre più
Il Muro nella parte settentrionale del Governatorato di Betlemme è stato già completato ed ha già avuto un forte impatto sulle attività economiche e sull’accesso alle risorse agricole. Il percorso previsto del Muro seguirà più o meno la Linea Verde per 12,7 km nella zona occidentale del Governatorato. Ma un tratto penetrerà per circa 10 km in territorio della Cisgiordania, al fine di circondare l’insediamento di Gush Etzion. L’accesso alla Strada 60 – attualmente la via principale che i residenti di Betlemme usano per andare a Hebron, a sud – verrà impedito, obbligando le persone a trovarsi un’ altra via di trasporto più a est.
Se verrà realizzato secondo i piani, il Muro isolerà l’hinterland rurale di Betlemme, soffocando sempre più la zona urbana. Nove comunità palestinesi risulteranno tagliate fuori da ogni comunicazione, incluse come saranno nelle terre dalla parte israeliana del Muro, con il villaggio Al Walaja accerchiato da un’ulteriore barriera interna. Lo spazio agricolo sarà ulteriormente frammentato dall’espansione (già prevista) degli insediamenti e degli outposts.
Espansione di insediamenti e outposts nel Governatorato di Betlemme
Un rapporto recente, redatto dall’organizzazione israeliana Peace Now, rivela che il Ministro israeliano per la Casa e la Costruzione prevede di costruire almeno 73.000 unità abitative in Cisgiordania, di cui 15.000 hanno già ottenuto concessione edilizia. Se le costruzioni verranno realizzate in base ai piani già predisposti, si aggiungeranno due importanti progetti di insediamenti nel Governatorato di Betlemme: (1) la costruzione di due nuovi quartieri nell’insediamento di Har Homa; (2) un nuovo insediamento, Gi’vat Yael, su terreni che appartengono alle comunità palestinesi di Al Walaja, Battir e Beit Jala.
Espansione degli insediamenti e degli outposts
Peace Now riferisce di piani già pronti per la costruzione di 730 nuove unità abitative a Betar Illit, uno dei più grandi insediamenti della Cisgiordania, e quello che sta crescendo con maggiore rapidità. Sono già stati predisposti piani per la costruzione di 2.500 unità abitative a Gi’vat Eitam, un’estensione dell’insediamento di Efrat. Nel febbraio 2009 le autorità israeliane annunciarono che circa 1.700 dunum di terra nei pressi di Artas, a est del percorso programmato del Muro, erano stati designati “terreni di Stato”. Questo terreno rientra nel confine municipale dell’insediamento di Efrat, ed è stato assegnato all’espansione di Efrat, che andrà così a ricoprire anche una ottava collina, Gi’vat Eitem.
L’associazione di difesa dei diritti umani israeliana B’Tselem ha rivelato i futuri piani per l’espansione di Geva’ot, un insediamento oggi abitato da 12 famiglie. E’ prevista la costruzione di un nuovo quartiere di 550 appartamenti, i primi di 5.000 nuove unità abitativi programmate. Inoltre, l’insediamento di Bat ‘Ayin, costituito oggi da 120 famiglie, prevede di costruire 2.000 nuovi appartamenti.
Ci sono anche piani di espansione per due outposts vicino a Efrat: 395 nuove unità abitative a Gi’vat Hadagan e 527 a Gi’vat Hatamar, e 80 tra l’insediamento di El’azar e l’outpost di Derekh Ha’avot.
Altre infrastrutture
Il 1 gennaio 2009 è stato approvato un ordine di sequestro di terreno finalizzato alla costruzione di una nuova strada di sicurezza lunga 2,2 km tra gli insediamenti di Betar Illit e Geva’ot. La strada costituirà un nuovo ostacolo per i residenti palestinesi di Nahalin, poiché impedirà loro l’accesso ai terreni agricoli e al principale pozzo del villaggio, Ein al-Faras, a ovest di questa strada.
Nel gennaio 2009 altri ordini di sequestro di terreni sono stati emessi per Husan e Al Jab’a, per la costruzione di barriere di sicurezza. I proprietari delle terre di Al Jab’a hanno altresì ricevuto ordini militari che imponevano loro di liberare le terre dalle colture agricole, poiché le terre erano diventate “di Stato”. In seguito, l’IDF ha sradicato circa 300 piante d’olivo.
Diritto internazionale umanitario:
L’occupante e l’uso delle terre e delle risorse
Il Governatorato di Betlemme fa parte dei Territori Palestinesi Occupati ed rappresenta il principale collegamento territoriale tra Gerusalemme Est e la parte meridionale della Cisgiordania. In base al diritto internazionale umanitario, è proibito alla potenza occupante trasferire i propri civili nei territori occupati. L’utilizzo di risorse pubbliche, come pure il diritto a introdurre modifiche permanenti al territorio sono vincolati a precise limitazioni. Sebbene sia autorizzata la confisca di terreni per l’immediato uso militare, l’appropriazione di terreni privati ed il trasferimento della proprietà alla potenza occupante sono espressamente vietati. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha affermato che i provvedimenti di Israele che alterano le caratteristiche fisiche e la composizione demografica della Cisgiordania (compresa la costruzione di insediamenti) costituiscono una violazione del Diritto internazionale umanitario.
I villaggi a ovest di Betlemme: un’altra zona militare chiusa?
Nel gennaio 2009 le autorità israeliane hanno promulgato ordini che dichiaravano la zona tra il Muro e la Linea verde a Hebron e in parti dei Governatorati di Salfit, Ramallah, Gerusalemme e la parte settentrionale di Betlemme “area militare chiusa” (zona di congiunzione). Sono i primi ordini di questo tipo diramati dall’ottobre 2003, quando tutti i terreni tra il Muro e la Linea Verde nei Governatorati di Jenin, Tulkarm e Qalqiliya furono designati come “area chiusa”.
I residenti delle zone di congiunzione risultano così separati fisicamente dal resto della Cisgiordania e dai servizi sanitari, scolastici e commerciali che si trovano per la maggior parte a est del Muro. I bambini, i pazienti e i lavoratori sono così obbligati a passare attraverso cancelli controllati dall’IDF per raggiungere le scuole, le strutture sanitarie e i posti di lavoro, e anche semplicemente per mantenere i loro legami familiari e sociali. La tabella a pagina 15 mostra la dipendenza dei residenti dei villaggi a ovest di Betlemme dal nucleo urbano per i servizi essenziali e l’attività economica.
Se venisse dichiarata una simile area chiusa nella zona a ovest di Betlemme, dopo il completamento del Muro, questo territorio diventerebbe la più grande zona di congiunzione esistente in Cisgiordania, con il maggior numero di abitanti palestinesi isolati dai servizi essenziali. Nove comunità palestinesi, per un totale di circa 21.000 abitanti, si trovano in questo territorio e già soffrono molte restrizioni di accesso ai terreni agricoli e ai pascoli a causa della presenza di insediamenti e di altri impedimenti alla circolazione.
Se il regime imposto in Cisgiordania settentrionale verrà replicato, la designazione di area chiusa avrà un impatto anche sui Palestinesi che vivono dalla parte palestinese del Muro. Gli agricoltori di Al Khader, Artas e altre comunità avranno bisogno di permessi “di visita” rilasciati dall’IDF per accedere ai loro terreni agricoli dietro il Muro. Nella Cisgiordania settentrionale, la concessione di simili permessi è diventata man mano più restrittiva con il passare degli anni. Chi presenta domanda per un permesso, o ne richieda il rinnovo, deve superare un controllo di sicurezza e dimostrare di avere un diritto alla terra, esibendo certificati di proprietà o documenti catastali e fiscali che non sono facili da ottenere.
