Attacco al “nemico vicino”
Emanuele Giordana
Lo Stato islamico in Afghanistan cambia strategia. Per scippare la scena ai talebani. Trenta morti all’ospedale militare di Kabul.
Sono le nove del mattino davanti all’ospedale militare Daud Khan, uno dei nosocomi più grandi della capitale con 400 posti letto e una sede nel cuore di Kabul, poco distante dal quartiere generale Nato e dall’ambasciata Usa. Un uomo si fa esplodere e consente così ad altri tre del commando di farsi strada nell’ospedale. Sono vestiti da paramedici e dunque, fino a quel momento, non hanno dato nell’occhio. Appena entrati iniziano a sparare su dottori, pazienti, tecnici e su chiunque si aggiri nei corridoi: almeno 30 vittime e 50 feriti. La gente cerca rifugio sul tetto e c’è chi salta dai piani alti per salvarsi. Alla fine, e sono ormai oltre le tre del pomeriggio, le forze di sicurezza hanno ragione del commando che si è ritirato sul tetto. Ma non sono talebani. Questa volta, con un’azione militare eclatante e in un edifico simbolico, la rivendicazione – sul sito di Amaq – è dello Stato islamico. E’ un salto di qualità. Uno schiaffo alla Nato e all’esercito afgano, al presidente Ghani ma anche alla guerriglia talebana cui ora il Califfato cerca di levare il primato nella guerra. La Croce rossa internazionale – già entrata nel mirino del Califfato anche in Afghanistan – denuncia l’ennesimo crimine contro l’umanità e la violazione di ogni regola umanitaria che impedisce di colpire gli ospedali.
C’è una scelta strategica nuova. Non più – o non solo – sparare nel mucchio di “takfir”, dei musulmani devianti come sono per Al Bagdadi sciiti, sufi o minoranze: è un’azione di guerra militare che si accoppia alle stragi finora condotte soprattutto contro chi non segue la corretta via delle scritture così come i salafiti le interpretano. I talebani sono costretti a prender subito le distanze: la guerriglia in turbante di mullah Akhundzada, dove c’è chi guarda anche al negoziato politico, viene spinta tra i “revisionisti”, tra gli incapaci non solo di seguire correttamente il Corano ma nemmeno più di avere la supremazia nella guerra di liberazione. Che per i talebani è guerra all’invasore e per Al Bagdadi guerra ai “crociati”.
La tecnica è quella del terrore puro come raccontano i resoconti di medici e pazienti. Una tecnica che lo Stato islamico associa alle stragi di sciiti di cui ha già nel carniere un buon numero. Ma questa è però la prima grossa azione militare “pura” dove il nemico è lo stesso che combattono i talebani per i quali, invece, gli sciiti sono sì dei devianti ma non devono essere colpiti. Fu proprio sull’atteggiamento da tenere con gli sciiti che maturarono le prime divisioni tra l’allora giovanissimo militante giordano al Zarkawi e Osama bin Laden che guardava con sospetto questa brillante recluta di Al Qaeda che però stava già maturando un progetto diverso. Progetto che applicherà poi in Medio Oriente preparando la strada al suo allievo più capace: Abu Bakr Al Bagdadi. Ora che il Califfo è in difficoltà sulle strade mediorientali e nelle città di cui perde i pezzi ecco che la guerra si sposta altrove e con altri metodi. Attaccando comunque (e anche questa è una delle linee guida di Al Bagdad) il “nemico vicino” ossia l‘esercito afgano, ancor più colpevole dei suoi alleati crociati.
Come reagiranno adesso governo e alleati è difficile dire. I talebani serreranno i ranghi perché non possono consentire che il vessillo della liberazione del Paese venga scippato dagli “stranieri” del Califfo. E forse gli americani manterranno la promessa di un aumento consistente delle truppe come vorrebbe, e Trump potrebbe ascoltarlo, il generale Nicholson che comanda Usa e Nato nel Paese. Ma i bombardamenti continui, che sono la nuova tattica americana, non hanno per ora prodotto che più vittime civili né hanno allontanato la sfida del Califfo che intanto – nemico comune di governo, alleati, talebani e qaedisti – dimostra di avere la forza per colpire.
Fonte: http://emgiordana.blogspot.it
9 marzo 2017