Angelo del Boca: «L’Italia in missione, a nome di chi e contro chi?»
il Manifesto
Intervista allo storico del colonialismo italiano. I «caschi blu europei» e altre incredibili schiocchezze… «In Libia abbiamo perso la nostra credibilità. E non siamo al di sopra delle parti»
Ad Angelo Del Boca, lo storico del colonialismo e del fascismo italiano, ricorriamo anche stavolta per capire quello che sta accadendo davvero nella crisi in corso e nel rapporto tra Italia e Libia.
Si torna a parlare apertamente, come fosse davvero all’ordine del giorno se non di ore, di «missione italiana in Libia». Il ministro della difesa Guerini si dice pronto a «rimodulare la nostra presenza militare in Iraq» e chiama in causa la Nato per sostituire i militari americani – non lo dice ma è così – e il ministro degli Esteri Di Maio annuncia addirittura una «missione Ue in Libia per fermare le interferenze esterne». Che ne pensi?
Trovo incredibile che dopo tanto silenzio complice e dopo tanti tentativi falliti con Serraj e Haftar, adesso non si comprenda quel che è accaduto. Mi chiedo come faccia Di Maio a raccontare che dobbiamo intervenire come Europa per fermare quelle che chiama «interferenze». Quelle interferenze, ahimé di Russia e Turchia – sono arrivate in Libia perché hanno “risolto” la crisi in Siria, grazie non solo al ritiro di Trump ma al disastro provocato dalla guerra della coalizione degli Amici della Siria (Europa, Usa, Arabia saudita e la stessa Turchia) che invece di combattere l’Isis e al-Qaeda hanno provato a fare con Assad quel che era riuscito con Gheddafi.
Quelle interferenze sono il risultato dei nostri fallimenti; quelle interferenze hanno realizzato in Libia un cessate il fuoco che per ora – pur restando la tregua fragile – è un risultato senza il quale nulla sarebbe possibile. E le chiama interferenze contro cui avviare una missione. Sono stupefatto. È colpa nostra se abbiamo un ruolo marginale. Certo la colpa principale non ce l’ha questo governo, ma quelli che l’hanno preceduto sì, eccome.
A che ti riferisci in particolare?
Penso alla guerra della Nato, con interventismo francese a guida Sarkozy e seguito italiano e americano, che con la caduta di Gheddafi ha mandato in pezzi il Paese; penso al fatto che da quel momento in poi è dilagata la mediatica pacificazione della Libia mentre in realtà precipitava in un nuovo conflitto tra centinaia di milizie e nuovi interessi famelici, vista la rilevanza della questione petrolio; penso al fatto che con il governo Renzi-Minniti di Libia si è parlato solo di sostenere al-Serraj perché tenesse nelle carceri e nei campi di concentramento i migranti; poi, buon erede, è arrivato Salvini impegnato nella propaganda vergognosa di fermare l’«invasione» che da lì sarebbe arrivata, cacciando i migranti nelle carceri della Libia «posto sicuro»: tutti hanno bussato alla porta di un potere inesistente, quello di Tripoli, creando di sana pianta una «autorità libica» che faceva diventare le milizie addirittura guardia costiera. Ora partiamo in missione, a nome di chi e contro chi?
Di Maio parla esplicitamente di «caschi blu europei» e tutti fanno riferimento alla missione Unifil in Libano praticamente da ricopiare…
È una incredibile sciocchezza. I caschi blu europei non esistono, quando ci sono sono istituzionalmente dell’Onu, ma in Libia le Nazioni unite sono in difficoltà ora a presentarsi al di sopra delle parti perché hanno sostenuto solo il governo di Tripoli; inoltre l’Europa, al di là delle parole, è egualmente colpevole. Guardate come ha affrontato la questione migranti, esternalizzando di fatto alla Libia di Serraj le frontiere del Vecchio Continente; senza dimenticare il ruolo della Francia nel 2011. Oppure pensiamo ai caschi blu degli «innocenti» Egitto e Arabia saudita che spalleggiano Haftar? Ma è la vicenda del paragone con l’Unifil che regge di meno: in Libano c’è una missione Onu dal 1978, erano gli anni nei quali arrivavamo perfino a inviare contingenti per proteggere lì i palestinesi; e soprattutto, quando è stata rinnovata nel 2006 è diventata una missione dei caschi blu, italiani, di interposizione tra due paesi belligeranti, avendo Israele invaso il sud dove hanno sede forze hezbollah, che erano e sono pure al governo a Beirut. Stavolta se facciamo come in Libano rischiamo di interporci accettando la spartizione in due di che quel che era uno Stato unitario. Dando così ragione a chi mette a ferro e fuoco la Libia.
Ma allora che cosa dovrebbe fare l’Italia?
Da subito dobbiamo chiedere alla Conferenza di Berlino il 19 – se ci sarà – che le due parti in conflitto riconoscano la Convenzione di Ginevra per i profughi che sono sotto il loro controllo. Poi ci vuole l’impegno a non fare prorio come l’Unifil in LIbano, cioè bisogna salvaguardare l’unità della Libia, Tripolitania, Fezzan e Cirenaica sono un solo Paese: diciamolo forte e chiaro a Putin e a Erdogan che non sembrano avere questo intento. Voglio ricordare che uno dei termini dello scontro tra Serraj e Haftar è il fatto che il generale ex Cia della Cirenaica sa bene che il neo-ottomano Erdogan mira proprio alla riunificazione del vilajet storico di Tripolitania e Cirenaica. E impegno prioritario è ridare credibilità alle Nazioni unite che non possono certo approvare il ruolo dei Paesi che foraggiano sul campo la guerra, in primis l’Egitto dello “statista” al Sisi e la monarchia dei Saud – entrambi impegnati a morte contro i Fratelli musulmani al potere a Tripoli -, regalando loro il patronaggio di trasformarsi in caschi blu.
Se si arriverà a una missione di pace, deve essere al di sopra delle parti davvero, accettata dalle parti in conflitto e quindi con garanzie di sicurezza fondamentali. Da questo punto di vista non è chiaro oggi quel che dice il ministro della difesa Guerini: a Misurata non c’è davvero pericolo per i nostri soldati? Ma Haftar ha bombardato anche Misurata roccaforte di Serraj, o no?! È infatti l’ospedale da campo con 300 militari della guerra in corso. L’Italia in questo momento nonostante il massiccio peso della sua produzione di gas e petrolio – anche per il suo passato remoto, coloniale e fascista, e prossimo (la partecipazione alla guerra Nato del 2011), non è al di sopra delle parti: in Libia abbiamo perso gran parte della nostra credibilità. Solo la comprensione che il Mediterraneo e le sue sponde sono un’area che interferisce con la politica italiana direttamente, e quindi da salvaguardare con la pace, potrà costruire una identità alla politica estera italiana che adesso non c’è.
Tommaso Di Francesco
16 gennaio 2020
Il Manifesto