Per quella minoranza a cui i permessi vengono concessi, l’accesso avviene attraverso uno dei circa 70 cancelli e checkpoint del Muro, che hanno aperture quotidiane, settimanali o stagionali. I possessori di permessi devono fare lunghe code per mostrare i documenti, per subire perquisizioni della persona e degli oggetti prima di poter accedere alle loro terre; esistono anche rigide restrizioni sull’attraversamento di veicoli, attrezzature e materiali agricoli. Le restrizioni imposte dal regime dei permessi e dei cancelli compromettono gravemente l’attività agricola, con impatto negativo sulla produzione e sul reddito delle famiglie.
Parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia
Nel luglio 2004 la Corte Internazionale di Giustizia comunicò all’Assemblea Generale dell’ONU un parere consultivo sul percorso del Muro all’interno dei Territori Palestinesi Occupati: dichiarò che, sebbene Israele abbia l’obbligo di proteggere i propri cittadini da atti violenti, i provvedimenti che intraprende devono essere conformi al diritto internazionale e ai suoi obblighi di potenza occupante. I giudici conclusero, quindi, che il danno causato alla popolazione dalla costruzione del Muro all’interno dei Territori Occupati era tale da rendere il Muro in violazione del diritto. Chiesero quindi la sospensione della costruzione. La CIG chiese inoltre a Israele di smantellare alcune parti già costruite, di annullare tutti i regolamenti amministrativi, e di erogare compensazioni a chi aveva subito danni. Questo parere fu ribadito, a stragrande maggioranza, dall’Assemblea Generale.
Dal Parere Consultivo della Corte:
“Resta il fatto che Israele deve far fronte ad atti di violenza indiscriminati, numerosi e letali, che hanno di mira la sua popolazione civile. Ha il diritto, e anche il dovere, di rispondere in modo tale da proteggere la vita dei suoi cittadini. Le misure adottate, tuttavia, devono essere conformi al diritto internazionale applicabile.” (paragrafo 141)
“ … la cessazione di tali violazioni implica l'immediato smantellamento dei tratti di questa opera che sono situati nel territorio palestinese occupato, ivi compreso all'interno e sui confini di Gerusalemme Est. Occorre procedere immediatamente all'abrogazione o alla privazione di effetti dell'insieme di atti legislativi e regolamentari, adottati al fine della sua costruzione e dell'instaurazione del regime che lo accompagna, salvo nella misura in cui tali atti, facendo sorgere un diritto all'indennizzo o altre forme di riparazione a profitto della popolazione palestinese, rimangano pertinenti nel contesto del rispetto, da parte di Israele, degli obblighi internazionali …” (paragrafo 151).
L’impatto del Muro sulle donne di Husan
Husan (popolazione 5.500) è una delle nove comunità di Betlemme che rimarranno totalmente isolate se il tracciato del Muro nel Governatorato di Betlemme verrà completato secondo programma. Husan ha già perso gran parte del suo terreno agricolo a causa degli insediamenti e della loro espansione. L’agricoltura commerciale è resa difficilissima e molte famiglie coltivano la terra ormai solo per i propri consumi domestici. Uno studio di 172 donne della comunità, teso a capire l’impatto sulle loro vite se il Muro sarà completato come previsto, ha rilevato:
• Una forte interdipendenza tra Husan e Betlemme città, poiché la maggior parte dei servizi sono nell’area urbana. La maggioranza delle donne (96,5%) non riesce a procurarsi tutti i prodotti domestici a Husan. La maggior parte delle donne teme che l’accesso alla città diventerà più difficile una volta completato il Muro.
• Il Muro probabilmente causerà un aumento di disoccupazione maschile e povertà. Le donne hanno riferito un calo del 67,5% dell’occupazione tra i loro mariti che lavoravano in Israele in seguito alla costruzione del tratto di Muro della zona a nord di Betlemme.
• La stragrande maggioranza delle donne intervistate (96,9%) aveva partorito nelle strutture di Betlemme città. La maggioranza (87,8%) ha riferito che nessun medico è a disposizione per eventuali emergenze sanitarie notturne.
• Delle 42 donne che frequentano studi superiori, 28 studiano al di fuori di Husan. Quando il Muro sarà completato, queste donne avranno difficoltà a raggiungere gli istituti scolastici e le università poiché è inaccettabile per una donna di ambienti rurali arrivare a casa tardi per qualsiasi motivo (mancanza di trasporto, checkpoint volanti, deviazioni, ecc.)
• L’87,5% delle donne hanno riferito che i figli si recano a Betlemme città per corsi scolastici supplementari, in particolare per prepararsi all’esame di ammissione alle superiori (towjihi) poiché è essenziale per il futuro dei ragazzi ottenere un buon risultato agli esami.
• A causa della costruzione del Muro gli abitanti dei villaggi hanno dovuto modificare il percorso per la città di Betlemme, allungando il tragitto ed aumentando il costo. Solo il 55,8% delle intervistate riesce a far visita ai parenti che vivono al di fuori della comunità, a causa delle difficoltà degli spostamenti per entrare ed uscire dal villaggio.
• Poiché con il matrimonio è generalmente la moglie che si trasferisce nel villaggio del marito, la maggioranza (98,3%) preferirebbero che le proprie figlie sposassero uomini di Husan piuttosto che dei villaggi vicini o di Betlemme, per poter rimanere in contatto con loro.
Capitolo III
Vincoli amministrativi nell’est
Il Mar Morto, le aree militari e le riserve naturalistiche
Nella parte orientale del Governatorato di Betlemme, grandi estensioni di terreni sono state designate da Israele “aree militari/zone di fuoco” oppure riserve naturalistiche. Per i Palestinesi, l’accesso e l’utilizzo a queste terre è proibito o sottoposto a restrizioni. Il Deserto di Giudea rappresenta già un problema per l’espansione di Betlemme a est e sud-est, ma queste restrizioni bloccano del tutto l’accesso per attività economiche, quali il pascolo (vedi box sui Beduini di Betlemme). Inoltre, queste restrizioni impediscono lo sviluppo di un mercato di nicchia, ma redditizio: quello dell’ecoturismo, in particolare nei paesaggi desertici, negli abitati di Wadi Qadron e Wadi Khreitun, e al Monastero di Mar Saba. Il divieto di accesso per i Palestinesi ai 32 km di costa sul Mar Morto (la parte più orientale del Governatorato di Betlemme) limita inoltre la possibilità di sviluppo industriale e turistico da parte palestinese di questa zona unica del suo genere.
I beduini di Betlemme
Piccole comunità di pastori beduini risiedono nel sud-est del Governatorato di Betlemme, ai margini del deserto. Sono principalmente gruppi stanziali, che vivono in tende o case in muratura molto semplici, con alcuni membri della comunità che si occupano di far pascolare le greggi.
I beduini di Betlemme soffrono per le restrizioni israeliane. Alcune comunità sono minacciate da ordini di demolizione delle abitazioni e dei rifugi per il bestiame, perché non sono in possesso di licenze edilizie per l’Area C. I loro pascoli tradizionali sono occupati dall’IDF oppure sono stati classificati da Israele come riserve naturalistiche. La siccità e l’aumento del prezzo dei mangimi hanno contribuito a rendere la pastorizia un’attività sempre più marginale. L’acqua è diventata costosa a causa della siccità e dell’aumento dei costi di trasporto. Quelle comunità che, in passato, raccoglievano e usavano l’acqua piovana oggi si trovano a dover acquistare l’acqua tutto l’anno per il consumo umano e animale. Le restrizioni all’accesso ai pascoli hanno portato ad una dipendenza sempre maggiore dai mangimi industriali, ma il prezzo di questi ultimi è aumentato e i pastori si trovano così sempre più indebitati. Per tutti questi motivi, crescono le comunità che vendono le greggi, disfacendosi così delle attività economiche che permettevano loro di vivere in queste terre.
