Afghanistan successo sicuro, anzi no


Emanuele Giordana - Lettera22


Per Gates è garantito, per Petraeus un po’ meno. E tra gli entusiasti del nuovo piano di Obama, ribadito ieri a Oslo mentre riceveva il Nobel, si arruolano gli italiani: mille soldati, arei, elicotteri e mezzi. Su tre binari.


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Afghanistan successo sicuro, anzi no

In Afghanistan il successo è a portata di mano e i 30mila soldati in più promessi da Obama sono il primo passo. Parola di Robert Gates, il ministro della Difesa americano che, in visita al quartier generale della Nato in Afghanistan, sprizza euforia da tutti i pori. E' il 9 di dicembre. Ma non passano forse nemmeno 24 ore che il capo del Comando centrale delle forze americane (Centocom) butta acqua sul fuoco dei facili entusiasmi. E' il generale David Petraeus, il generalissimo che in Iraq aveva inventato il “surge” portando a casa qualche successo, e che, un anno fa, era riapparso nuovamente protagonista nel momento in cui era necessario formulare anche un “surge afgano”. Ma poi le idee del generale erano state sepolte da quelle del presidente Obama, pomposamente annunciate in primavera all'epoca in cui si parlava, si di “surge”, ma di “civilian surge”.
Ora che Barack ha cambiato linea, Petraeus si prende la rivincita punzecchiando anche il generale McChrystal, comandante delle forze Usa e di Isaf/Nato in Afghanistan. Parlando davanti al Congresso Petraeus dice che la coalizione ce la può fare, ma sarà necessario aspettare sino a dicembre 2010 per “misurare” i progressi. Anche perché, avverte, con l'aumento delle truppe aumenterà la violenza, ossia la risposta dei talebani. Infine c'è la componente governo Karzai, componente fragile e indebolita dalle polemiche sulla corruzione. Governo Karzai che ancora il presidente non ha presentato rimandando sine die la proclamazione di un nuovo esecutivo dove Abdullah Abdullah – ha spiegato ieri il ministro Frattini – potrebbe essere nominato presidente della Commissione nazionale per le riforme.
La sensazione è comunque che negli Stati uniti si proceda un po' in ordine sparso, con un presidente che sembra aver privilegiato – è la lettura di tutti gli analisti – una strategia interna al dibattito americano piuttosto che una nuova strada – come si sperava – per dare una svolta alla crisi afgana. L'unica novità, ribadita ieri a Oslo, resta l'intenzione di iniziare il ritiro nel luglio 2011, la famosa “exit strategy” che nessuno vuole chiamare con questo nome. Resta anche da vedere in cosa consisterà effettivamente il surge e se l'ipotesi – che circola in questi giorni a Kabul – di una riedizione del vecchio piano Petraeus (armare e coordinare milizie di autodifesa nei villaggi) è o meno un'opzione al vaglio della strategia di appoggio ai 30mila soldati (più forse altri 10mila europei) che stanno per arrivare in Afghanistan (anche se pare vi sia posto al momento soltanto per 17mila).
In attesa che la Conferenza di Londra, auspicata da Regno unito, Francia e Germania ma di fatto convocata dalla Gran Bretagna per gennaio, chiarisca meglio il quadro politico della “transizione” – la nuova parolina magica – gli italiani appaiono i più schierati sulle nuove posizioni americane enucleate nel famoso discorso di West Point da Barck Obama.
Frattini e La Russa l'hanno spiegato ieri in parlamento: il ministro degli esteri parla di “tre binari” ma ribadisce anche che l'impegno militare non sarà a “tempo indeterminato”. Primi a garantire altri 1000 soldati (La Russa ha detto che la media futura sarà attorno ai 3.700) gli italiani concordano adesso sul fatto che l'obiettivo della comunità internazionale deve essere quello di “restituire l'Afghanistan agli afgani”, un abbandono soft della democrazia da laboratorio proposta a suo tempo da Bush e dai neocon e subito spostaa dalla diplomazia di Roma. I tre binari saranno: l'aumento temporaneo e con una precisa finalità politica dei contingenti militari, una maggiore responsabilizzazione del governo afgano e un rafforzamento dell'impegno nel settore civile. A La Russa tocca la parte muscolare: più aerei, compresi due nuovi “droni” (ora sono quattro); più elicotteri, sia da combattimento sia da trasporto; più mezzi (oltre ai quattro caccia AmX, già in funzione nella base di Herat che hanno rimpiazzato i Tornado).
Il quadro è chiaro e ne dava conto ieri anche il Washington Post annunciando un forte aumento delle domande di arruolamento registrato dopo l'annuncio del governo di Kabul di un incremento degli stipendi dei soldati e degli agenti di polizia. Solo nei primi sette giorni di dicembre quasi 3mila persone hanno chiesto di potersi arruolare, dice il Post, segno che la corsa a rafforzare l'esercito nazionale sta marciando.
Ma gli afgani cosa ne pensano? Sembrano crederci poco a questo surge di divise di ogni genere, attuale panacea di ogni male. Tra le notizie di giornata c'è anche una manifestazione a Kabul di donne, molte delle quali con in mano le foto dei mariti morti. Diverse manifestanti hanno espresso perplessità sull'invio di più truppe: troppi civili innocenti restano vittime dei raid aerei.

Fonte: lettera22.it
11 Dicembre 2009

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