Ben Ali, il fuggiasco
Ibrahim Refat
I mutamenti climatici ci hanno abituato alla scomparsa delle mezze stagioni, ma è stupefacente che l’ autunno del patriarca Zine el-Abidin ben Ali appena cominciato sia già finito.
I mutamenti climatici ci hanno abituato alla scomparsa delle mezze stagioni, ma è stupefacente che l’ autunno del patriarca Zine el-Abidin ben Ali appena cominciato sia già finito. Oggi per lui è cominciato l’inverno, seppure confortevole: un inverno parigino.. Non solo niente quinto mandato presidenziale nel 2014 per il 74 enne “raiss”, da tempo meditava di cambiare la Costituzione, come del resto fece nel 2002, per ottenere una sesta investitura presidenziale superando il limite massimo di 75 anni fissato dalla carta costituzionale per guidare il paese. Tra le altre opzioni c’era quella di passare il timone al genero, l’uomo d’affari miliardario Mohammed Saker al-Matri oppure alla bella moglie Liala al-Trabulsi. Ma tutto questi scenari non potranno più avere luogo. Infatti ha scelto la via di un ritiro, difficilmente spirituale, all’estero.La rivolta ha spezzato i disegni del clan ben Ali. Gli avvenimenti a Tunisi si susseguono a una velocità supersonica.
Il tiranno è rimasto imbullonato per 23 anni nel palazzo presidenziale di Cartagine. Ora è fuggito, ma il popolo tunisino aspetta per fare festa, sa che le vie della repressione sono infinite. Dal 18 dicembre scorso, dopo lo scoppio della rivolta del pane di Sidi Bouzid estesasi a tutto il paese e finora costata un centinaio di morti, è cominciata soltanto l’ultima. Nessuno a Tunisi ha creduto alle promesse fatte giovedì in tv dal presidente di voler dare il via a riforme politiche e economiche perché il suo nome è legato alle pagine più nere della storia moderna della Tunisia. Fu lui a guidare la repressione poliziesca, come responsabile della sicurezza nazionale, all’epoca del rivolta del pane nel 1984, bruciando poi tutte le tappe verso il potere prima come ministro dell’Interno quindi quale primo ministro e spodestando infine, nel 1987, il padre della patria, il presidente al-Habib Bourghiba, con un colpo di stato incruento. Dei preparativi del golpe erano al corrente soltanto Italia e Francia che dettero il loro assenso all’operazione da lui presentata come indispensabile per bloccare l’avanzata del’integralismo islamico in Tunisia.
I tunisini non si sono fidati delle promesse fatte l’altro ieri da Ben Ali anche perché la primavera tunisina da lui avviata non durò che meno di due anni. Nel 1989, il nuovo regime, che prometteva pluralismo e libertà, rivelò il suo volto brutale con una feroce repressione poliziesca, il soffocamento delle libertà sindacali e del diritto di espressione. Nel 1989 i brogli elettorali determinarono una vittoria elettorale del partito di governo con il 99,2 per cento; le cinque elezioni presidenziali non discostarono di molto. La sua ultima vittoria (la quinta di seguito), nel 2009, è stata del 89,6 per cento. Ma ciò che indigna più di ogni altra cosa il popolo tunisino è il soffocante controllo dell’economia da parte della famiglia del presidente ( soprattutto a favore dei Tarabulsi, del nome della seconda moglie di ben Ali, e di suo genero al-Matri). Controllano giornali, radio, banche, compagnie, proprietà immobiliari. Mentre il popolo è ridotto in miseria con tassi di disoccupazione che sfiorano il 30 per cento.
Nel suo discorso di giovedì il “raiss” ha cercato di prendere le distanza da questo entourage corrotto dicendo di essere stato ingannato dai “cattivi consiglieri”. Ma il popolo non gli ha perdonato tutto questo. Il giorno dopo a Tunisi le masse invocavano le sue dimissioni al grido: “Niente pane niente ben Ali”. Con la sua fuga è cominciato un nuovo giorno. Vedremo.
Fonte: Articolo21, blog Il Mondo di Annibale
15 gennaio 2011