Bambini vittime della violenza a Ciudad Juárez


Daniela Pastrana


A Ciudad Juárez, la città più violenta dell’America Latina, la guerra messicana per il narcotraffico ha ucciso almeno 110 bambini negli ultimi tre anni e ne ha resi orfani più di 10mila.


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Bambini vittime della violenza a Ciudad Juárez

Le organizzazioni della società civile stanno sollecitando le autorità candidate alle imminenti elezioni affinché si adoperino per aiutare questa parte vulnerabile della popolazione.

Un senso di disperazione permea l’aria di questa città di confine. Le strade deserte e le 100mila case abbandonate testimoniano la sconfitta di una società che negli ultimi vent’anni è passata attraverso l’orrore, l’indignazione, la rabbia e lo sfinimento.

Di notte vige una sorta di coprifuoco volontario che contrasta con quella che una volta era la animata vita notturna caratteristica di Ciudad Juárez. Perfino di giorno sono pochi quelli che camminano per strada e quasi tutti ci pensano due volte prima di rispondere alle telefonate provenienti da numeri sconosciuti. Un terzo dei negozi restano chiusi in questa città del nord del Messico che sorge al confine con El Paso, Texas.

Verito ha sette anni. A dicembre le sue insegnanti hanno dovuto consegnare la tredicesima sullo stipendio, ricevuta prima di Natale, per pagare “il pizzo” a un gruppo organizzato di criminali perché non facessero del male agli alunni.

“Dicono che hanno minacciato la preside di mettere delle bombe nella scuola, per questo hanno annullato le lezioni”, racconta la bambina.

Sa che alcune persone nella sua città rapiscono e uccidono i bambini. E sa che “tutti” gli adulti “pagano i loro debiti” ai cartelli della droga: “Devono pagare”, spiega la piccola e poi racconta il suo sogno di una città “uguale a questa, ma senza violenza e senza notiziari”.

Il suo racconto fa parte di “Un, dos, tres, por mí y por todos mis amigos” (Un, due, tre, per me e per tutti i miei amici), un progetto che raccoglie in un libro e in un DVD le voci, i disegni e le fotografie dei bambini di Ciudad Juárez dai 4 agli 8 anni. A realizzarlo, tra il 2008 e il 2010, sono state alcune organizzazioni della società civile che partecipavano all’iniziativa “Infancia en Movimiento”.

Negli ultimi tre anni in questa città dello Stato del Chihuahua, la strategia del governo messicano contro il narcotraffico ha causato la morte di almeno 110 bambini, rimasti vittime del fuoco incrociato tra polizia federale, forze armate e cartelli della droga.

Secondo le stime delle organizzazioni non governative, circa 10mila bambini hanno perso almeno un genitore nella guerra per la droga; il calcolo è stato fatto considerando che ognuna delle 5mila vittime uccise in età riproduttiva aveva presumibilmente due figli, come nella media delle statistiche demografiche. Ma non ci sono dati ufficiali.

“È terribile che non ci sia neanche una stima ufficiale del numero di bambini orfani di almeno un genitore”, dichiara all’IPS Lourdes Almada, segretaria esecutiva del Comitato per l’infanzia del Consiglio dei cittadini per lo sviluppo sociale.

“I bambini che hanno subito violenza all’interno della loro famiglia o della loro cerchia non ricevono l’aiuto di nessuno”, ha aggiunto.

Dal 1993, quando a Ciudad Juárez è cominciata un’ondata di omicidi contro le donne impiegate nelle fabbriche locali, la città è diventata per tutti il simbolo della violenza di genere, che fino a oggi ha ucciso più di mille donne, e di una radicata criminalità organizzata.

“Ciudad Juárez è diversa dagli altri luoghi del Messico perché qui i narcotrafficanti hanno oltrepassato ogni limite. È molto difficile reagire alla violenza contro i bambini”, ha dichiarato all’IPS il regista cinematografico di Ciudad Juárez Ángel Estrada, che ha diretto il documentario “Escenarios de guerra”.

Il film, proiettato per la prima volta a Ciudad Juárez il 28 aprile, racconta l’impossibilità di fare teatro in una città così violenta.

