Ahmadinejad inaugura il suo secondo mandato imbavagliando la stampa


Ahmad Rafat


Mercoledì, Mahmoud Ahmadinejad, rieletto con voti fantasma per un secondo mandato, ha prestato giuramento nell’aula del Majlis, il Parlamento iraniano. I giornalisti rischiano la vita.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Ahmadinejad inaugura il suo secondo mandato imbavagliando la stampa

Mercoledì, Mahmoud Ahmadinejad, rieletto con voti fantasma per un secondo mandato, ha prestato giuramento nell’aula del Majlis, il Parlamento iraniano. Giunto in elicottero nella sede del Parlamento perché le strade circostanti erano bloccate dai  manifestanti che da settimane contestano il risultato elettorale, Ahmadinejad ha trovato decine di poltrone vuote. Alcune decine di deputati e molte autorità e personalità del paese, con una scusa o l’altra, hanno disertato la contestata cerimonia. Mentre Ahmadinejad attaccava ancora una volta l’Occidente, nella Piazza Baharestan, sulla quale si affaccia l’edificio di quella che dovrebbe essere la “casa del popolo”, la polizia caricava i manifestanti. Decine di nuovi arrestati sono finiti nel carcere di Evin. Ormai le persone arrestate in relazioni alle proteste delle ultime 6 settimane sono alcune migliaia, oltre 3000 secondo alcuni organismi internazionali che si occupano di diritti umani.

Dal 13 giugno, il giorno dopo le elezioni presidenziali, l’Iran è tutto una protesta. Il regime, ricorrendo a tutti i mezzi repressivi, non è riuscito fino ad ora a fermare quello che nel mondo è ormai conosciuto come l’ “onda verde”.  Hanno ucciso oltre un centinaio di manifestanti, hanno arrestato quasi 3000 persone tra i quali noti giornalisti, figure politiche di primo piano, ricercatori di fama e anche un vice presidente e un ex ministro, ma tutto ciò non è servito a fermare la protesta. Hanno costretto politici e giornalisti a “confessare”, come ai tempi di Beria e Stalin, ma la contestazione continua. Mercoledì, proprio mentre Ahmadinejad giurava nelle mani del Presidente del Majlis, la polizia sigillava la sede dell’ Anjoman Senfi Rouznamehnegaran Iran (L’Associazione Professionale dei Giornalisti dell’Iran), il sindacato della stampa. Giovedì mattina doveva riunirsi l’assemblea generale del sindacato per il rinnovo delle cariche sociali.

Poche ore prima erano finiti in manette altri tre giornalisti. In tutto sono una cinquantina i giornalisti finiti in carcere da quando sono iniziate le contestazioni. Tra di loro anche due colleghi che lavoravano per la stampa straniera. Uno di questi, Maziar Bahari, corrispondente in Iran del settimanale statunitense Newsweek, è anche un noto documentarista. Un suo documentario sui giornalisti iracheni ha vinto decine di premi internazionali. Bahari, che possiede anche la cittadinanza canadese, ha dovuto “confessare” di essere stato agente di questa e di quella potenza straniera. Si sono dichiarati “colpevoli” di lavorare per potenze straniere, anche Mohammad Ali Abtahi, ex corrispondente della televisione iraniana a Beirut che più tardi divenne vice presidente della Repubblica con Mohammad Khatami, e Mohammad Atrianfar, editore e direttore responsabile di molte testate indipendenti pubblicate nel paese, per brevi periodi, negli anni passati.

Ahmadinejad che nei giorni scorsi aveva detto in un incontro pubblico “dopo l’insediamento li schiaccerei tutti”, sembra voler mantenere almeno questa promessa, visto che nei quattro anni precedenti non ha onorato nessuna delle promosse fatte durante la precedente campagna elettorale. Non ci sono dubbi che i primi ad essere “schiacciati” saranno coloro che potrebbero fare da cassa di risonanza ad altri “schiacciamenti”, cioè i giornalisti. I giornalisti iraniani pur avendo perso quasi ogni mezzo per comunicare liberamente nel paese, non hanno mai smesso di esercitare la loro professione. Da mesi “lavorano” per facebook, twitter e youtube, informando l’opinione pubblica internazionale e quella iraniana su quanto sta accadendo nel paese. E’ difficile immaginare quanto, come e cosa avremmo saputo se non ci fosse stato questo loro contributo determinante, soprattutto dopo l’espulsione degli inviati stranieri e le limitazioni imposte ai corrispondenti della stampa estera in Iran.

Oggi la vita di molti questi colleghi è in pericolo. Chi ancora non è finito in carcere, potrebbe essere arrestato in qualsiasi  momento. Alcuni vivono già da giorni in clandestinità. Altri sono riusciti a lasciare il paese, ma si trovano in situazioni precarie e talvolta anche pericolose. Quello che possiamo fare è non lasciarli soli. Basta poco per garantire a questi colleghi l’incolumità. Ogni Ordine, associazione o sindacato di giornalisti di uno dei 27 paesi membri dell’Unione Europea potrebbe adottarne qualcuno. In alcuni paesi le associazioni di categoria hanno già dato la loro disponibilità.

di Ahmad Rafat, Giornalista e scrittore, membro del Consiglio Direttivo di Information, Safety & Freedom

7 agosto 2009

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento