Ambra e Marian: l’adozione supera la distanza


Alessandra Tarquini - Vis


La storia di una famiglia che ha incontrato a Betlemme la bambina che adotta a distanza. "Adottare è un gesto di responsabilità verso un popolo che viene umiliato ogni giorno"


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Ambra e Marian: l'adozione supera la distanza

Ambra Argenti, una delle donne e mamme che hanno adottato a distanza una bambina palestinese, ha deciso di vedere da vicino il progetto e conoscere la bambina che da 6 anni sostiene a distanza attraverso il progetto della Tavola della pace “Ho un figlio anche io! Lo sostengo a distanza” .
Dal 12 al 16 dicembre Ambra e suo marito sono partiti per il Medio Oriente. Hanno visitato Betlemme, Gerusalemme, Hebron, Tel Aviv e durante il loro viaggio hanno incontrato Marian, la bambina palestinese di 9 anni che hanno adottato. Ecco il racconto a caldo rilasciato da Ambra a perlapace.it

Come avete iniziato la vostra adozione a distanza?
E’ accaduto casualmente sei anni fa. Avevo letto una circolare arrivata al Comune di Città di Castello, dove lavoro, che invitava ad una riunione di presentazione del progetto di adozioni. Io e mio marito siamo andati con l’intento di capire e di contribuire nel nostro piccolo a migliorare il futuro di questi bambini, Da quel giorno abbiamo aderito versando la quota mensile e nei mesi successivi è iniziata una corrispondenza in lingua inglese tra noi e la bambina, nostante le difficoltà che incontra una semplice lettera ad arrivare in Italia dal Medio Oriente.

Perché avete deciso di adottare un bambino palestinese?
Perché è una cosa giusta. Io e mio marito sin da giovani ci siamo interessati del conflitto israelo-palestinese e abbiamo partecipato alle manifestazioni per la pace in Medio Oriente. Non potevamo rimanere a guardare.

Ci racconti di Marian…
Marian ha nove anni e vive a Betlemme con suo padre, i suoi tre fratelli e sua zia Victoria. Due anni fa è morta sua madre per un tumore al cervello. Suo padre fa lavori saltuari, ma è disoccupato. Dopo la morte della madre, la sua infanzia non è stata piu’ come prima e la zia ha cercato di far fronte alla grave perdita.

Come è andato l’incontro con Marian?
E’ stata un’esperienza bellissima e molto sentita. Io ero molto emozionata. L’appuntamento è avvenuto in un luogo a dir poco significativo: l’ingresso della Basilica delle Natività. Marian era accompagnata dalla zia Victoria, a rappresentare la sua famiglia. La bambina era contenta, ma impaurita e cosi la zia Victoria che l’accompagnava. Appena ci siamo riconosciute, io e la zia ci siamo commosse. Abbiamo trascorso qualche ora insieme. Siamo riusciti a conoscerci, a parlare, e abbiamo deciso di stringere rapporti più stretti tra le nostre famiglie. Ci siamo lasciate con un legame ancora più forte e con ancora maggiore motivazione.

Perché è importante adottare a distanza un bambino palestinese?
Perché il popolo palestinese viene umiliato tutti i giorni e perché con il sostegno a distanza riusciamo a sostenere dei bambini e le loro famiglie che hanno il grande sogno di vivere in pace nella loro terra. I fortunati del mondo siamo noi e per un vero caso non siamo nati in Terra Santa o in uno dei luoghi “sfortunati” della nostra terra. Abbiamo quindi la responsabilità di questa fortuna e agire con un minimo gesto, come quello delle adozioni a distanza, per cambiare le cose.
L’adozione inoltre è motivo di speranza per noi. Grazie al nostro piccolo aiuto Marian può studiare e costruirsi una cultura con la quale contribuire alla realizzazione del sogno di vedere uno Stato Israeliano e uno Stato Palestinese.

Che cosa vi ha colpito del vostro viaggio in Terra Santa?
Era la prima volta che andavamo in quei luoghi. Ci eravamo informati, ma vedere la situazione da vicino è stata una cosa terribile. La comunicazione che ci arriva attraverso i mezzi di informazione è deviata e non racconta tutto. Spesso dà informazioni parziali e noi diamo per scontato il conflitto in Medio Oriente. E’ una terra veramente spezzettata .Ad esempio attraverso questo viaggio abbiamo capito che cosa significhi attraversare un check point..

Che cosa avete capito?
I check point rendono interminabile anche un tragitto di soli 150 metri dove è possibile trovare tre check point. In ogni posto di controllo ci sono dei ragazzi israeliani, giovani donne e giovani uomini, e sembrano essere loro alle volte i primi ad avere paura delle persone da controllare nonostante i loro due metri di Kalashnicov appesi al collo. Ogni controllo ha una procedura: ci sono i tornelli di ingresso come negli stadi italiani per far entrare una persona per volta. Poi ti interrogano. Ti chiedono di che religione sei e – sembra davvero assurdo- se hai materiale esplosivo addosso. Ma li è la quotidianità. Ai controlli inoltre è palese l’insicurezza della vita di ogni palestinese che rischia spesso di arrivare troppo tardi, nel migliore delle ipotesi, o di non arrivare nel luogo di destinazione. Inoltre è insopportabile l’obbligo per ciascun palestinese di dover esibire al collo una tessera di riconoscimento.

Avete visto il muro che sta costruendo Israele?
Il muro è allucinante . Otto metri di altezza con le torrette dei cecchini pronti a sparare. Per attraversarlo il nostro autobus è stato fermato e sono saliti dei soldati israeliani a controllare. Per i Palestinesi, invece, è il contrario. Sono loro a dover scendere e i controlli sono molto più accurati e si rischia anche di passare nove ore ad un controllo. E’ una situazione di profondo stress e diffidenza reciproca che non può far altro che fomentare l’odio.

Cosa vi ha colpito positivamente?
Il rispetto che si ha per le donne, in ogni luogo, nella famiglia. Inoltre la povertà e le difficoltà quotidiane sono vissute con molta dignità.

Come è stato tornare in Italia?
E’ stato bello tornare dalla nostra famiglia in Italia e dai nostri figli portando nel cuore Marian. Ci sentiremo durante le feste per scambiarci gli auguri e cercheremo di mantenere vivo questo legame diretto allargandolo a tutta la nostra famiglia. Bello è significativo è stato il commento della nostra nipotina che, vedendo le foto di Miriam, ci ha chiesto chi fosse quella bambina. Le abbiamo spiegato che era la sorella di sua madre e lei ha detto: “allora è anche amica mia.”

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