Afghanistan: non servono più truppe


Massimo Recchia


La via d’uscita dal pantano afghano non è l’aumento delle truppe. A colloquio con il politologo statunitense Joseph La Palombara.


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Afghanistan: non servono più truppe

La via d’uscita dal pantano afghano non è l’aumento delle truppe. Joseph La Palombara, politologo statunitense e professore della Yale University, è perentorio: una strategia vincente, per il momento, non c’è. In Italia per presentare il suo ultimo libro “Stati Uniti? Italia e USA a confronto”, scritto con il politologo italiano Luigi Tivelli ed edito da Rubettino, La Palombara dice la sua sulla crisi afghana. Spiegando con crudo realismo che “certi problemi internazionali sfuggono a ogni tipo di formula risolutiva”.

Crede che la coalizione occidentale in Afghanistan sia sufficientemente compatta, nonostante i ripetuti attacchi?

La tenuta di una coalizione dovrebbe dipendere dal metodo di decisione. Ogni membro della coalizione dovrebbe infatti avere un peso decisionale uguale agli altri in materia di strategie. Per affrontare i problemi e le crisi in modo unitario. E’ inevitabile chiedersi se questa coalizione sarà in grado di evitare che l’Afghanistan diventi ancora il cimitero di quanti cercano in qualche modo di conquistarlo e di renderlo democratico. In caso di successo, la coalizione farebbe registrare una notevole eccezione rispetto alla storia passata.

Ci sono quindi pesi diversi all’interno della coalizione? Quanto conta l’alleato italiano?

Non prendo parte alle discussioni tra alleati e quindi non posso assolutamente dare una risposta intelligente e credibile. L’unica cosa che mi sento di dire è che in generale si segue il ragionamento per cui il peso dipende, tra l’altro, dal numero di soldati schierati sul campo. Non si tratta a mio parere del metro giusto.

Analizziamo allora un paese che lei conosce bene: quanto pesano gli Usa? E’ Washington, in effetti, a prendere le decisioni che contano?

Non c’è dubbio che siamo noi statunitensi, fondamentalmente, a determinare quale atteggiamento tenere in quel paese. Non solo. Abbiamo anche chiesto agli alleati di condividere il nostro approccio.

Ma lei è favorevole a un aumento delle truppe?

Assolutamente no. Guardiamo attentamente alla storia. In anni lontani, i soldati britannici hanno provato a governare quel territorio. In anni più recenti, sono stati i russi a trovare lì il loro cimitero. Dobbiamo renderci conto che i russi non riuscirono a conquistare quell’area. Anche perché gli Stati Uniti fornirono ai talebani le armi. Nella situazione attuale, il presidente eletto non solo non sembra in grado di governare le diverse fazioni, ma è altamente probabile che non faccia proprio tutto il possibile per governare. Come si spiega questo atteggiamento? Il presidente sa benissimo che non ce la farebbe mai a controllare il potere di certe tribù.

Ma allora qual è la strategia migliore? Come uscire dall’Afghanistan senza abbandonare il paese?

Non credo che si possa risolvere il problema. Dobbiamo farci una domanda molto semplice. Ipotizziamo che sia necessario aumentare di 3-400mila soldati la forza della coalizione. I paesi interessati sono disposti a fare una mossa del genere? Sono disposti a subire le perdite di vite che implicherebbe una guerra contro i talebani su vasta scala?

Il presidente Usa Barack Obama ha detto no allo scudo missilistico in Europa. Questa scelta può aprire una nuova frontiera di relazioni con la Russia?

E’ possibile che dopo questa mossa, che giudico molto intelligente, si possa avviare un negoziato con i russi per verificare se sono disposti a collaborare con la coalizione schierata in Afghanistan. Sarebbe un piccolo miracolo, data l’esperienza russa in quel paese.

Penso davvero che sarebbe possibile?

Non escludo che una svolta di questo genere possa avvenire. Ho però grandi dubbi in proposito.

Fonte: Lettera22, il Manifesto

19 settembre 2009

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