Afghanistan, la diplomazia (interna) di Obama


Emanuele Giordana - Lettera22


Gli equilibri interni dell’amministrazione americana e il Cencelli del presidente tra falchi e colombe per promuovere il nuovo piano strategico americano per Pakistan e Afghanistan. Che piace a Karzai e a Zardari.


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Afghanistan, la diplomazia (interna) di Obama

Gli Stati Uniti hanno le prove del sostegno che elementi dell'intelligence pachistana dell'Isi assicurano ai talebani e ad altri gruppi di militanti. L'accusa, anche se si basa su cose abbastanza note, diventa di fuoco se si considera che a pronunciarla “ufficialmente” sono stati il capo degli stati maggiori riuniti, ammiraglio Mike Mullen, e il generale David Petraeus, a capo del Comando centrale da cui dipendono le operazioni americane in Afghanistan e Pakistan. Il luoghi mediatici sono la Cnn, il maggior megafono televisivo del mondo, e l'emittente radiofonica Pbs che ha intervistato Petraeus, secondo cui ci sono prove che “nel recente passato” funzionari dell'Isi hanno avvertito i militanti di imminenti operazioni contro di loro.
L'accusa è pesante e arriva il giorno dopo la spiegazione ufficiale da parte della Casa Bianca della nuova strategia che il presidente Barack Obama vuol mettere in campo nell'area asiatica. Strategia che lo stesso Mullen, coadiuvato dall'inviato speciale Richard Holbrooke, avrà il compito di andare a dettagliare per benino a Islamabad e a Kabul ma anche a Nuova Delhi.
A Kabul le dichiarazioni di venerdi del presidente americano sono piaciute e la nuova strategia di Washington per Afghanistan e Pakistan è “esattamente ciò che il popolo afgano sperava”. Parola di Hamid Karzai, che lo ha sottolineato in una conferenza stampa nella capitale. Karzai, che del piano ha parlato al telefono con Obama, ha anche detto di aver chiesto alle Nazioni Unite di rimuovere dalla lista nera i nomi dei leader talebani che non sono schierati con al Qaeda, non sono collegati alla rete terroristica e che dunque “hanno bisogno – ha detto ancora – di pace nelle loro terre”. Un eco delle aperture negoziali dello stesso Obama.
Qualcosa dunque si muove e i primi effetti del discorso del presidente già si vedono. Zardari, il capo di stato del Pakistan, si era detto soddisfatto già al termine del discorso. Karzai ha voluto aspettare un giorno, forse proprio per quella telefonata con Obama che è per il presidente afgano anche un segnale di raffreddamento dei tesi rapporti tra la sua presidenza e Washington. Il capo di stato in disgrazia, che molti danno già per fuori gioco, sta forse tentando di insinuarsi nelle maglie davvero larghe dell'amministrazione americana, dove le posizioni, a cominciare dal nuovo piano Obama, sono tutt'altro che omogenee. Per cercare nuovi consensi.
Il New York Times online faceva ieri il resoconto a caldo delle difficili trattative interne per dar luce verde al piano. Intanto convincere Joe Biden, il vicepresidente, e Robert Gates, il segretario alla Difesa, che il piano non avrebbe significato una contrazione dell'impegno militare anche se, di fatto, i nuovi 4mila militari promessi sono truppe “non combattenti”: un evidente compromesso tra un aumento del dispositivo militare (fortemente voluto dagli altri comandi, compreso Mullen) e il “surge” civile scelto da Obama che punta sugli istruttori per far crescere l'esercito afgano. Obama è riuscito a far digerire ai militari una contrazione di fatto, visto che i generali avevano chiesto 30mila uomini mentre il presidente ne ha concessi la metà, anche se corroborati dagli altri 4mila annunciati ieri.
Dalla sua Obama aveva comunque sia il segretario alla Difesa Hillay Clinton (che ha notevolmente cambiato segno rispetto alla sue pozioni molto belliciste durante la campagna elettorale) sia l'inviato speciale in Asia Richard Holbrooke. Ma anche una pletora di consiglieri della società civile, dallo scrittore Ahmed Rashid al professore universitario Barnett Rubin (un ticket molto consultato da Obama).
Il presidente ha dunque dovuto tenere in contro più di un fattore, non ultima l'opposizione di diversi parlamentari repubblicani anche se il presidente è però riuscito a convincere persino i neocon visto che, uno dei loro teorici, Bob Kagan, si è detto entusiasta: “anziché scegliere un'uscita rapida e una strategia anti terroristica minimale, il presidente ha annunciato di voler espandere in profondità l'impegno americano…”. Si può ben dire che ognuno ha visto nel piano quel che ci voleva vedere. Abilità negoziale di Obama? Per andare a buon fine però si dovrà, a un certo punto, dare la controsterzata e scontentare qualcuno.

Fonte: Lettera22, il Manifesto

29 marzo 2009

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