Anche la Russia ha sospeso l’adesione al trattato sulle armi nucleari con gli Stati Uniti
La redazione
Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin, annunciando lo sviluppo di nuovi tipi di missili.
Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che la Russia ha sospeso la propria adesione al trattato per la non proliferazione delle armi nucleari, il cosiddetto trattato INF, da “Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty”, che aveva firmato con gli Stati Uniti nel 1987.
La decisione è arrivata dopo che venerdì gli Stati Uniti avevano fatto la stessa cosa, annunciata già da mesi.
Putin ha detto che la Russia comincerà a sviluppare nuovi missili, tra cui una versione adatta ai lanci da terra dei missili Kalibr, usati dalle navi militari, e un nuovo tipo di missile supersonico che voli a una velocità più di cinque volte maggiore di quella del suono. Putin ha anche detto che la Russia non schiererà missili a corto e medio raggio (quelli che potrebbero colpire paesi europei) a meno che gli Stati Uniti non lo facciano prima.
L’amministrazione Trump ha deciso di ritirarsi dall’accordo perché sostiene – come aveva già fatto l’amministrazione Obama nel 2014 e come anche la NATO dà per assodato – che la Russia da tempo abbia smesso di rispettare il trattato, producendo missili nucleari a media gittata, tra i 500 e i 5.500 chilometri, che possono essere lanciati da terra. La Russia ha sempre negato e nega tuttora di aver violato il trattato.
Ma soprattutto, la decisione statunitense era dovuta al fatto che la Cina, non avendo mai firmato l’accordo, da tempo sviluppa missili nucleari come quelli proibiti dal trattato: secondo gli Stati Uniti, quindi, stava acquisendo un vantaggio strategico e militare troppo grande.
A dicembre gli Stati Uniti avevano dato 60 giorni di tempo alla Russia per convincerli a non sospendere l’accordo rispettandone i termini, ma nulla è cambiato e quindi la sospensione è diventata ufficiale. Serviranno sei mesi prima che gli Stati Uniti possano uscire del tutto dall’accordo, e lo stesso vale per la Russia.
IL POST
2 febbraio 2019