Aiuti Pubblici


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In caduta libera, fondi privati in crescita. Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio restano un miraggio. E’ il partenariato pubblico privato la soluzione?


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Aiuti Pubblici

I dati annuali confermano che gli Aiuti Pubblici allo Sviluppo (APS) sono lontani dagli ambiziosi obiettivi che i Paesi donatori si erano fissati. Il dato è poco sorprendente, considerando la crisi economica e finanziaria che sta attraversando i mercati occidentali ormai dall’autunno scorso. Ma non per questo meno grave, giacché gli effetti della depressione attuale si stanno ripercuotendo in maniera drammatica sui Paesi in via di sviluppo che già l’anno precedente avevano dovuto fare i conti con un’altra emergenza, quella dell’incremento dei prezzi delle derrate alimentari. Proprio nel momento in cui milioni di famiglie povere ne avrebbero più bisogno, i rubinetti degli aiuti subiscono una nuova stretta.
 
All’orizzonte c’è sempre il traguardo indicato dalla Dichiarazione del Millennio, vitale per sconfiggere la fame e la povertà estrema nel mondo: arrivare entro il 2015 a destinare all’APS lo 0,7% del Pil nazionale. Attualmente, secondo i dati dell’Ocse, gli unici Paesi a raggiungere questo obiettivo sono Olanda, Norvegia, Svezia, Danimarca e Lussemburgo.
 
Nel 2008, secondo il rapporto annuale di Concord  (rete delle Ong europee), l’Europa ha destinato complessivamente appena  lo 0,4% del suo Pil. Non solo appare quindi irraggiungibile quello 0,7% per il 2015, ma a questo punto è ben lontano anche l’obiettivo intermedio dello 0,56% entro il 2010. Le cifre oltretutto risultano in qualche modo ‘gonfiate’: dei quasi 50 miliardi dichiarati come aiuti nel 2008, almeno 5 sono stati spesi come cancellazione del debito, 2 per la formazione scolastica di studenti stranieri e quasi 1 per i rifugiati. Al netto resterebbero circa 42 miliardi di aiuti, pari a un ancor più scoraggiante 0,34% del prodotto interno lordo complessivo.
 
L’Italia non fa eccezione. A fine settembre 2008 la manovra finanziaria ha tagliato di 411 milioni di euro i fondi destinati alla cooperazione, vale a dire una riduzione del 56% rispetto a quanto previsto dalla manovra dell’anno precedente.  L’APS potrebbe toccare dunque nel 2009 lo 0,09% del Pil, ponendo l’Italia all’ultimo posto solitario in Europa (già nel 2007, con lo 0,20% del Pil eravamo all’ultimo posto nell’Europa dei quindici, insieme con la Grecia).
 
In realtà l’attuale situazione di insufficienza degli Aiuti Pubblici allo Sviluppo non dipende direttamente dalla recente crisi economica, ma si pone in linea di continuità con un trend preesistente. Già secondo le statistiche dell’Ocse pubblicate ad aprile 2008 (e quindi tre mesi prima dello scoppio della crisi economica internazionale in tutta la sua recrudescenza), il totale generale degli APS dei Paesi donatori si attestava sullo 0,28% del Pil, con un calo ulteriore rispetto al già scarso 0,31% del 2006. Allora l’Ocse commentava: “…il dato più allarmante resta il mancato rispetto degli impegni presi da parte dei principali Paesi donatori in vista del raggiungimento dello 0,7% del Pil da destinare all’APS entro il 2015”.
 
I governi dei Paesi occidentali si stanno dimostrando incapaci di stare al passo con il progressivo incremento di aiuti richiesto dalla drammatica situazione in cui vivono milioni di persone. Questo nonostante le numerose occasioni in cui hanno promesso di impegnarsi nella lotta contro la povertà. Per le realtà che lavorano nella cooperazione diventa quindi sempre più chiaro come non possa bastare lamentarsi di questa cronica insufficienza, ma sia necessario approfondire percorsi alternativi per il reperimento dei capitali necessari. Lo stesso Ocse monitora ormai da anni, nelle statistiche relative all’APS, i flussi di donazioni e investimenti privati che raggiungono i Paesi beneficiari di aiuti ufficiali. Il rapporto tra APS e donazioni di privati è cambiato radicalmente negli ultimi sei anni. Mentre l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo è aumentato in termini assoluti di meno del 50% in cinque anni, i flussi di origine privata sono aumentati del 600%. Purtroppo, però, anche rispetto a questo indicatore, l’Italia si situa all’ultimo posto tra i membri dell’Unione europea appartenenti all’Ocse.
 
Da più parti viene indicata una soluzione in un nuovo modello di cooperazione allo sviluppo che si fondi sulla partnership tra attori pubblici e attori privati. Ma cosa significa affrontare la lotta contro la povertà con iniziative realmente condivise?
 
La definizione di partnership attualmente più condivisa arriva dal Copenhagen Center for Corporate Social Responsibility: persone e organizzazioni provenienti in modo combinato dal pubblico, dalle aziende, dalla società civile che stabiliscono volontarie, mutualistiche e innovative relazioni per raggiungere obiettivi sociali comuni attraverso la combinazione delle rispettive risorse e competenze. Secondo il centro di ricerca di Copenaghen vi sono sei principi essenziali per la riuscita di una buona partnership pubblico-privato: i partner convergono per raggiungere benefici sociali attraverso l’azione congiunta; la ricerca di nuovi approcci e soluzioni innovative ai problemi; l’approccio multisettoriale che implica la partecipazione di almeno due attori provenienti da ambiti settoriali differenti; la partecipazione volontaria dei membri; la condivisione dei costi e dei benefici dell’azione; la ricerca di una soluzione sinergica, in cui il risultato finale sia superiore alla somma dei differenti apporti di ciascuno.
 
Un modello di collaborazione innovativa ancora tutto da sperimentare.

Fonte: OngAgiMondo

L'analisi – ottobre 2009

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