Afghanistan, il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno


Emanuele Giordana - Lettera22


Via dall’Afghanistan in modo responsabile. Inizio del ritiro confermato a luglio 2011. Visto dall’angolo del tavolo di Barack Obama, che ieri ha reso nota la “review” della strategia americana in Afghanistan, il bicchiere è insomma mezzo pieno. Ma i però, i se, i ma restano tanti.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Afghanistan, il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno

Via dall'Afghanistan in modo responsabile. Inizio del ritiro confermato a luglio 2011 da un Paese dove Stati uniti e Nato stanno comunque facendo  progressi: indeboliscono Al Qaeda, tengono sotto scacco i talebani, aumentano il loro controllo sul territorio mentre i numeri dell'esercito afgano dicono che cresce a ritmi più elevati di quanto non prevedesse la Nato stessa.  Visto dall'angolo del tavolo di Barack Obama, che ieri ha reso nota la “review” della strategia americana in Afghanistan , il bicchiere è insomma mezzo pieno. Ma i però, i se, i ma restano tanti. Anche perché, mentre  la Casa Bianca dice la sua edulcorando un messaggio che tralascia di parlare del problema della corruzione che attanaglia il governo di Karzai e delle dirette responsabilità del Pakistan, due rapporti riconducibili al  National Intelligence Estimates (Nie), dunque a sedici agenzie di intelligence nazionali, dicono l'esatto contrario: senza un maggior impegno di Islamabad, che pare assai riluttante a mettercelo,  ogni sforzo militare americano è destinato a fallire. Già minato com'è, tra l'atro, da un governo “fragile e corrotto” che comanda a Kabul.

Se la presenza sui media quasi nelle stesse ore di due voci che dicono tutto e il contrario di tutto e che apertamente si contraddicono sia dovuto al caso o, come è assai più probabile, ad un'attenta strategia della comunicazione, è materia da speculatori. Ma quel che è certo è che l'uscita pubblica nello stesso momento di due visioni totalmente opposte sull'AfPak riflette la discrepanza di opinioni interne all'Amministrazione e fa stato di un decisionismo americano che fa fatica  a decidere quale strada prendere con fermezza.

Obama dal canto suo conferma: si andrà via nell'estate del 2011, a luglio, come da ormai molto tempo il presidente va dicendo. Ma quanti saranno i soldati a tornare a casa e con che tempi resta un mistero. Il New York Times, che ha prima anticipato i documenti del Nie e poi ha fatto filtrare il sommario di cinque pagine della “review” messa a punto da Obama, spiegava assai bene come il presidente sia stato tirato per la giacca da repubblicani e  democratici: i primi che lo premono perché non decida arbitrariamente le date del ritiro, gli altri che gli chiedono un ritiro massiccio  minacciando l'opposizione al finanziamento di una guerra sempre più impopolare e che costa agli Stati uniti cento miliardi all'anno (del resto un recente sondaggio ABC/Washington Post dice che il 60% degli americani alla guerra afgana crede sempre di meno: una differenza di sette punti da luglio scorso). Obama sembra aver accettato, come già in passato di accontentare entrambi i fronti: ritiro sì e da luglio ma “responsabile” e, dunque, senza numeri né date certe salvo quella dell'inizio.

La schermaglia  a colpi di documenti “segreti” che vengono anticipati sulla stampa la dice lunga anche sulla battaglia tutta interna che oppone Obama non solo e non tanto ai generali, ma soprattutto al generale David Petraeus, il vero arbitro della scena afgana, e al suo ministro alla Difesa, quel Robert Gates ereditato da Bush e conservato da Obama alla direzione del Pentagono. Ma forse anche con una Hillary Clinton, sempre indecisa se abbracciare i falchi o le colombe. Queste ultime in difficoltà, come Obama, dopo che nella loro schiera è venuto a mancare il negoziatore per eccellenza, Richard Holbrooke, per la verità molto in ombra negli ultimi mesi  (forse anche per problemi di salute) rispetto al roboante generale Petraeus. L'uomo che, quando Obama formulò la data del luglio 2011 come anno del ritiro, sibilò – contraddicendo il suo presidente –  che quel calendario indicava nel  2011 una data “prematura e non obbligata”.

La revisione della politica americana in Afghanistan presentata da Obama è comunque piena di contentini: un'operazione che sa più di difesa e  propaganda che di sano realismo. Nel suo bicchiere mezzo pieno, la Casa bianca vede gli effetti positivi della tattica del drone  (omicidi mirati con aerei senza pilota sul suolo pachistano) che ha  indebolito i qaedisti e sta dando risultati. E così l'avanzamento del training delle truppe afgane. Successi insomma, sviluppi positivi. Ma, al netto del contro dossier dell'intelligence, le cose vanno di male in peggio: per il Comitato internazionale della Croce rossa (Icrc)  le condizioni per svolgere bene il suo lavoro in Afghanistan non sono mai state tanto critiche negli ultimi trent'anni. E ce n'è anche per la politica muscolare di David Petraeus. L'Icrc ha lamentato un aumento degli sfollati, una crescita delle vittime civili e condizioni sanitarie critiche oltre al fatto che intere aree del Paese, anche nel Nord, sono inaccessibili all'azione umanitaria. Anche per Ginevra il bicchiere è mezzo vuoto. A vederlo pieno è solo Obama.

Fonte: Emanuele Giordana

17 dicembre 2010

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento