Ancora armi italiane all’Egitto


Matteo Civillini


Anche dopo l’assassinio di Giulio Regeni, l’Italia ha continuato a vendere all’Egitto armi e munizioni per un valore superiore al milione di euro. Secondo Giorgio Beretta (OPAL), potrebbero essere finite nelle mani di apparati di sicurezza o forze di polizia.


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Anche dopo l’assassinio di Giulio Regeni, l’Italia ha continuato a vendere all’Egitto armi e munizioni per un valore superiore al milione di euro.

Come verificato da VICE News, il business delle esportazioni sta proseguendo indisturbato nonostante diverse risoluzioni europee abbiano esortato la sospensione delle forniture “di attrezzature che potrebbero essere usate a fini di repressione interna” anche verso il paese nordafricano.

Lo scorso 3 febbraio il corpo senza vita di Giulio Regeni veniva ritrovato seminudo sul ciglio dell’autostrada che collega Il Cairo ed Alessandria, una settimana dopo la sua scomparsa. Sul cadavere furono identificate ferite da tortura, ecchimosi e mutilazioni. Gli investigatori seguirono diverse piste, ma subito iniziò a circolare il sospetto che nell’omicidio fossero stati coinvolti gli apparati di sicurezza del regime.

Regeni si era recato nella capitale egiziana per completare un dottorato di ricerca sullo sviluppo economico del paese per conto dell’Università di Cambridge. Tra i suoi argomenti di studio c’erano anche i sindacati indipendenti egiziani—circostanza che ha subito fatto nascere l’ipotesi di una misura ‘punitiva’ verso il 28enne.

Allo stesso tempo, alcuni presunti tentennamenti del governo italiano nel cercare la verità sulla sua morte hanno acceso i riflettori sui forti interessi commerciali che girano attorno all’Egitto, tra cui spicca la vendita di armi. Diversi organismi ed esponenti politici hanno chiesto la sospensione delle forniture militari a un paese macchiato dalle violazioni dei diritti umani.

L’8 marzo si è pronunciato anche il Parlamento Europeo, approvando una risoluzione che, tra le altre cose, invita gli stati membri a “vietare l’esportazione di qualsiasi tipo di materiale di sicurezza e aiuto militare in Egitto.”

I dati verificati da VICE News rivelano però che, due mesi dopo il ritrovamento del corpo del ricercatore, l’Italia ha inviato nuovi armamenti in Egitto.

Secondo le informazioni commerciali rese note dall’ISTAT, ad aprile 2016 il paese guidato dal regime di al-Sisi ha infatti ricevuto dall’Italia 2.450 kg di armi e munizioni—per un valore totale di oltre un milione di euro

Dalle statistiche non è possibile risalire direttamente ai destinatari specifici; tuttavia, secondo l’analisi di Giorgio Beretta dell’Osservatorio Permanente sulla Armi Leggere (OPAL), questo materiale potrebbe essere finito nelle mani di apparati di sicurezza o forze di polizia.

“Si tratta di armi semiautomatiche, come pistole o fucili. Solitamente questo tipo di armi non finisce tra le mani dei militari, quanto piuttosto a questo tipo di corpi speciali,” ha spiegato Beretta a VICE News.

“Se così fosse, non si potrebbero giustificare come armi mandate per combattere il terrorismo internazionale. Queste pistole possono essere utilizzate per la repressione interna. Va quindi urgentemente fatta chiarezza sui destinatari specifici di queste esportazioni.”

Negli ultimi anni l’Egitto è sempre stato uno dei clienti preferiti dai fabbricanti di armi made in Italy.

Nel 2015 l’Italia aveva esportato verso l’Egitto armi e munizioni non militari per un valore totale pari a sette milioni di euro, collocandosi al quarto posto tra i principali fornitori del paese nordafricano.

Come evidenziato dall’Osservatorio OPAL, tra questi scambi ci sarebbe anche la vendita di 3.661 fucili prodotti in gran parte da un’azienda della provincia di Pesaro-Urbino.

L’anno precedente, invece, il governo aveva autorizzato la spedizione di 30.000 pistole semi-automatiche – per un valore di nove milioni di euro – fabbricate da un gruppo industriale del bresciano, di cui però non si conosce l’identità.

Intanto, gli affari tra Italia ed Egitto sono andati avanti senza intoppi nonostante gli inviti degli organismi europei a porre fine alle forniture di materiale militare.

All’indomani del golpe egiziano che nell’agosto del 2013 ha portato il generale al-Sisi al potere, con una risoluzione il Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea chiedeva di sospendere l’esportazione di “attrezzature che potrebbero essere usate a fini di repressione interna.” Una posizione che fu poi confermata anche da un’ulteriore analisi del febbraio 2014.

Nel frattempo, come documentato da diverse ONG tra cui Amnesty International, al-Sisi ha instaurato un regime dove “rapimenti, torture e sparizioni forzate” sono all’ordine del giorno. Dall’ascesa al potere della giunta militare centinaia tra attivisti, studenti e manifestanti sono svaniti nel nulla. Secondo gli osservatori internazionali dietro questi episodi ci sarebbe proprio lo zampino della Agenzia Per la Sicurezza Nazionale, ovvero i servizi segreti egiziani.

A luglio, il Parlamento italiano aveva deciso di bloccare la fornitura di pezzi di ricambio per i caccia F16 egiziani, approvando un emendamento proposto da Sinistra Italiana. Secondo Al-Sisi, la decisione avrebbe “impatti negativi in tutti i campi della cooperazione tra i due paesi: sul piano bilaterale, regionale e internazionale.”

Fonte: https://news.vice.com

2 settembre 2016

 

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