Sud Sudan. La guerra civile piega il paese
Il costante processo di pulizia etnica in corso in diverse aree del Sud Sudan tra le 64 diverse tribù che abitano il Paese, annovera fame, stupri di gruppo e incendi di villaggi.
Il costante processo di pulizia etnica in corso in diverse aree del Sud Sudan tra le 64 diverse tribù che abitano il Paese, annovera fame, stupri di gruppo e incendi di villaggi.
14 milioni di persone, tra cui 400.000 bambini, hanno oggi bisogno di assistenza umanitaria nella regione, ex roccaforte di Boko Haram. Da quando il gruppo jihadista ha iniziato i suoi attacchi nel Paese nel 2009, sono state uccise decine di migliaia di persone. Oltre 2 milioni gli sfollati.
Nato come insediamento spontaneo nel 2011, ha scuole, asili, un mercato e una clinica. Ma cibo e acqua scarseggiano, mentre le bombe di al-Bashir gli piovono addosso.
La peggiore carestia dal 1984 ha messo in ginocchio il paese che vive soprattutto di agricoltura.
Nella città contesa la popolazione vive allo stremo: manca il cibo, manca l’elettricità, le macerie invadono le strade.
La città turca è diventata uno dei principali punti di imbarco per migliaia di siriani che vogliono raggiungere l’Europa.
Il 2015 segna una nuova fase del genocidio in atto in Sudan: l’attuale presidente del Sudan, e la sua nuova milizia janjaweed continuano a spargere sangue.
Sotto la supervisione delle Nazioni Unite, da Kerem Abu Salem (Kerem Shalom), unico valico commerciale di accesso a sud della Striscia di Gaza, entrano esclusivamente materiali israeliani. Il blocco di Gaza è anche un grande affare per le imprese israeliane.
La guerra di religione è esplosa quando i Séléka, ribelli musulmani, a marzo dello scorso anno, hanno rovesciato il governo di François Bozizé e insediato Michel Djotodia, primo presidente musulmano a guidare il Paese, a maggioranza cristiana.