Annuncio Abu Mazen: minaccia o decisione?
Michele Giorgio
Abu Mazen annuncia ritiro dagli accordi, Israele non risponde. Anche la popolazione palestinese non ha reagito alla decisione del presidente dell’Anp che in passato ha annunciato più volte un passo simile senza effetti concreti nei rapporti con Israele.
Un annuncio del genere non molti anni fa avrebbe innescato una crisi regionale, manifestazioni popolari nelle strade dei Territori palestinesi occupati e l’invio di rinforzi di truppe e mezzi corazzati israeliani in Cisgiordania.
Invece le parole con cui martedì sera, al termine di una riunione dei vertici politici palestinesi, il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha decretato la fine degli accordi con Israele e Usa a causa delle intenzioni del governo Netanyahu di voler annettere allo Stato ebraico la Valle del Giordano e larghe porzioni di Cisgiordania, è stato accolto tiepidamente dai palestinesi e con palese disinteresse nello Stato ebraico.
«Sapete quante volte il presidente Abbas ha annunciato o minacciato l’interruzione dei rapporti con Israele, inclusa la cooperazione di sicurezza (tra le intelligence delle due parti)? Tante. E alle sue parole non sono seguite azioni concrete. La nostra popolazione non ci crede più», ci dice l’analista Hamada Jaber di Ramallah.
I vertici di Fatah, il partito guidato da Abbas e spina dorsale dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), ieri giuravano sulla sostanza del passo mosso dal presidente. «Siamo di fronte a una decisione storica» spiegava Osama Qawasme, portavoce di Fatah, «è la risposta all’attacco di Netanyahu e Donald Trump ai diritti legittimi del popolo palestinese e alle risoluzioni internazionali».
Altri dirigenti di Fatah hanno usato toni simili. Hamada Jaber invece ridimensiona la portata dell’annuncio. «Lo considero più una minaccia che una decisione vera e propria» afferma «d’altronde non è passato inosservato che il presidente Abbas sia stato poco perentorio ed incisivo leggendo il suo discorso. L’intervento che pronunciò alle Nazioni unite lo scorso autunno e la sua condanna delle demolizione di case palestinesi a Wadi Hommus (a sud di Gerusalemme) erano stati molto più accesi contro Israele e gli Usa».
Fonti dell’Anp ci riferiscono che la riunione dei vertici palestinesi è stata infuocata. Alcuni dei presenti hanno invocato, a tratti alzando la voce, di tagliare ogni rapporto con Israele e di dare all’occupazione militare israeliana l’intero peso del mantenimento dei tre milioni di palestinesi. Non si è parlato di uno scioglimento delle autorità palestinesi. Tuttavia nelle pieghe del dibattito, a mezza bocca, è emerso anche un possibile ritorno al periodo precedente agli Accordi di Oslo del 1993 (tra Yasser Arafat e Yitzhak Rabin) e, quindi, all’esistenza dell’Anp che ha sgravato Israele dall’obbligo di fornire servizi a milioni di civili palestinesi sotto occupazione e non ha conquistato l’indipendenza.
In questo clima ha avuto origine l’annuncio di Abbas. Ma il presidente non cerca lo scontro. Spera che l’Unione europea, le Nazioni unite e altre parti internazionali convincano Netanyahu a frenare l’annessione, almeno fino alle presidenziali Usa di fine anno che il presidente palestinese si augura possa vincere Joe Biden, il candidato democratico. Per questo ha ribadito che la via del negoziato resta aperta. «A patto – ha spiegato – che si svolga sotto auspici internazionali (il Quartetto per il Medio oriente) e attraverso una Conferenza di pace basata sulla legittimità internazionale».
L’opinione pubblica palestinese è divisa al suo interno. Da un lato reclama una posizione più ferma nei confronti di Israele e insiste per la fine della cooperazione di intelligence. Dall’altro pur non avendo fiducia nell’Anp teme il suo smantellamento che significherebbe la disoccupazione per circa 200 mila persone e altrettante famiglie lasciate senza reddito.
Michele Giorgio
Il Manifesto
21 maggio 2020