La comunità di Rashayida, nel sud del Governatorato di Betlemme, si compone di 50 famiglie, di cui 47 sono registrati come profughi dall’UNRWA. Provenivano dai territori vicino a Ein Gedi e si insediarono qui nel 1948. Negli ultimi due anni circa 30 edifici della loro comunità sono stati distrutti dall’IDF perché privi di concessione edilizia. La comunità riferisce una diminuzione nel numero dei piccoli ruminanti, dagli 8.000 di tre anni fa a meno di 5.000 oggi. Il costo del trasporto di acqua per soddisfare le esigenze di questa comunità è di NIS 25 al metro cubo.
Insediamenti e la Bypass Road 356
Gli insediamenti orientali di Gush Etzion, Teqoa e Noqdeim, nonché Ma’ale Amos più a sud, costituiscono un ostacolo all’espansione di Betlemme verso ovest. Nel 2004 fu costruita una nuova Bypass Road ad uso dei coloni di questi insediamenti, per facilitarne l’accesso a Gerusalemme.
Inoltre, i continui tentativi da parte dei coloni di rioccupare il sito dell’ex base militare di Shdema, a est di Beit Sahur, rappresentano un ostacolo ai piani del comune di sviluppare servizi ricreativi e sanitari. La zona, detta Ush Ghurab, fu evacuata dall’IDF nell’aprile 2006, ma un gruppo che si fa chiamare “Comitato per Shdema Ebraica” rivendica il luogo, dove avrebbe intenzione di costruire un insediamento. La terra non fu restituita al comune di Beit Sahur e tecnicamente rimane una zona chiusa. Tuttavia, mancando lo spazio pubblico, nel 2007 il comune sistemò circa 100 dunum di terreno creando un parco pubblico, con impianti sportivi, una torre per arrampicamento e un bar-caffetteria. Il progetto fu finanziato in parte da USAID, che inaugurò il parco nel febbraio 2008.
Il comune ha anche dei piani per la costruzione di un ospedale pediatrico su questo terreno, che sarà finanziato da Care International, un’associazione senza scopo di lucro statunitense. L’ospedale, che dovrebbe entrare in funzione a Natale del 2009, avrà 65 letti ed accoglierà bambini con disabilità fisiche da tutta la Cisgiordania.
Lo storico Monastero di Mar Saba, nella parte orientale del Governatorato di Betlemme.
Turismo e salvaguardia dei Beni Culturali a Betlemme
Betlemme, luogo di nascita di Gesù, è gemellata con 52 città nel mondo. Il turismo ed i pellegrinaggi rappresentano l’elemento trainante dell’economia, offrendo occupazione negli alberghi, ristoranti, agenzie di viaggio, nonché nelle botteghe e nei negozi di artigianato. Nel quadro del progetto Betlemme 2000, che mirava a preparare la città per il nuovo millennio e i benefici del processo di pace di Oslo, furono investiti circa 300 milioni di dollari nella zona. Invece, il turismo subì un declino drammatico con l’inizio della seconda Intifada nel settembre 2000, e il successivo regime delle chiusure, la ri-occupazione di Betlemme nel 2002, la costruzione del Muro e il rifiuto di concedere licenze alle guide turistiche. Nel 2004, solo 95 persone erano occupate negli alberghi, paragonati a 393 nel 2000.
I turisti sono aumentati notevolmente nel 2008, con l’arrivo di oltre 800.000 turisti stranieri, principalmente in risposta ad un appello lanciato dalle chiese che invitavano i pellegrini a visitare Betlemme. Tuttavia, gran parte di questo aumento è attribuibile anche al fatto che a Gerusalemme gli alberghi erano pieni e questi turisti hanno fatto solo una breve visita a Betlemme, con solo il 45% che vi ha passato la notte e contribuito quindi all’economia locale. Inoltre, Betlemme beneficia poco del turismo nazionale (solo 65.000 turisti palestinesi nel 2008) o dei cittadini israeliani palestinesi (circa 15.000).
