Bambine, non kamikaze


Andrea Iacomini


Assistiamo inermi all’utilizzo di bambini per i peggiori dei crimini e non solo del reclutamento come soldati, mi sorprende la leggerezza con cui utilizziamo certi termini.


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I bambini sono bambini. E’ un’ovvietà ma è così. I bambini sono quelli che giocano, sorridono, vedono il mondo capovolto, cioè nel verso giusto, come non riusciamo a vederlo noi. Forse anche questa per molti è una ovvietà, non per me. Capita di leggere da giorni che in questo fantastico mondo governato dagli adulti ci siano le cosiddette “bambine kamikaze” anzi rettifico bimbe che vengono fatte esplodere “come kamikaze”. Pare sia la nuova arma da guerra dei signori dell’orrore dei nostri tempi. Dopo gli animali usati nelle due guerre mondiali per far esplodere eserciti e navi, ora tocca ai bambini venir fatti saltare in aria, all’aperto, nei mercati o nei bazar, per strada o nei luoghi pubblici, con il fine ultimo di seminare morte, senza pietà, premendo semplicemente il tasto di un maledetto telecomando. Siamo davanti all’uso di un innocente come arma di guerra e distruzione.

Mi domando però dove sia anche qui la novità proprio nei giorni in cui Isis arruola su youtube giovani combattenti e mostra i bambini giustiziare ostaggi, oppure crocifigge e seppellisce poveri inermi. Di orrori ne è piena la storia ed i peggiori che abbiamo potuto vedere stanno ancora tutti dentro le mura di filo spinato che circondano Auschwitz e Dachau. Qualche tempo fa un noto giornalista mi scrisse giustamente una mail contrariata in cui affermava che non potevo utilizzare il termine “Olocausto” neanche come esempio per descrivere la più grave tragedia umanitaria del nostro tempo, la guerra in Siria. Questo perché a suo dire quella parola descrive solo e soltanto quell’evento. Mi sono scusato con lui, aveva ragione. Bisogna saper pesare le parole.

Mentre assistiamo inermi all’utilizzo di bambini per i peggiori dei crimini come non si vedeva dalla Seconda Guerra Mondiale e non parlo solo del reclutamento come soldati, mi sorprende la leggerezza con cui utilizziamo alcuni termini proprio per definire questi nuovi fenomeni. Non ho l’autorità ne l’autorevolezza di voler correggere nessuno. Mi domando altresì perché trovo quasi ovunque la definizione “bambina kamikaze” invece di una più semplice “bambina di 7 anni costretta a farsi esplodere”? Non è una questione di poco conto, nè un esercizio grammaticale. E’ un problema di rispetto. Attraverso questa definizione noi togliamo a queste bambine tutto, le spogliamo e priviamo dei loro pensieri, ne rubiamo l’umanità rendendole colpevoli di fatti che non conoscono ma subiscono con la morte e vengono calpestate nei loro diritti umani di bambine innocenti esattamente come quando vengono date in sposa a 7 anni, oppure mutilate dei loro genitali. Il “kamikaze” era un pilota dell’aviazione militare giapponese che, nel corso della seconda guerra mondiale, si gettava con il velivolo carico di esplosivo contro l’obiettivo nemico. Loro no, mi dispiace, sono solo bambine.

Fonte: www.articolo21.org

25 febbraio 2015

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