Nel 2005, la comunità di Ciudad Juárez si è indignata per la morte di due bambine: Airis Estrella Enríquez, di sette anni, il cui corpo è stato ritrovato sepolto nel cemento e Anahí Orozco, di dieci anni, stuprata e uccisa da un vicino che ne ha poi bruciato il corpo, mentre la madre della piccola era al lavoro in una “maquiladora”, una fabbrica che assembla prodotti destinati all’esportazione.

Nello stesso anno sono stati uccisi altri sei minori, ma non è stato stanziato alcun aiuto economico per la protezione dei bambini.

Adesso i giornali locali riportano notizie come quella di un’intera famiglia assassinata mentre partecipava alla veglia funebre di un adolescente ucciso a Parral, una città nel sud del Chihuahua. O l’omicidio di 16 giovani compiuto a febbraio durante una festa nel quartiere di Villas de Salvárcar, che ha fatto accorrere a Ciudad Juárez schiere di funzionari federali che sono stati a discutere per ore senza nessun risultato.

“Alla base di tutto questo ci sono decenni di abbandono e di disinteresse verso lo sviluppo umano e sociale”, ha detto Almada. “L’esplosione di violenza che ha invaso Ciudad Juárez è il risultato di un modello economico che non tiene conto delle persone”.

Un’altra forma di violenza della città è testimoniata dal fatto che nel 2008 e nel 2009, su una popolazione di circa un milione e 200mila abitanti, più di 300mila persone hanno perso il lavoro, fosse esso diretto, indiretto o a termine.

I licenziamenti sono stati particolarmente pesanti nelle maquiladoras, un’istituzione per Ciudad Juárez e in cui lavorano principalmente le donne. Queste fabbriche, che godono di agevolazioni fiscali e di altri vantaggi, hanno tagliato 120mila posti di lavoro, per ognuno dei quali si stima una perdita di 1,5 impieghi nell’economia informale.

“Ciò che accade a Ciudad Juárez è l’espressione dell’esclusione sociale”, ha dichiarato all’IPS Nashieli Ramírez, a capo dell’organizzazione sociale Ririki Intervención Social e coordinatrice del progetto Infancia en Movimiento. “Accadrà in tutto il mondo, non solo in Messico, con questa corsa all’urbanizzazione che non può essere compresa se non attraverso la lente dell’emarginazione e dell’esclusione sociale, di cui tutti noi subiremo le conseguenze”.

E così andiamo avanti “senza nessuna opportunità per i giovani, con i bambini che non possono giocare per strada, con famiglie abbandonate e madri sole”, ha aggiunto.

È una grande sfida. Ciudad Juárez è una delle città a più alta percentuale di minori del Messico, un paese che nell’insieme conta più di 107 milioni di abitanti, eppure è qui che si registrano gli indicatori più bassi in termini di assistenza e di protezione all’infanzia.

Il tasso di mortalità infantile supera il 25 per mille bambini nati vivi, mentre a Cuba o in Costa Rica non va oltre il 10 per mille.

Ciudad Juárez ha la più alta percentuale di donne lavoratrici del Messico e un quarto delle madri lavoratrici lascia i propri figli incustoditi per tre o quattro ore al giorno.

I bambini di Ciudad Juárez affermano con disinvoltura di essere stati testimoni di tre, quattro o cinque omicidi. Alicia, una bambina di sette anni, dice di non sentirsi al sicuro nei luoghi pubblici e Leonardo Irving, di otto anni, ha fatto un disegno che lo ritraeva “in un hotel di narcotrafficanti con i rubinetti d’oro”.

Per fronteggiare questa situazione, le organizzazioni che lavorano per il benessere dei bambini stanno lanciando una campagna chiamata “Hazlo Por Juárez” (Fallo per Juárez), finanziata dalla Fondazione Bernard van Leer e finalizzata a influenzare i programmi politici dei candidati a sindaco di Ciudad Juárez e dei candidati al governo dello stato del Chihuahua che si presenteranno alle prossime elezioni del 4 luglio.

“Daremo vita a un movimento sociale a Juárez e vogliamo che abbia risonanza in tutto il paese”, ha detto Ramírez.

“Non possiamo perdere un’altra generazione. Dobbiamo aprire le porte a un futuro diverso”, ha dichiarato Almada.

Fonte IPS

maggio 2010

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