Del turismo beneficiano comunque solo un limitato numero di luoghi di pellegrinaggio nel centro urbano di Betlemme, in particolare la Chiesa della Natività e i campi dei Pastori. Pochi turisti stranieri visitano i luoghi di interesse storico nella città di Betlemme o nei dintorni, come le piscine di Salomone ad Artas. I terrazzamenti agricoli nella parte occidentale del Governatorato, come Al Makhrour e Wadi Fukin, sono praticamente sconosciuti agli stranieri, come pure il deserto e il semi-deserto a ovest. I festival che celebrano i prodotti tipici dei villaggi (la lattuga di Artas, le albicocche di Beit Jala, i fakkus di Beit Sahur, l’uva di Al Khader, le melanzane di Battir, e l’annuale festival delle olive di Betlemme Città) sono anch’essi per lo più ignorati dai turisti stranieri. Con le restrizioni amministrative e gli ostacoli alla circolazione, nonché la continuazione della costruzione del Muro, è assai difficile sviluppare un approccio globale e significativo al turismo e alla conservazione dei beni culturali nel Governatorato di Betlemme.
Lo spazio disponibile alla popolazione palestinese nel Governatorato di Betlemme si è considerevolmente ridotto a causa di provvedimenti israeliani quali la continua espansione degli insediamenti e dei loro outposts, la costruzione del Muro, la designazione della maggior parte del territorio in Area C (con le conseguenti e rigide disposizione in materia di concessioni edilizie). Tali provvedimenti hanno ridotto lo spazio per lo sviluppo di Betlemme, ne hanno limitato l’accesso alle risorse, hanno tagliato i collegamenti storici con Gerusalemme, e ridotto lo spazio potenziale del nucleo urbano per il suo sviluppo industriale e residenziale. I pilastri tradizionali dell’economia di Betlemme – lavoro in Israele, turismo, agricoltura, pastorizia e il settore privato – ne hanno sofferto enormemente. Se questi provvedimenti rimarranno in vigore, il futuro sviluppo socio-economico del Governatorato di Betlemme ne sarà seriamente compromesso.
Se Israele ha il dovere di garantire la sicurezza dei propri cittadini di fronte ad attacchi da parte di Palestinesi, le misure che adotta per farlo non possono violare il diritto internazionale, né possono causare detrimento prolungato alla locale popolazione palestinese. In pratica, tuttavia, la maggior parte delle infrastrutture israeliane – in particolare gli insediamenti e gli outposts, e naturalmente il Muro – sono stati costruiti a beneficio della popolazione israeliana, e non per il bene della comunità palestinese.
E’ ancora possibile intraprendere delle misure per impedire un ulteriore deterioramento. Molti dei provvedimenti amministrativi israeliani sono reversibili e la costruzione del Muro non è terminata. Azioni quali l’interruzione della costruzione del Muro, la riapertura delle zone militari chiuse e delle riserve naturalistiche per permettervi uno sviluppo palestinese sostenibile, accompagnati da una richiesta internazionale di congelare la costruzione degli insediamenti e di tutti i provvedimenti collegati (come la designazione di terreni come proprietà di Stato), potrebbero restituire alcuni spazi sottratti al Governatorato e migliorerebbero la situazione economica e umanitaria di Betlemme. A lungo termine, azioni immediate di questo tipo contribuirebbero al rispetto del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’ONU: costituirebbero così una base solida su cui costruire una soluzione politica duratura per i Territorio Palestinesi Occupati.
Il titolo originale del Rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie (OCHA) nei Territori Palestinesi Occupati è “ Shrinking space: urban contraction and rural fragmentation in the Bethlehem governorate” (maggio 2009)